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La storia del logo della Major League Baseball Il 10 maggio 2015 morì a Edison, nel New Jersey, l’ex grafico Jerry Dior: nonostante il suo nome probabilmente non vi dica nulla, negli anni Sessanta disegnò uno dei loghi più famosi e longevi della storia dello sport, quello della Major League Baseball. Quella di Dior è una storia notevole, perché nonostante il logo della MLB sia stato riprodotto innumerevoli volte, e abbia ispirato quello altrettanto famoso della NBA – la lega nordamericana di basket – per quarant’anni non si è saputo chi l’avesse designato. Fu solo con un articolo del Wall Street Journal del 2008, e grazie a una contemporanea indagine della MLB, che a Dior fu riconosciuto il merito di aver creato il logo. Il logo "Batter" della MLB fu commissionato dal Comitato del Centenario della Major League di Baseball e venne presentato dal nuovo Commissioner Bowie Kuhn, per essere utilizzato per la Celebrazione del Centenario del Baseball Professionistico del 1869-1969 tenutasi il 21 luglio 1969 a Washington, DC. Jerry Dior raccontò al Wall Street Journal che nel 1968 la MLB chiese all’agenzia per cui lui lavorava – la Sandgren & Murtha di New York – di realizzare un logo per la lega: Tom Villante, uno dei responsabili del marketing della MLB, ha spiegato che allora il baseball stava attraversando un periodo di scarsa popolarità e che era percepito come «lo sport di mio nonno»: in altre parole aveva bisogno di una nuova spinta. Il compito di disegnare il logo venne affidato a Dior, che percependo il nuovo incarico come un lavoro non diverso dagli altri se ne occupò in un solo pomeriggio. Dior aveva lavorato in precedenza anche alla grafica delle confezioni di Kellogg’s e Nabisco, due grossi produttori americani di dolciumi e biscotti. Dior raccontò di essere stato contento di avere ricevuto quell’incarico, visto che era anche un appassionato di baseball: fino al 1957 era un grande tifoso dei Dodgers, poi quando la franchigia lasciò Brooklyn per trasferirsi a Los Angeles iniziò a tifare per gli Yankees. Harmon Killebrew Dior spiegò che il soggetto del logo era un giocatore qualsiasi alla battuta, e non Harmon Killebrew, famoso giocatore dei Minnesota Twins, come molti – compreso Killebrew stesso – hanno creduto a lungo. Inizialmente era blu e verde, ma poi Dior cambiò i colori riprendendo quelli della bandiera americana. «Mi è venuto così, ho disegnato la bozza, l’ho un po’ ripulita, ed eccolo. Non ne ho pensato niente finché ho acceso la televisione e l’ho visto sulle uniformi dei New York Mets durante le World Series del 1969». Il logo di Dior fu scelto da una commissione di cui faceva parte anche Villante e altri importanti dirigenti sportivi, tra cui il presidente dei New York Yankees Mike Burke. Fu presentato nell’autunno del 1968, e nel 1969 apparve sulle uniformi dei giocatori, accanto alla scritta “100th anniversary”, per celebrare l’anniversario del baseball professionistico negli Stati Uniti. Uno dei dirigenti della commissione ha detto di ricordare che la lega pagò la Sandgren & Murtha una cifra dai 10mila ai 25mila dollari. In questa foto del 30 settembre 1969, la patch del 100° anniversario della Major League Baseball è cucita sull'uniforme del capitano della squadra degli Atlanta Braves Hank Aaron, a sinistra, mentre guarda dal dugout con il manager Luman Harris, durante una partita contro i San Diego Padres, ad Atlanta Da allora il logo è stato riprodotto migliaia di volte, su magliette, berretti, manifesti e su tantissimi altri oggetti di marketing. Il fatto che sia durato così a lungo, e senza modifiche, è una cosa abbastanza insolita: normalmente i loghi vengono cambiati, o almeno trasformati periodicamente per renderli più attraenti e al passo con i gusti e le mode.
Nel 2008 ESPN, il principale network sportivo americano, lo ha definito «un capolavoro del moderno brand design, più iconico e visibile che mai». Un altro famosissimo – e altrettanto longevo – logo sportivo americano è quello della NBA, ispirato da quello di Dior e realizzato l’anno seguente: è sostanzialmente uguale, solo che è verticale e rappresenta un giocatore di basket (Jerry West, storica guardia dei Los Angeles Lakers). Nonostante la sua enorme popolarità, per quarant’anni il nome dell’autore del logo è rimasto sconosciuto ai più, e Dior non ricevette né il merito né i soldi dei diritti legati alla riproduzione del suo disegno: non aveva la documentazione per dimostrare di averlo creato, perché all’epoca non aveva previsto che sarebbe diventato tanto famoso. Licensing Letter, società che si occupa di ricerche di marketing, ha stimato nel 2007 che i ricavi della MLB per la vendita di prodotti con il proprio marchio siano stati intorno ai 3,3 miliardi di dollari. Dior, che poco dopo aver disegnato il logo lasciò l’agenzia e iniziò a lavorare come freelance, disse comunque di non aver mai voluto dei soldi – «appartiene al baseball» – ma di avere desiderato che la sua creazione gli fosse riconosciuta. Per questo fece anche una richiesta direttamente alla MLB, ammettendo tuttavia di non poter fornire prove di quanto sosteneva. «Venire semplicemente riconosciuto come la persona che inventò il logo sarebbe bello. È la cosa di cui sono più orgoglioso nella mia intera carriera da illustratore» disse Dior. Nel 2008 il Wall Street Journal pubblicò un lungo profilo di Dior, sostenendo che era stato lui a creare il logo. A sostegno della tesi, l’articolo riportava diverse dichiarazioni di colleghi di Dior alla Sandgren & Murtha che confermavano la sua versione. Uno di questi, Alan Siegel, disse al Wall Street Journal: «Ho portato avanti io il progetto, e ho visto disegnarlo. Giuro su una pila di Bibbie che Jerry Dior ha disegnato questa maledetta cosa». L’articolo fu ripreso da diversi altri media americani, e ESPN pubblicò un’intervista a un’altra persona che sosteneva a sua volta di avere creato il logo. Si chiamava James Sherman, un ex illustratore e grafico che per anni ha incluso il logo nel suo portfolio professionale. Sherman spiegò di non avere prove, ma raccontò molti dettagli su come ideò il logo. A un certo punto dell’intervista, Paul Lukas, il giornalista di ESPN, gli chiese quanti anni aveva: Sherman rispose di averne sessanta, e Lukas rispose stupito che era notevole aver disegnato il logo a soli vent’anni. «No, dovevo averne almeno trenta» rispose Sherman. «Ma il logo fu disegnato nel 1968. È andata per forza così, perché ha debuttato nella stagione 1969. Era su tutte le uniformi quell’anno». «Veramente? Allora non l’ho fatto io. Non avrei potuto. Ne è sicuro?». Venne fuori che Sherman, che non si era mai interessato al baseball, non sapeva dell’esistenza del logo ufficiale della MLB, e negli anni Ottanta ne aveva disegnato un altro molto simile per l’American League, una delle due leghe che forma la MLB assieme alla National League. Vedendo poi quello che pensava essere il suo logo utilizzato per la MLB, se ne era preso il merito. Dopo aver scoperto la verità, Sherman ha cercato di correggere tutti i documenti che lo descrivevano come il creatore del logo, e ha anche contattato Dior, con cui ha detto di avere avuto «una conversazione piacevole» (Dior ha detto di non serbare rancore verso Sherman). In occasione del quarantesimo anniversario del logo, nello stesso periodo in cui uscì l’articolo, che fu ripreso da molti altri media americani, la MLB condusse alcune ricerche per verificarne la paternità. Dopo l’indagine, nel 2009, la MLB riconobbe ufficialmente che Dior disegnò il logo della lega, e organizzò una cerimonia prepartita in suo onore allo stadio degli Yankees. Bud Selig, allora commissioner della MLB, disse: «Dior ha creato un simbolo che ha resistito alla prova del tempo. Quarant’anni dopo la sua introduzione, la “silhouette del battitore” è istantaneamente riconosciuta in tutto il mondo come simbolo ufficiale della MLB». Dior raccontò dopo la cerimonia che il giorno in cui ebbe il riconoscimento fu uno dei più eccitanti della sua vita. Riferimento: Il Post e Wikipedia |
La Major League Baseball definisce, nel numero più recente del suo regolamento ufficiale (Definizione dei termini - 2.00), l’area dello strike del baseball con la seguente descrizione:
E’ l’area sopra casa base il cui limite superiore è una linea orizzontale nel punto mediano fra la parte superiore delle spalle e la parte superiore dei pantaloni della divisa, ed il cui livello più basso è una linea all’altezza dell’incavo che vi è sotto la rotula. Ted Williams, che molti storici/esperti ritengono sia stato il miglior battitore nella storia della Major League Baseball, una volta fece il seguente commento perspicace sull’area dello strike: "Il battitore ha tre aree dello strike: la sua, quella del lanciatore avversario e quella dell'arbitro. La zona dell'arbitro è definita dalle regole, ma ancora più importante è definita dal modo in cui lavora l'arbitro. Un buon arbitro è coerente così puoi conoscere la sua area dello strike. Il battitore ha un’area dello strike in cui considera il lancio quello giusto da colpire. I lanciatori hanno zone in cui sono più efficaci. Una volta che conosci il lanciatore e la sua zona puoi prepararti per un lancio particolare". Davey Johnson, lo skipper dei New York Mets, vincitori delle World Series del 1986, e dei Washington Nationals, vincitori della National League East del 2012, disse questo dell’area dello strike del baseball: "È sempre stato compito del battitore e del lanciatore riconoscere l’area dello strike per quella particolare notte, sia in altezza che in larghezza, e regolarsi di conseguenza. È stato così per circa duecento anni". Ma l’area dello strike è sempre stata com’è oggi? Per rispondere in modo accurato a questa domanda, dobbiamo guardare indietro al passato. Quindi, ecco il mio tentativo di farlo e di seguito sono incluse le regole ufficiali, le definizioni, i chiarimenti e le dichiarazioni ufficiali fatte sull’area dello strike nel corso della storia del baseball. Daniel "Doc" Adams All'inizio del baseball, non sembra esserci alcuna menzione di un’area dello strike prima del 1858. La "chiamata di strike" fu proposta da Daniel "Doc" Adams alla First baseball Convention nel 1858. Non c'era davvero nessuna area dello strike scritta nelle regole, ma era generalmente accettato che la zona di strike fosse di 12 pollici (30,5 cm) sopra il terreno fino alle spalle del battitore e entro la giusta portata della mazza del battitore. Nel 1871, il battitore poteva chiedere al lanciatore di lanciare la palla in una di queste tre zone: 1) low ball - palla bassa - che doveva passare tra il ginocchio e la vita; 2) high ball - palla alta - che doveva passare tra le spalle e la vita; 3) fair ball - palla buona - che doveva passare tra le ginocchia e le spalle. Negli anni successivi solo la definizione di "palla bassa" venne modificata a 1 foot da terra ( 30,5 cm) invece che dalle ginocchia. Dopo il 1886, l’area dello strike non aveva nulla a che fare con la richiesta del battitore. Era semplicemente sopra il piatto tra le ginocchia e le spalle del battitore. Il battitore non poteva più richiedere una palla "alta" o "bassa". Nel 1879, tutte le palle lanciate dovevano essere chiamate strike, ball o foul. Il numero degli strike fu infine fissato a 3, ma portato a 4 nel 1887 per un anno e tornò a 3 nel 1888 per rimane così ancora oggi. Nove ball erano necessari per una base su ball nel 1879. Divennero 7 nel 1881, 6 nel 1884, 5 nel 1886 e 4 nel 1889 per rimanere com'è oggi. Nel 1894 si doveva chiamare uno strike quando il battitore effettuava una battuta in foul, diverso da una sprizzata foul, o mentre tentava di fare un bunt che cadeva o rotolava in territorio foul tra casa base e la prima o la terza base. Nel 1899, una sprizzata foul del battitore, presa dal ricevitore mentre si trovava nelle linee della sua posizione, era uno strike. Nel 1901 una palla colpita in foul che non veniva presa al volo era uno strike a meno che non fossero già stati chiamati 2 strike. La National League la adottò nel 1901 e l'American League lo aggiunse nel 1903. Nel 1907 l’area dello strike era definita come segue: "Una palla lanciata correttamente è una palla lanciata o lanciata alla mazza dal lanciatore mentre si trova nella sua posizione di fronte al battitore che passa sopra una qualsiasi parte della base della casa base, prima di toccare il suolo, non più in basso del ginocchio del battitore, né più in alto della sua spalla. Per ogni palla lanciata correttamente, l'arbitro chiamerà uno strike". Al contrario se la palla lanciata non rientrava in queste indicazioni, il lancio doveva essere chiamato ball. Nel 1950, la zona dello strike fu modificata come segue: "L’area dello strike è lo spazio sopra casa base, che si trova tra le ascelle del battitore e la parte superiore delle ginocchia quando assume la sua posizione naturale". Nel 1957, la definizione di strike fu inserita nel regolamento e doveva intendersi come segue: uno strike è un lancio legale quando così chiamato dall'arbitro che: a) viene sventolato dal battitore e mancato; b) entra nell’area dello strike in volo e non viene colpito; c) battuto in foul dal battitore quando ha meno di 2 strike; d) viene smorzato in foul; e) tocca il battitore mentre la colpisce; f) quando la palla tocca il battitore nella zona dello strike; g) quando è una sprizzata foul. Nota: f) è stato aggiunto alla precedente regola e definizione. Nel 1963, l’area dello Strike fu cambiata di nuovo un po' portando il livello superiore fino alla parte superiore delle spalle e in basso alle ginocchia. Questo durò fino al 1969 perché i proprietari avevano visto che il gioco non era tanto offensivo quanto una volta e sentivano di aver bisogno di più battute per convincere i fans a venire alle partite. A proposito, Bob Gibson aveva una ERA di 1.02 nel 1968 e sembrava quasi imbattibile con l’area dello strike che era in atto durante questa parte della sua carriera. Penso che questo abbia molto a che fare con il nuovo cambiamento. Nel 1969, l’area dello strike tornò alle ascelle e alla parte superiore delle ginocchia e probabilmente per il motivo che ho sopra descritto. Poiché sembrava esserci un certo numero di arbitri che aderivano alla propria idea di quale dovesse essere la zona di strike, i responsabili dell’organo normativo cambiarono nuovamente l’area per avvicinarla a quella che abbiamo oggi. Nel 1988, la nuova area dello strike divenne "quell'area sopra casa base base il cui limite superiore è una linea orizzontale nel punto medio tra la parte superiore delle spalle e la parte superiore dei pantaloni dell'uniforme, e il livello inferiore è una linea nella parte superiore delle ginocchia. L’area dello strike sarà determinata dalla posizione del battitore quando il battitore è pronto a sventolare su una palla lanciata". Nel 1996, l’area dello strike fu nuovamente ridefinita per quanto riguarda la parte bassa che dalle ginocchia è passata all'incavo sotto la rotula. Come certamente sapete il compito più difficile per l'arbitro di casa base è chiamare correttamente da regolamento e con continuità i lanci di strike e ball e per aiutarli in questo difficile lavoro la MLB dal 2001 ha iniziato ad utilizzare progressivamente in alcuni stadi, e poi con una copertura totale, la tecnologia della Ques-Tec che ha progettato l'Umpire Information System (UIS). L'UIS è composta da quattro telecamere posizionate attorno al campo da baseball collegate a una rete di computer che registrano le posizioni dei lanci durante il corso di una partita. Due delle telecamere sono posizionate in alto sulle tribune sopra le linee di foul di prima e di terza per seguire la traiettoria di ogni lancio. Le altre due si trovano a livello del campo e registrano la posizione del battitore in modo da poter impostare la parte superiore e inferiore della zona dello strike. Le telecamere seguono la palla mentre lascia la mano del lanciatore finché non attraversa il piatto di casa base. Lungo il percorso, vengono misurati più punti di traccia per individuare con precisione la palla nello spazio e nel tempo (la tecnologia è straordinariamente accurata entro 0,5 pollici - 1.3 cm). Queste informazioni vengono quindi utilizzate per misurare la velocità, il posizionamento e la curvatura del lancio lungo tutto il suo percorso. L'intero processo è completamente automatico e il software genera quindi dei DVD per gli arbitri e i dirigenti della MLB che monitorano il feedback sulla precisione degli arbitri. |
Il Forrest Gump del baseball? Come Clyde Sukeforth ha giocato un ruolo fondamentale nei momenti più importanti del baseball Traducendo questo articolo di STEVE WULF scritto per ESPN il 30 dicembre 2020 ho scoperto che Clyde Sukeforth è stato molto di più di quello che leggerete qui sotto. Clyde ha attraversato la storia del baseball prima come giocatore e poi come manager, coach e scout riuscendo, da "gregario", a incidere come pochi altri nel tessuto storico e romantico di questo sport e lasciando un grande esempio di correttezza, onestà intellettuale, dignità, dedizione e amore per i suoi simili. Una personalità di tanta bellezza e potenza come Clyde Sukeforth non poteva non essere ricordato nel mio sito ..... Clyde Sukeforth è nella Hall of Fame non come un giocatore, ma come un dipinto. Nella famosa composizione di Norman Rockwell "Tough Call", Sukey appare dietro gli arbitri, che ride e indica il cielo (foto ingrandita) Clyde Sukeforth sorride. Ha in mano un berretto dei Brooklyn Dodgers e con l'altra punta il cielo. È uno dei personaggi del dipinto di Norman Rockwell "Tough Call" - noto anche come Game Called Because of Rain, Bottom of the Sixth, or The Three Umpires - anche se lo si vede a malapena che spunta dietro i tre arbitri. Gli uomini in nero stanno decidendo se annullare la partita all'Ebbets Field, e Sukeforth rappresenta l'ottimismo, mentre la sua controparte, il manager dei Pittsburgh Billy Meyer, enfatizza il presentimento che la partita non verrà giocata. Dipinto da Rockwell per la copertina del Saturday Evening Post del 23 aprile 1949, questo capolavoro della tradizione Americana è ora esposto nella galleria d'arte della National Baseball Hall of Fame di Cooperstown. C'è una certa magia nel dipinto, e anche nell'idea che Sukeforth sia visto da centinaia di migliaia di persone ogni anno. Lui non è nella Hall of Fame, di per sé, ma certamente appartiene a Cooperstown. Per prima cosa, suo padre, Perl, era un contadino e un bottaio che spalava la neve per fare soldi extra e giocava a baseball in quel poco tempo libero che gli rimaneva. Ancora più importante Clyde, quest'uomo umile, atletico, intelligente, riflessivo e risoluto della contea di Lincoln, nel Maine, ha cambiato il corso della storia del baseball in molti modi, molti dei quali buoni, ma uno non tanto se tu fossi stato un fan dei Dodgers nel 1951. Sukeforth era, nelle parole del grande scrittore Jimmy Breslin "il coach di terza base della storia". La prova della sua importanza nel gioco è nell'enclave sacra adiacente alla galleria della Hall of Fame. È lì che si trovano le targhe e Sukeforth sarebbe stato una guida meravigliosa per le persone che la visitano. Vide Babe Ruth lanciare per i Red Sox nelle World Series del 1918. Aveva ricevuto Eppa Rixey, Waite Hoyt e Dazzy Vance. Aveva giocato con Edd Roush, Harry Heilmann, Hack Wilson, Al Lopez e Leo Durocher. Aveva giocato per Casey Stengel e Max Carey e contro moltissimi Hall of Famers, troppi per essere menzionati. Fu scambiato per uno (Ernie Lombardi), sostituito da un altro (Billy Herman) e aveva tolto il lavoro a Rogers Hornsby. Diamine, avrebbe potuto anche correggere una delle targhe. È quello che è inciso sulla targa di Hack Wilson dove dice che ha colpito 56 homer per i Cubs nel 1930. "Hack ne aveva davvero battuti 57", aveva ricordato una volta Sukeforth, "Ne aveva battuto uno contro i sedili del Crosley Field così forte che era rimbalzato indietro. Gli arbitri avevano pensato che avesse colpito lo schermo. Ero nel bullpen dei Reds e nesuno parlò". Oppure avrebbe potuto indicare la targa di Dennis Eckersley e ammettere che poteva essersi sbagliato su di lui. Ma ci sono tre targhe in particolare che parlano di Sukeforth. Se non fosse stato per lui, Jackie Robinson e Roberto Clemente non sarebbero mai entrati a Cooperstown. E poi c'è Branch Rickey, che ha sempre voluto "Sukey" al suo fianco. Quest'anno, e questa stagione dell'anno, sembra un momento appropriato per puntare il cielo verso Sukeforth. Dopotutto, l'iconica vittoria del titolo dei Dodgers è ancora fresca nelle nostre menti. Inoltre, sono passati 75 anni da quando Rickey inviò il suo più fidato consigliere a Chicago per chiedere a un giovane interbase dei Kansas City Monarchs di andare a Brooklyn per discutere del suo futuro ... e del futuro del baseball. "Se non fosse stato per Clyde", dice Branch Barrett Rickey III, nipote di Rickey, "avrebbe potuto essere uno scenario completamente diverso. Ha piantato i semi della fiducia". Il 23 ottobre 1945, i Dodgers annunciarono a Montreal che Jackie Robinson avrebbe giocato la prossima stagione per i Royals, la miglior farm di Brooklyn. Ciò aprì la strada alla rottura della barriera del colore del baseball il 15 aprile 1947, quando il manager dei Dodgers scrisse il nome ROBINSON nel lineup - giocando in prima e battendo per secondo. Il manager quel giorno era Clyde Sukeforth. Clyde Sukeforth, a destra, e Jackie Robinson sono inestricabilmente legati. Sukeforth scovò Robinson, era nella stanza quando Branch Rickey firmò Robinson e scrisse il nome di Robinson nella formazione dei Dodgers - e nei libri di storia - l'opening day del 1947 I due uomini erano indissolubilmente legati dalla storia, ma c'era un legame più forte di quello: l'amicizia. In una lettera che inviò a Sukeforth nel 1972, Robinson scrisse: "Ogni volta che c'erano problemi nei primi tempi, potevo sempre venire da te, parlare con te e ricevere i consigli calorosi e amichevoli che ho sempre avuto". Questo autunno ha segnato anche il 60° anniversario della vittoria dei Pirates sugli Yankees fortemente favoriti nelle World Series del 1960. Sì, Bill Mazeroski aveva vinto Gara 7 il 13 ottobre con il suo walk-off homer contro Ralph Terry, ma il primo titolo dei Pirates in 35 anni doveva molto di più alla visione condivisa di Rickey e Sukeforth. Il baseball è pieno di storie improbabili, ma ce ne sono poche improbabili e adorabili come quella di Sukeforth. Chi potrebbe inventarsi una cosa del genere? Era un piccolo catcher (1,78 m per 70 kg) di Washington nella contea di Lincoln, nel Maine, che trovò la sua strada per le Major per caso e finì per battere .354 per i Reds nel 1929. Aveva superato un incidente di caccia che lo aveva lasciato con una vista ridotta all'occhio destro e aveva subito una tragedia personale che portò con sé nella tomba. Nel 1945, quando era un coach dei Dodgers di 43 anni e la squadra stava soffrendo per la mancanza di giocatori a causa della guerra, indossò di nuovo la sua attrezzatura ... e colpì .294 in 18 partite. Fu più tardi in quella stessa estate che Rickey inviò Sukeforth nella sua missione top-secret. Cos'altro? Poteva affermare che nessun manager aveva mai avuto una percentuale di vittorie più alta nella storia del baseball: era 2-0. ("Un bel record", disse). Fu l'uomo che dovette decidere quale fosse la scelta migliore per affrontare Bobby Thomson prima dello Shot Heard 'Round the World. Sukeforth trascorse 10 stagioni nelle Major League come ricevitore di riserva per i Cincinnati Reds e i Brooklyn Dodgers Quando fu ritenuto colpevole del fuoricampo si dimise e andò a Pittsburgh e si vendicò rubando un giovane minor leaguer dei Dodgers di nome Clemente. E se i Pirates fossero stati un po' meno avari, avrebbe anche potuto ingaggiare un ragazzo di Brooklyn di nome Koufax. Anche Sukeforth non era solo un giocatore di baseball. Temporaneamente in pensione, gli fu chiesto di servire come uno dei delegati del Maine alla Democratic National Convention del 1960 a Los Angeles. La Convention nominò John F. Kennedy presidente, il che significa che JFK fu eletto 26 giorni dopo che Mazeroski, un altro figlio prediletto, aveva ballato lungo la linea di foul di terza al Forbes Field. Quello era un altro Hall of Famer di cui avrebbe potuto parlare. La fortuna sembrava seguire Sukey. Quando aveva 75 anni e stava ancora facendo un po' di scouting, la sua seconda moglie, Grethel, vinse la Lotteria del Maine. Condusse una vita incantata, d'accordo, ma non era solo una questione di casualità. Come aveva detto Rickey, "La fortuna è il residuo del disegno". A proposito, la frase la disse per la prima volta Sukeforth. Se state guidando verso est su Main Street a Waldoboro, svoltate a destra sulla Route 220. Questa è Friendship Road. Nascosto tra le querce poche miglia più in basso sulla sinistra c'è il cimitero di Brookland. Secondo le indicazioni, è "un luogo di serenità e bellezza per quiete reminiscenze e meditazione". La semplice lapide che Clyde Sukeforth condivide con la sua prima moglie, Helen, non fa menzione del segno indelebile che ha lasciato nella storia del baseball Nell'angolo più a destra del cimitero, più o meno dove sarebbe la prima base, c'è una lapide di granito parzialmente oscurata da una pianta di hosta in fiore. In alto è inciso il nome SUKEFORTH e in basso ci sono due nomi: CLYDE L. 1901-2000 HELEN M. 1901-1938 La lapide non dice altro. Ma dice anche molto. Clyde rimase in vita per ogni anno del 20° secolo ed Helen morì troppo giovane. Gli unici indizi che una persona importante sia sepolta lì sono sul terreno davanti alla lapide: una palla da baseball stagionata all'interno di una tazza e una scultura in argilla di uno spogliatoio. Di origini umili Clyde e sua sorella, Hazel, percorrevano 5 miglia e mezzo, per andare a scuola che era costituita da una sola stanza che fungeva anche da scuola superiore con un solo insegnante. Una volta disse a un intervistatore: "C'erano due cose che potevi fare. Potevi prendere palla e guanto e giocare a baseball con i bambini del vicino, oppure potevi riempire una lattina di vermi e andare a pescare delle trote nel torrente!". Seguiva i Red Sox non alla radio ma grazie alla diligenza: ecco come arrivava ogni sera il Boston Post. Ebbe modo di vedere Babe di persona quando suo zio lo portò a Gara 4 delle World Series del 1918 - Ruth lanciò otto inning e colpì un triplo da due RBI mentre i Red Sox sconfissero i Cubs 3-2 per prendere il vantaggio 3-1 nella serie poi vinta in sei partite. Sukeforth abbandonò la scuola per un po' per lavorare per un'azienda di legname, ma era un giocatore abbastanza bravo da sognare di giocare un giorno nelle major e un catcher abbastanza bravo da essere reclutato da squadre di semiprofessionisti nonostante la sua esile corporatura. "Non ero abbastanza grande per essere troppo bravo", disse una volta a Brent Kelley di Sports Collectors Digest, "ma pensavo che quello che c'era in me fosse abbastanza buono". Una delle squadre era sponsorizzata dalla Great Northern Paper Company e il suo roster era stato integrato da giocatori del college. Alcuni di loro provenivano dalla Georgetown University e presero in simpatia Sukeforth. Quando l'estate finì lo portarono con loro. Louisville Slugger firmò Sukeforth con un contratto per usare le loro mazze nel 1927. La sua graziosa firma è tra i quasi 9000 autografi presenti sulla Great Wall al Louisville Slugger Museum & Factory Uno dei punti salienti del Louisville Slugger Museum & Factory è la Great Wall, una vasta gamma di autografi di giocatori che hanno utilizzato le mazze Louisville Slugger realizzate da Hillerich & Bradsby da quando Honus Wagner aveva firmato un accordo con la società nel 1905. Le firme sono incise su pannelli di legno, proprio come lo sarebbero sul barrel di una mazza, e i nomi sono disposti in ordine alfabetico per decenni, quindi CLYDE SUKEFORTH 1927 è proprio tra WILLIAM G. STYLES 1921 ed ERNIE SULK 1930. Anche in quel mare di nomi, la firma di Sukeforth si distingue per la sua graziosa precisione. Firmò come membro dei Reds, ma sembrava già presagire lo stile della sceneggiatura delle uniformi che avrebbe indossato per quasi 20 anni. P.J. Shelley non lavora più per il museo, ma quando era il capo della programmazione lì, conduceva un tour chiamato "The Signature Wall Spotlight" per raccontare le storie dietro i nomi che i visitatori potevano non riconoscere. Uno di loro era Clyde Sukeforth, che aveva soprannominato il "Forrest Gump del baseball". "Proprio come Forrest, Clyde era un ragazzo di una piccola città che era lì quando tutto successe", dice Shelley, "Era nella stanza per il fatidico incontro tra Rickey e Robinson. Aveva scritto il nome di Jackie sul lineup il 15 aprile 1947. Era in campo quando Norman Rockwell stava disegnando la partita all’Ebbets Field. Scelse Ralph Branca perché Carl Erskine aveva la curva che ripetutamente cadeva a terra, stava facendo lo scout per i Pirates quando notò un minor leaguer dei Dodgers con un braccio davvero buono". "È stato una bel contratto, ma ciò che lo rende ancora più bello è che Sukeforth ha potuto firmarlo per attestare di essere stato testimone di così tanta storia del baseball". Proprio come Gump aveva trovato la sua vocazione in Alabama, Sukeforth aveva trovato la sua a Georgetown. "Adoravo la scuola", aveva detto anni dopo. Era un ricevitore e un battitore mancino, e ebbe la possibilità di vedere Walter Johnson dei Senators battere i Giants nella settima partita delle World Series del 1924. Ma se ne andò dopo due anni grazie alla sua cerchia di amici - Tommy Whelan, un ex atleta di Georgetown (e compagno di squadra di Jim Thorpe con i Canton Bulldogs), ai Reds, che lo ingaggiarono nell'autunno del '25 per 1500 $ e 600 $ al mese. "Volevo giocare a baseball", aveva detto una volta Sukeforth, "Questo è tutto quello che volevo fare". I Reds lo mandarono a Nashua, nel New Hampshire, nella New England League per la stagione 1926, anche se lo chiamarono a Cincinnati per un at-bat a fine maggio. Anche se andò strikeout, Sukeforth disse: "Il momento clou della mia carriera è stato il primo giorno in cui ho indossato una divisa della big league". Ispirò la mascotte dei Nashua Millionaires a diventare un catcher. Quella mascotte era Birdie Tebbetts, che ricevette per 14 stagioni nelle major league ed allenò per altre 11. I Reds chiamarono definitivamente Sukeforth nel 1927, l'anno in cui firmò il suo contratto con la Louisville Slugger, ma trascorse il '27 e il '28 come riserva di Bubbles Hargrave. "Abbiamo avuto buoni lanciatori, ma non abbiamo segnato molti punti", disse, "Avevamo cattivi battitori come me". Ma poi, di punto in bianco e con un po' più di tempo da titolare nel '29, Sukeforth battè .354 in 84 partite, andando strikeout solo sei volte. Con l’impugnatura corta della sua grande, pesante Louisville Slugger, nel tipico stile del Maine, disse a un intervistatore dei suoi risultati: "Ne ho fatti un po' ". Modestia a parte, era un buon battitore e un bravo ricevitore, e per le due stagioni successive Sukeforth divenne il ricevitore titolare dei Reds. A 30 anni, Sukeforth aveva ancora qualche anno buono. Ma nel 1931 Sukeforth si infortunò. Questo è quello che scrisse il Washington Post il 18 novembre 1931: Clyde Sukeforth si è sparato ad un occhio durante la caccia Cincinnati, Ohio, 17 novembre (A.P.) - I chirurghi credono che oggi ci sarà la possibilità di salvare la vista dell'occhio destro di Clyde L. Sukeforth, 29 anni, ricevitore dei Cincinnati Reds, colpito accidentalmente ieri mentre cacciava i conigli qui vicino. Uno dei pallini del fucile è penetrato nell'occhio di Sukeforth. Le medicazioni chirurgiche verranno rimosse venerdì. In realtà, lui e alcuni amici cacciavano uccelli, non conigli. Come disse più tardi Sukeforth, "L'uccello si era alzato in volo prima che uno dei nostri compagni se lo aspettasse e gli ha sparato velocemente. Ha preso l'uccello sbagliato". Sukeforth fu ricoverato in ospedale per diverse settimane perché alcuni dei pallini si erano conficcati nella testa e uno di loro era passato attraverso l'occhio destro. Per il resto della sua vita ebbe problemi a leggere i giornali, ma si lamentava raramente. Nel suo solito modo, disse: "Non ero un battitore mondiale prima di allora, e l'incidente non ha aiutato nessuno". Poco prima della stagione 1932, i Reds mandarono Sukeforth, Tony Cuccinello e Joe Stripp ai Dodgers per Wally Gilbert, Babe Herman ed Ernie Lombardi, che potrebbe essere considerata tra le peggiori trade della storia dei Dodgers, tranne che per una cosa: portò Sukeforth nelle loro fila. Quando sposò Helen Miller di Cincinnati l'8 dicembre 1933, Sukeforth stava uscendo da una stagione in cui ottenne solo .056 in 39 presenze alla battuta. Aveva solo un RBI nel '34, e i Dodgers lo opzionarono per Toledo prima della stagione '35. Decise di ritirarsi e tornare nel Maine con Helen. Ma poi, nel 1936, i Dodgers gli offrirono un lavoro come giocatore-manager con la loro squadra di classe D nella Carolina del Nord: i Leaksville-Draper-Spray Triplets. Anche solamente con un occhio sano, Sukeforth colpì .365 con sette fuoricampo mentre i Triplets arrivarono terzi nella Bi-State League. Da lì, andò a Clinton, Iowa, per guidare gli Owls al primo posto, e nel 1938 i suoi Elmira Pioneers vinsero il campionato di Classe A della Eastern League. Gli articoli dei giornali raccontano una storia molto diversa. Questo è tratto da l’Elmira Star-Gazette del 16 luglio 1938: Il manager dei Pioneer orgoglioso di sua figlia La signora Helen Sukeforth, moglie del manager dei Pioneers, ha dato alla luce la figlia giovedì a Waldoboro, nel Michigan, con parto cesareo. Il manager Sukeforth, che era al suo fianco, ha riferito che la madre e la bambina stanno bene. Clyde si unirà ai Pioneers qui domenica in tempo per il doppio scontro con Wilkes-Barre. Il lanciatore Lew Krausse era stato il manager della squadra durante la sua assenza. Diciassette giorni dopo, la Star-Gazette dovette stampare questo: In omaggio alla memoria della signora Helen Sukeforth, moglie del manager di Elmira morta sabato a Waldoboro, la bandiera al Dunn Field era a mezz’asta durante la partita di lunedì con Hartford. I fiori sono stati inviati dal club di Elmira e da un gruppo di fan di Elmira. Una storia più completa di quella stagione del 1938 è sepolta in un altro articolo, un po' più tardi. Pare che gli Elmira Pioneers avessero vinto il pennant nel 1937 ma fossero partiti lentamente a causa di alcune mele marce. Quando Sukeforth tagliò questi giocatori, una delegazione di fans di Elmira era andata dal GM dei Dodgers Larry MacPhail e aveva chiesto che Sukeforth fosse licenziato. MacPhail disse loro: "Se mando via Sukey da Elmira, ci tirerò via la mazza". Dopo la nascita a metà stagione di sua figlia, e convinto che Helen e la bambina stessero bene, Sukeforth si era unito alla squadra. Ma a poche ore dal suo arrivo, aveva ricevuto un telegramma che diceva che sua moglie era morta per complicazioni dovute al taglio cesareo. Stop! Immaginate di prendere il treno per tornare nel Maine, organizzare il funerale, tenere in braccio la bambina che aveva appena perso sua madre, tua moglie. La madre di Helen si sarebbe presa cura della bambina per il momento, che era l’apice di quella che sembrava essere una stagione deludente. In qualche modo, però, Sukeforth aveva ribaltato la squadra. I Pioneers chiusero al terzo posto e poi sorpresero i loro detrattori vincendo il campionato della Eastern League. Quell'anno aveva anche colpito .348 in 12 partite. Come aveva fatto? Forse era un ricevitore: sei abituato a scrollarti di dosso il dolore. Forse era perchè era nato nel Maine: sei abituato a tremare nella fredda oscurità della notte. O forse era stato il forgiare le due cose assieme in qualcuno disposto ad assumersi un'enorme responsabilità. Sukey era sempre stato un grande compagno di squadra. Adesso stava per diventare l'uomo giusto al posto giusto al momento giusto. CLYDE SUKEFORTH si toglie il cappello e sorride. In una delle scene di apertura del film del 2013 "42", Sukeforth, interpretato da Toby Huss, a destra con il cappello, è stato appena informato da Branch Rickey, interpretato da Harrison Ford, "Porterò un giocatore di baseball negro ai Brooklyn Dodgers". Sono seduti negli uffici dei Dodgers nella primavera del 1945. "Non so chi sia", dice Rickey, "o dove sia, ma sta arrivando". Dopo che Toby Huss ha ottenuto il ruolo di Clyde Sukeforth nel film "42", ha studiato il suo personaggio. "Ho iniziato a leggere di lui e mi sono reso conto che era come lo Zelig del baseball", dice Huss. "Sono arrivato ad amare il tizio." Nella vita reale, Rickey era alla sua terza stagione come GM dei Dodgers. Aveva lasciato i St. Louis Cardinals alla fine della stagione '42 per prendere le redini al posto di Larry MacPhail, che era andato a lavorare nel Dipartimento della Guerra. "Il Mahatma" aveva ereditato una squadra che era, secondo le sue stesse parole, composta "pericolosamente da veterani" e gli avevano dato ragione finendo settimi nel 1944. Ma tra i suoi beni c'erano due ex compagni di squadra di Cincinnati, Leo Durocher e Clyde Sukeforth - Leo era il manager dei Dodgers e Sukeforth il manager dei Montreal Royals, la migliore farm dei Dodgers. Dopo aver trascorso un altro anno (1939) a Elmira, Sukeforth aveva battuto Rogers Hornsby per il lavoro di manager con i Royals. Aveva anche conquistato fan e giornalisti. Come scrisse A.W. O'Brien sul Montreal Standard del 15 febbraio 1941: "Anche Sukey è un combattente rude, anche se non lo penseresti mai guardando un uomo dai bei modi, simile a un parroco che cammina verso il box di terza base in maniera semi-apologetica". In quel pezzo, O'Brien va a trovare Sukeforth nella sua fattoria a Blueberry Hill, una collinetta che domina Waldoboro. Incontra il suo cane da caccia, Martha, e il suo vicino, ex compagno di squadra e compagno di caccia Val Picinich. Sukeforth si alza alle 6 ogni mattina e lo chiama un giorno alle 22:00. - c'e molto di cui parlare: caccia, pesca, mirtilli, clima e baseball. Ma il passaggio che fa sorridere è questo: Come ci si potrebbe aspettare, gran parte della vita di Sukey è dedicata alla sua piccola figlia dai capelli scuri, Helen, che ora ha due anni e mezzo. È insolitamente intelligente, piena di entusiasmo e già molto interessata al lavoro di suo padre. La squadra di Montreal di suo padre avrebbe vinto il campionato della International League nel 1941 e avrebbe terminato con il secondo miglior record della lega nel '42. Quando Rickey subentrò, chiese a Sukeforth di lavorare nello staff dei Dodgers. Rickey era stato un ricevitore marginale di una piccola città, e gli piaceva avere Sukeforth vicino. Gli piaceva anche l'odore di pesce che Sukeforth gli aveva portato dal Maine. "Si sono capiti", dice Branch III, "Ecco perché erano spesso partner di bridge. Ecco perché hanno lavorato così bene insieme". Mentre la scena di apertura di "42" suona vera, Rickey aveva pensato di integrare il baseball da un bel po' di tempo, e i Dodgers gli hanno fornito l'opportunità. Come fa notare Lee Lowenfish nella sua magnifica biografia "Branch Rickey: Baseball's Ferocious Gentleman", Rickey iniziò a ripopolare il minor league system organizzando tryouts in tutto il paese sotto gli occhi attenti di scout come George Sisler, Rex Bowen, Tom Greenwade, Wid Matthews, Lee MacPhail e Sukeforth. Da quei tryouts sarebbero usciti Duke Snider, George Shuba, Carl Erskine e Ralph Branca. Rickey aveva anche chiesto loro di perlustrare di nascosto le esibizioni in tempo di guerra tra i giocatori della Negro League e i major leaguers che erano nelle forze armate. Era la metà dell'agosto del '45 quando Rickey chiamò Sukeforth nel suo ufficio. Ecco come Sukeforth ricordò l'incontro 50 anni dopo in un'intervista per la Hall of Fame: "Mi ha chiamato e mi ha detto: 'Voglio che tu vada a Chicago venerdì a vedere una partita tra i Kansas City Monarchs e i Lincoln Giants. Presta particolare attenzione a un interbase di nome Robinson, specialmente il suo braccio. E ha aggiunto: Voglio che ti identifichi e gli dica chi ti ha mandato". "Sono arrivato molto presto al campo da baseball, ho preso un scorecard e ho notato che il numero di Robinson era l’8. Così mi sono seduto e stavo aspettando. È uscito con un paio di ragazzi e l'ho salutato ... e ho consegnato il mio messaggio . Era sbalordito. Non riusciva a concepire perché il signor Rickey fosse interessato a lui". Un piccolo problema: Robinson si era fatto male al braccio e non stava giocando. Ecco come Robinson descrisse lo stesso incontro nella sua autobiografia, "I Never Had It Made": "Sukeforth ha detto che gli sarebbe piaciuto parlare comunque con me. Mi ha chiesto di andare a trovarlo dopo la partita allo Stevens Hotel. Ci risiamo, ho pensato. Un'altra esperienza che fa perdere tempo. Ma Sukeforth sembrava una persona sincera, e ho pensato che avrei potuto anche ascoltare". Nel 1945, durante l'unica stagione di Jackie Robinson nelle Negro Leagues, Branch Rickey inviò Sukeforth a scovare Robinson e implorare l'interbase dei Kansas City Monarchs di andare con lui a Brooklyn per incontrare il presidente dei Dodgers Prima che Robinson arrivasse, Sukeforth diede 2 $ al fattorino in modo che lui e Jackie potessero salire insieme in ascensore. Una volta in camera sua, Sukeforth gli disse che il signor Rickey voleva parlargli a Brooklyn e che se Jackie avesse potuto andare a Toledo, dove Clyde aveva un altro incarico di scouting, avrebbero potuto prendere il treno notturno per New York insieme. Robinson acconsentì, anche se non era ancora sicuro di cosa trattasse l'invito: i Dodgers avevano una squadra della Negro League, i Brown Dodgers, che giocavano all'Ebbets Field. Si sedettero insieme nello stesso pullman, attirando un numero infinito di sguardi. "Più parlavamo", ha detto Sukeforth, "più mi piaceva. C'era qualcosa in quell'uomo che ti attanagliava. Era duro, intelligente ed era orgoglioso". All'arrivo, trascorsero la notte in alberghi separati e poi si incontrarono negli uffici dei Dodgers al 215 Montague St. alle 10 del mattino del 28 agosto. Sukeforth aveva portato Robinson nell'ufficio al quarto piano di Rickey e lo presentò: "Sig. questo è Jack Roosevelt Robinson dei Kansas City Monarchs. Penso che sia il tipo di giocatore per Brooklyn". C'erano solo loro tre nella stanza, senza contare i pesci nell'acquario di Rickey. "Oh, erano una coppia, quei due!" raccontò Sukeforth a Jules Tygiel per il suo libro "Baseball's Great Experiment", "Ti dico che l'aria in quell'ufficio era elettrica". Essendo l'unico altro uomo nella stanza in cui è avvenuto il fatidico incontro tra Branch Rickey e Jackie Robinson, Sukeforth ha avuto una visione unica della loro relazione. "Erano una coppia, quei due!" Ha detto Sukeforth. "L'aria in quell'ufficio era elettrica" Secondo Sukeforth, "Il signor Rickey ha aperto la conversazione dicendo: Per tutta la vita ho cercato un grande giocatore di baseball di colore. Ho motivo di pensare che tu possa essere quell'uomo. Ma ho bisogno di più di un grande giocatore di baseball. Io ho bisogno di un uomo che porga l'altra guancia e subisca i peggiori abusi possibili a cui una persona può essere esposta. Se qualcuno ti scivola contro e ti chiama nero tal dei tali, potresti partire all’attacco e saresti giustificato. Ma tu faresti tornare indietro la causa di 20 anni". Robinson promise a Rickey che non ci sarebbe stato alcun incidente del genere. "Be', pensavo che il vecchio lo avrebbe baciato", disse Sukeforth. Robinson firmò subito un contratto per giocare per Montreal - 600 $ al mese con un bonus di firma di 3500 $. Era tanto per gli standard parsimoniosi di Rickey, ma d’altronde, non era solo per giocare a baseball. Disse Sukeforth, "Robinson portava l'intera razza di colore sulle sue spalle, forse la prossima generazione. Questo è un bel po' da mettere sulle spalle di un uomo". Rickey aveva anche chiesto a Robinson e Sukeforth di tacere fino al momento giusto. Ciò avvenne quasi due mesi dopo, il 23 ottobre, quando i giornalisti a Montreal vennero avvertiti che ci sarebbe stato un annuncio importante. Alcuni dei giornalisti speravano che la notizia rivelasse che Babe Ruth sarebbe stato il prossimo manager dei Royals. Ma poi entrò Jackie Robinson. Jackie Robinson, a destra, tocca il piatto di casa base al Roosevelt Stadium di Jersey City il 18 aprile 1946, dopo aver centrato un fuoricampo nel terzo inning contro i Jersey City Giants. Si congratula con lui l'outfielder dei Montreal George Shuba Nella sua primissima partita per i Royals, a Jersey City, Robinson colpì quattro valide, una delle quali un homer da tre punti e rubò due basi. Le cose non furono così facili per lui nella stagione '46: il manager Clay Hopper, del Mississippi, all'inizio odiava l'idea dell'integrazione, e i fans di Louisville lo trattavano brutalmente. Ma dopo che i Royals vinsero il pennant e poi sconfissero Louisville per l’International League championship grazie all'eroicità di Robinson, i fans di Montreal lo portarono in trionfo sulle loro spalle. In seguito, nella clubhouse, Hopper lo prese da parte, gli strinse la mano e disse: "Sei un grande giocatore di baseball e un bravo gentiluomo. È stato meraviglioso averti nella squadra". Sukeforth, nel frattempo, stava servendo come aiutante di campo di Rickey. In quella stagione del 1946, si alternò come coach per Durocher, scouting per Rickey e organizzando il nuovo club di Classe B dei Dodgers a Nashua. Rickey prese un interesse speciale per quella squadra perché fu lì che mandò altri due giocatori neri, Don Newcombe e Roy Campanella, per iniziare la loro carriera. Sukeforth era stato lo scout che aveva scoperto Newcombe quando stava lanciando per i Newark Eagles, e ricambiava la sua fiducia. Newcombe soffriva per un dolore al braccio in una partita dimostrativa nell'ottobre 1945 all’Ebbets Field, e Sukeforth andò in suo soccorso. "Non dimenticherò mai", disse Newcombe, "Questo uomo è entrato, questo bianco, e io ero lì a piangere perché pensavo che la mia carriera nel baseball fosse finita". Sukeforth lenì il suo dolore dicendogli che i Dodgers volevano ancora firmarlo. I Dodgers iniziarono il loro spring training del 1947 all'Avana con un grande punto interrogativo e uno più piccolo. Se la risposta alla prima era sì, Robinson era pronto per le major, la domanda successiva era: dove lo mettiamo? Aveva giocato all'interbase per i Monarchs e in seconda base per i Royals, ma i Dodgers avevano già Pee Wee Reese ed Eddie Stanky in quelle posizioni. "Mi è stato detto che dovevo imparare a giocare in prima base", scrisse Robinson, "Questo mi ha disturbato perché ho sentito che poteva significare un ritardo nel raggiungere le major". C'è una scena meravigliosa in "42" in cui Toby Huss nei panni di Sukeforth funga sul defunto Chadwick Boseman, che interpreta Robinson, in prima base. Mentre Sukeforth fa roteare il fungo e colpisce una palla dopo l'altra per testare Robinson all'inizio, pronuncia un monologo: "Sai, il signor Rickey vuole che tu giochi un baseball cospicuo ... per essere così bravo che i Dodgers chiedano di averti nella loro squadra ... ecco! ... Così ci ho pensato per un po'. .. e ho cercato "cospicuo" nel dizionario. ... Significa attirare considerazione o l'attenzione". A quel punto, Boseman fa un tuffo alla sua destra e Huss dice a se stesso: "Cospicuo”. Toby Huss, un caratterista versatile, ride quando gli viene chiesto della scena. "Tutto merito dei nostri allenatori", dice, "Penso di aver battuto .067 nella Little League. Quanto a Chadwick, era una bella persona e un attore meraviglioso, ma non riusciva a lanciare una palla da baseball quando hanno iniziato le riprese. In qualche modo, ce l'abbiamo fatta". "Questa è la mia parte preferita del film", dice Dennis Zimmerman, un addetto alle vendite di Past & Present Motor Cars a Winter Garden, Florida. La sua parola dovrebbe valere qualcosa: è uno dei quattro nipoti di Sukeforth. Dopo che il manager Leo Durocher fu sospeso per la stagione 1947, Sukeforth lo sostituì come skipper dei Dodgers nell’opening day e scrisse il nome di Robinson nel lineup di Brooklyn e nei libri di storia Clyde e Jackie si stringono la mano e sorridono in panchina, ciascuno con un piede sul campo. La fotografia è stata scattata l’opening day all’Ebbets Field, il 15 aprile 1947, e sembra che stiano condividendo un segreto. Di fianco a loro ci sono quattro uomini che non sorridono: Ed Stevens e Howie Schultz, due prime basi che non giocano perché Jackie c’è, e Jake Pitler e Ray Blades, due coach che non stanno dirigendo perché Clyde c’è. Sullo sfondo, sporgendosi dalla panchina, c'è una falange di ragazzi di Brooklyn che vogliono dare uno sguardo più da vicino alla storia. Durocher avrebbe dovuto essere il manager. Aveva represso una rivolta dei giocatori contro Robinson durante lo spring training e aveva la piena fiducia di Rickey. Ma aveva anche avuto una vita personale disordinata che offese alcune persone virtuose e potenti e che convinsero il Commissioner Happy Chandler a fare qualcosa. Cosa che fece sospendendo Durocher per un anno - il 9 aprile. Quando il Commissioner diede la notizia a Rickey. Il GM rispose gridando: "Figlio di puttana!" e lo ripetè una seconda volta. Dopo aver riflettuto sulle possibili scelte e aver consultato Sukeforth e Blades, Rickey decise di chiedere allo scout dei Dodgers Burt Shotton se voleva il lavoro. Shotton era una scelta curiosa per il grande esperimento: non aveva più allenato a tempo pieno dal 1933, quando guidò i Phillies al settimo posto, ed era così della vecchia scuola che dirigeva in abiti civili come Connie Mack. E poiché viveva in Florida, sarebbe stato in ritardo per la partita del giorno di apertura a Brooklyn contro i Boston Braves, quindi Rickey aveva chiesto ai coaches di scegliere un manager ad interim tra di loro. Scelsero Sukeforth. Ecco perché fu Sukeforth a scrivere ROBINSON 1B tra STANKY 2B e REISER CF sul lineup. In un'intervista del 1987 con C. Eric Lincoln per il Baseball Research Journal, Sukeforth aveva ricordato: "Ho portato il lineup fino al piatto di casa base quel giorno, l'ho consegnata agli arbitri e al manager dei Braves, [Billy] Southworth. Non è stato detto nulla. che posso ricordare. Così tanto rumore. È quello che ricordo. Ho consegnato loro le carte e sono tornato in panchina. I Dodgers sono scesi in campo e basta. La stagione è iniziata. Semplice. Almeno per me". Nelle sue prime tre battute contro Johnny Sain, Robinson aveva battuto un groundout sulla terza, volata a sinistra per terminare il terzo inning e colpire in doppio gioco per terminare il quinto inning. Ma poi, con i Dodgers in svantaggio 3-2 nella parte bassa del settimo, Stanky aveva aperto con una base su ball e Robinson mise a terra un bunt di sacrificio che si trasformò in un errore da due basi che diede il via a un rally da tre punti. Punteggio finale: Dodgers 5, Braves 3, Scettici 0. "Più parlavamo", aveva detto Clyde Sukeforth di Jackie Robinson, "più mi piaceva. C'era qualcosa in quell'uomo che ti colpiva. Era duro, intelligente ed orgoglioso" Dopo un giorno libero, i Dodgers sconfissero i Braves 12-6 e Sukeforth cedette la guida a Shotton. Quel piccolo intermezzo tra Durocher e Shotton era troppo complicato per lavorare nella sceneggiatura di "42", quindi la giustizia poetica di Sukeforth che scrive il nome di Robinson sul primo lineup card si perde nel film. L'arte non può sempre imitare la vita. Ma la vita a volte può imitare l'arte. "In realtà ho provato per la parte di Leo Durocher", dice Huss, "L'hanno dato a Chris Meloni, ma poi il regista, Brian Helgeland, ha detto che avrebbero potuto avere un'altra parte per me: Clyde Sukeforth. Ho letto la sceneggiatura e ho pensato, Sembra interessante". Anche Huss è caduto in uno stato meravigliosamente surreale. "Ho iniziato a leggere di lui e mi sono reso conto che era come lo Zelig del baseball. Così ho deciso che dovevo volare nel Maine. Ho iniziato dalla biblioteca a Washington, e mi hanno messo in contatto con il capo dei pompieri di Waldoboro, che conosceva Sukeforth perché aveva giocato nella Little League. Disse che Sukeforth andava alle loro partite con una sedia da giardino e un cronometro. Inoltre portava tutti i tipi di attrezzatura che gli erano stati regalati a causa di chi era". Il capo dei vigili del fuoco - Bill Maxwell è il suo nome - mi ha detto che una volta stava esaminando alcune delle palle da baseball che Clyde gli aveva dato, e c'erano degli autografi. Ha detto che è andato da lui e ha detto: "Clyde, Reggie Jackson ha firmato questa palla! E lui seraficamente ha risposto: "Ah, va bene, ai bambini non dispiacerà". Huss, cresciuto a Marshalltown, Iowa, la casa del notoriamente bigotto Hall of Famer Cap Anson, ha anche visitato la casa sull'acqua di Sukeforth e il cimitero di Brookland. "Ho imparato ad amare il tizio", dice Huss. "Quando sono andato sulla sua tomba, c'erano tre palle da baseball lì - una piuttosto vecchia, una che era lì da un po' e una relativamente nuova. Quando me ne sono andato, c'erano quattro palle da baseball". Sorridono tutti, Clyde Sukeforth nella sua uniforme dei Dodgers, Helen Sukeforth di 9 anni con le trecce e Burt Shotton con il papillon. È il 1947 e avevano tutte le ragioni per essere felici. I Dodgers avrebbero vinto il pennant e Robinson avrebbe battuto .297 con 29 basi rubate leader della League e avrebbe vinto il premio Rookie of the Year. Avrebbero perso le World Series in sette partite contro Joe DiMaggio e gli Yankees, ma avrebbero conquistato l'America. Sukeforth aveva descritto il suo accordo con Shotton in questo modo: "Ero le gambe del signor Shotton e lui aveva il cervello. Che combinazione. Ha fatto un lavoro meraviglioso portandoci al pennant quell'anno". Ma la stagione non fu priva di incidenti. Nel "Baseball's Great Experiment", Jules Tygiel descrive una partita di settembre in cui il ricevitore dei Cardinals Joe Garagiola colpì con gli spikes Robinson nel secondo inning. Quando Robinson andò a battere nel terzo, disse qualcosa a Garagiola che rispose di rimando, e questo portò a uno "scambio a denti stretti". Sukeforth uscì dal dugout per trattenere Robinson e calmare le cose.Durocher tornò per iniziare la stagione del '48, ma venne ceduto ai Giants dopo 72 partite, e Shotton fu richiamato. Ecco perché Sukeforth era finito in uno dei dipinti più famosi di Rockwell. L'artista e un fotografo si erano presentati all'Ebbets Field il 14 settembre per fare il loro servizio, e poiché Shotton non poteva scendere in campo con i suoi abiti civili, Sukey era il rappresentante sul campo dei Dodgers. Nel dipinto, Rockwell aveva accentuato i suoi lineamenti, facendolo assomigliare più a Ichabod Crane (*) che a Clyde Sukeforth, ma era proprio lui. Sullo sfondo, il seconda base dei Pirates è Danny Murtaugh. Il tabellone segnapunti dice che il punteggio è PITTS 1 e BKLYN 0 nella parte inferiore del sesto. Mentre il punteggio è aperto all'interpretazione, il Saturday Evening Post in realtà aveva fornito una spiegazione: "Nella foto, Clyde Sukeforth, un coach di Brooklyn, potrebbe benissimo dire: Potresti essere tutto bagnato, ma non cade una goccia! Il Pittsburgher raggomitolato - Bill Meyer, manager dei Pirates - sta senza dubbio ribattendo: Per amore di Abner Doubleday, come possiamo giocare con questo acquazzone?". A quanto pare, i Dodgers ritenevano che avrebbero dovuto continuare a giocare, mentre i Pirates volevano tornare a casa con una vittoria per 1-0. Shotton allenò i Dodgers con un altro pennant nel 1949, ma ancora una volta persero contro gli Yankees. Sukeforth, il tuttofare di Rickey, aveva continuato ad aiutare con lo scouting. Qualche volta durante la stagione 1950, i Dodgers contattarono i Baltimore Elite Giants per chiedere informazioni sul secondo base Jim Gilliam. Poiché la squadra della Negro League aveva bisogno di un nuovo autobus, fu fatto un accordo: 4000 $, più $ 1000 per l'autobus, in cambio di Gilliam e di un lanciatore di nome Joe Black. Secondo Jimmy Breslin: "ci fu un giorno in cui Sukeforth avrebbe detto a Rickey che aveva la più grande fortuna immaginabile: aveva due giocatori delle World Series per 5000 $. Rickey rispose: la fortuna è il residuo del disegno". I Dodgers di Wait Until Next Year avevano bisogno di tutta la fortuna che potevano ottenere. Erano 0-7 nelle World Series, le ultime due sotto Rickey, che andò ai Pittsburgh alla fine della stagione 1950 dopo una lotta di potere con il proprietario Walter O'Malley. Ma la speranza è eterna, e il 3 ottobre 1951 i Dem Bums affrontarono Durocher e i Giants in una partita di playoff al Polo Grounds per il diritto di incontrare gli Yankees nelle World Series. Charlie Dressen era ora il manager dei Dodgers e Sukeforth era il suo bullpen coach. Potresti riempire una libreria con la letteratura scritta sulla partita. Ma si arrivò a questo: Don Newcombe aveva preso un vantaggio di 4-1 nella parte bassa del nono ma poi concesse due singoli e un doppio con un out. Con la prima base libera, Bobby Thomson nel box di battuta e Willie Mays on deck, Dressen chiamò Sukeforth nel bullpen per vedere quale dei suoi due relievi fosse la scelta migliore, Erskine o Branca. Erskine che nel riscaldamento aveva appena fatto cadere a terra alcune curve, indusse Clyde a dire: "Branca". Bobby Thomson festeggia il suo "Shot Heard 'Round the World" e Jackie Robinson di spalle guarda la scena Dressen avrebbe potuto ordinare una base intenzionale, ma non lo fece. Thomson sventolò sul conteggio di 0-1 per Branca e la palla atterrò nella tribuna inferiore a sinistra. L'editorialista del New York Herald Tribune Red Smith concluse la sua storia della partita dicendo: "Ralph Branca si è voltato e si è avviato verso la clubhouse. Il numero sulla sua uniforme sembrava enorme. Tredici". Almeno è così che è andata la storia di Shot Heard 'Round the World. Sukeforth lo definì qualcosa di diverso nella sua intervista con Eric Lincoln: "Il ragazzo ha colpito questo popup - giuro che era un popup - che è atterrato nella prima fila in tribuna e questo è tutto ciò che ha scritto". Nei giorni successivi alla sconfitta, Dressen, che forse avrebbe dovuto mandare in base Thomson, scaricò la colpa su Sukeforth. Alla domanda sul perché avesse messo come rilievo Branca, Dressen rispose: "Sukey ha detto che era pronto per partire". Dopo tutto quello che Sukeforth aveva fatto per i Dodgers, non gli restava altra scelta che accettare la sconfitta. "Se fossi rimasto a Brooklyn, avrei dovuto riviverlo", diceva. Le sue dimissioni furono annunciate il 5 dicembre 1951 e al suo posto fu assunto Billy Herman. Sukeforth però non era troppo turbato. Aveva già telefonato a Branch Rickey. E aveva appena sposato Grethel Winchenbach, una vedova di 35 anni di Waldoboro. Sembrava naturale per l'ex catcher: il suo nome da ragazza era Pitcher. CARD NO. 364 della collezione Topps 1952 appartiene al coach dei Pittsburgh Pirates Clyde Sukeforth, che sembra dire "Dove sono"? Sorriso! Quel set di figurine è probabilmente il più prezioso della storia, in parte perché ha bellissime immagini simili a ritratti di 407 giocatori, ma soprattutto perché la numero 311 è la prima carta di Mickey Mantle per Topps, che è stata venduta per 2,8 milioni di $ nel 2018. In ottime condizioni, Sukeforth può valere circa 1500 $. Sul retro della figurina, c'è scritto: "Quando non è impegnato sul campo di gioco, Sukey viene usato come risolutore di problemi per i farm club dei Pirates". In realtà, il manager dei Pirates, Billy Meyer, pensava che il suo partner "Tough Call" stesse cercando di prendere il suo posto. Alla domanda, durante lo spring training, delle responsabilità che avrebbe avuto Sukey, Meyer disse: "Perché, è facile rispondere. Non dovrebbe essere il mio successore?". Dato che i Pirates stavano uscendo da due stagioni orribili, sarebbe stata un'ipotesi ragionevole, ma per due motivi il suo ruolo fu un altro. Uno, Sukeforth non voleva essere un manager di Major League - troppe seccature. Due, Rickey non stava cercando soluzioni rapide. Aveva bisogno di trovare giocatori, e aveva voluto Sukeforth "un acuto giudice del talento di baseball, uno dei migliori". I Pirates del 1952 furono una delle peggiori squadre nella storia del baseball, finendo 42-112, 54 partite e mezzo dietro ai Dodgers. Meyer si dimise e fu sostituito da Fred Haney, ma i Pirates non riuscirono ancora a sfuggire all'ultimo posto nel '53 e '54. A metà della stagione '54, Rickey mandò Sukeforth, che era ancora un coach, a Richmond per visionare il lanciatore dei Montreal Joe Black e capire se valesse la pena di acquistarlo. Sukeforth si presentò diligentemente per il batting practice dei lanciatori per parlare con Black. La sua attenzione, però, fu attirata da un altro giocatore che raccoglieva il BP. Nella biografia di Roberto Clemente di Bruce Markusen, "The Great One", Black ricordava: "Clyde viene da me e dice: Chi è quel lanciatore che colpisce tutte le palle? Ho detto: "Quale lanciatore?". Si scopre che i Dodgers stavano cercando di nascondere Clemente perché la dimensione del suo bonus alla firma lo rendeva idoneo ad essere inserito nella Rule 5 del draft alla fine della stagione. Nella sua intervista del 1994 con Sports Collectors Digest, Sukeforth riprendeva la storia: "Stavano facendo il loro allenamento degli interni e esterni e c'era questo ragazzo là fuori - un braccio davvero eccezionale. Non potevi fare a meno di notarlo. Non stava giocando, però. ... Le quattro notti successive ero là fuori a guardarlo durante il batting practice e la sua tecnica era un po' poco ortodossa, ma aveva una buona battuta di potenza ... Così ho scritto al signor Rickey. Ho detto: "Joe Black non ha lanciato ma ho una scelta al draft". Se non fosse stato per Clyde Sukeforth, che lo scrittore Jimmy Breslin ha definito "il coach di terza base della storia", il grande Roberto Clemente dei Pirates potrebbe non essere mai entrato a Cooperstown Quando gli scout si incontrarono tutti alla fattoria di Rickey fuori Pittsburgh verso la fine della stagione per decidere quale dovesse essere la prima scelta del progetto, tutti sembravano avere la propria scelta. Rickey chiese: "Hai un candidato, Clyde?" E Sukeforth rispose: "Clemente è decisamente il nostro uomo". Rickey si fidava di Sukey, ma voleva anche verificare di persona. Così il 72enne Rickey volò a Puerto Rico per vedere Clemente giocare per Santurce nella winter league, dove venne superato nella corsa per il titolo di battuta da uno dei suoi compagni di squadra, l’esterno centro Willie Mays. Il 22 novembre 1954, i Pirates rubarono Clemente ai Dodgers per 4000 $. Con la benedizione di Bing Crosby, un comproprietario della squadra, Rickey aveva già messo in moto un movimento di giovani. In quello stesso anno, i Pirates firmarono un interbase di 17 anni da Tiltonsville, Ohio, di nome Bill Mazeroski. Pittsburgh aveva appena assegnato il ruolo di interbase all'ex star del basket della Duke Dick Groat, quindi Rickey spostò Mazeroski in seconda base. I Pirates stavano facendo crescere l'outfielder Bob Skinner e i lanciatori Bob Friend e Vern Law (Law, dall'Idaho, aveva firmato con i Pirates perché Crosby aveva fatto una telefonata a sua madre). Avevano anche ripreso il lanciatore Elroy Face dal dimenticatoio e gli avevano suggerito di imparare a lanciare la forkball. Ma c'era un prospetto di lanciatore da Brooklyn che avevano perso, qualcuno su cui Branch Rickey Jr. e Sukeforth erano particolarmente interessati: Sandy Koufax. Per la sua biografia definitiva e omonima di Koufax (sottotitolata "A Lefty's Legacy"), Jane Leavy aveva parlato con Sukeforth nell'ultimo anno della sua vita. "Quanto forte lanciava?" Sukeforth rispose: "Più duro di chiunque altro. Ha quello che cerchi in termini di qualità. Voglio dire, il buon Dio è stato buono con lui". Nell'estate del '54, Sukeforth fece in modo che Koufax avesse un tryout privato al Forbes Field. Groat fu testimone. "Mentre attraversavo il cancello", raccontò a Leavy, "ho visto tutti i pezzi grossi di Pittsburgh - Branch Rickey Sr., Clyde Sukeforth, Rex Bowen, George Sisler, Fred Haney - e c'era un ragazzino che lanciava, grande corpo, un rilascio meraviglioso". A ricevere Koufax quel giorno fu il coach dei Pirates Sam Narron. Ecco come l'autore Roger Kahn descrive la sessione: "Koufax lanciava sempre più forte fino a quando una palla veloce ruppe il pollice di Sam Narron, un pollice protetto da un guanto da ricevitore. Rickey disse tranquillamente a Sukeforth: questo è il braccio più bello che abbia mai visto". Dopo il loro successo con i Dodgers, Branch Rickey e Clyde Sukeforth trovarono di nuovo il successo a Pittsburgh, dove Rickey trasformò i Pirates in vincitori sotto l'occhio vigile di Bing Crosby, un co-proprietario della squadra Purtroppo, la nemesi di Rickey, il proprietario dei Dodgers Walter O'Malley, era più generoso con i suoi soldi del proprietario dei Pirates John Galbreath, e Koufax firmò con Brooklyn. I Pirates finirono di nuovo ultimi nel 1955, e Rickey e Sukey dovettero guardare mentre i Dodgers, che avevano Robinson, Campanella, Newcombe, Gilliam, Black e Koufax, vinsero finalmente una World Series, in sette partite contro gli odiati Yankees. A causa di problemi di salute, Rickey consegnò le redini di GM a Joe L. Brown alla fine di quella stagione. Tuttavia, il "Mahatma" rimase nel consiglio fino all'agosto del 1959. Quando i Pirates licenziarono Bobby Bragan come skipper dopo 103 partite nel 1957, a Clyde fu offerto il lavoro. Ancora una volta, rifiutò la possibilità di diventare un manager di Major League. "Non chiedo molto alla vita", aveva detto una volta a Les Biederman del Pittsburgh Post-Gazette, "ma voglio la contentezza. Non potrei mai trovarla come manager. Ho una vita familiare felice, possiedo una fattoria a Waldoboro, e tra le cose che coltivo ci sono alberi di Natale". Ma lasciò ai Pirates un regalo da mettere sotto il loro albero. Aveva convinto Brown e un riluttante Rickey che il coach Danny Murtaugh, un altro ragazzo di quel dipinto di Rockwell, era l'uomo giusto per il ruolo di manager (I titoli delle World Series nel 1960 e nel 1971 gli avrebbero dato ragione). Alla fine della stagione '57, Sukeforth annunciò il suo ritiro. "Ho iniziato a giocare a baseball nel 1926", aveva detto a Biederman, "e sento che è ora che vada in pensione con la mia famiglia e nella mia fattoria ... Ho fatto una promessa a mia moglie e a mia figlia e ho intenzione di mantenerla". Così si prese un po' di tempo libero e guardò da lontano mentre i Pirates cambiarono le cose. Fu coinvolto nella politica del Partito Democratico, il che era ironico dato che Jackie Robinson era diventato un sostenitore del Partito Repubblicano. Poi i Pirates vinsero il loro primo campionato in 35 anni e JFK iniziò la sua New Frontier. La figlia di Sukeforth divenne maggiorenne e si trasferì in Texas, sua moglie era ora la direttrice dell’ufficio postale di Waldoboro ... e Sukeforth ebbe di nuovo il prurito. Dopo aver visitato alcuni amici del baseball in Florida, accettò di dare una mano con i minor leaguer dei Pirates, ed fu così che si ritrovò ad allenare la loro affiliata di Classe A a Gastonia della Western Carolinas League nel 1965. Uno dei suoi giocatori era un interno di Sackville, New Brunswick, di nome Murray Cook. "Che grande vecchio era", disse Cook, che è poi diventato il GM dei New York Yankees, Montreal Expos e Cincinnati Reds. "Era sulla sessantina, riceveva i lanciatori, lanciava il batting practice e ci trasmetteva la sua saggezza. Ho imparato tanto da Clyde". "Un giorno, però, uno dei nostri pitcher, Billy Queen, effettuò un lancio pazzo durante una sessione di lancio, e colpì Clyde alla testa. Fu davvero spaventoso. Era sdraiato a terra, e il medico della squadra, che era un neurochirurgo, lo esaminò. Quando Clyde tornò in sè, il dottore gli disse che lo stava portando in ospedale perché avrebbero dovuto operarlo. Clyde gli disse che non poteva farlo per motivi religiosi. Immagino fosse un Christian Scientist". "Quindi riordina le idee e poi dice alla squadra: sentite, ragazzi, torno nel Maine per riprendermi. Se non torno qui entro tre settimane, significa che sono morto. Bene, poche settimane dopo, si presenta, impaziente di ricominciare". Per P.J. Shelley, Sukeforth era Forrest Gump. Per Toby Huss, era Zelig. Per lo storico del baseball e nativo del Maine Karl Lindholm, Clyde era Ulisse. Questo è ciò che Lindholm, che tenne un corso sulle Negro League al Middlebury College, scrisse per l'edizione della primavera del Baseball Research Journal del 2014: "Era il mitico giovane di provincia che andò in città e partecipò a un dramma epico, e poi, dopo una straordinaria carriera piena di grandi avventure, riparò nella sua Itaca - Waldoboro - per vivere la sua lunga vita. Un vecchio saggio in pace in un ambiente familiare e rassicurante". "Volevo giocare a baseball ", disse una volta Sukeforth - con gli altri Dodgers Al Lopez e Ray Berres allo spring training del 1934 - "Questo è tutto quello che volevo fare" Quando Sukeforth finalmente si rese conto di essere troppo vecchio per un'uniforme, divenne uno scout dei Braves, coprendo il New England e le province dell'Atlantico. Nel 1972, Sukeforth si avventurò a New York City per incontrare uno dei suoi vecchi prospetti. Sembra che il governo delle Isole Vergini americane stesse organizzando un pranzo speciale da Mama Leone per onorare Jackie Robinson. C'erano Ralph Branca, Bobby Thomson e Joe Black. A Sukeforth fu chiesto di parlare, ma rifiutò. Però posò per una foto con Robinson. Dagli sguardi sui loro volti sorridenti, avevano ripreso da dove avevano interrotto. Pochi giorni dopo, Sukeforth ricevette una lettera da Robinson su carta intestata della Jackie Robinson Construction Corp. di Englewood Cliffs, New Jersey datata 21 luglio 1972, in cui si leggeva: "Anche se non è stato detto abbastanza del tuo significativo contributo all'esperimento Rickey-Robinson, considero il tuo ruolo, accanto a quello del signor Rickey e di mia moglie - - sì, più grande di qualsiasi altra persona con cui sono entrato in contatto. Ti ho sempre considerato uno dei veri giganti in questo primo tentativo nel baseball, per il quale ti sono veramente grato". Tre mesi dopo, il 24 ottobre, Jackie Robinson morì all'età di 53 anni. E l'ultimo giorno del '72, Clemente morì in un incidente aereo mentre volava in Nicaragua per aiutare i sopravvissuti al terremoto. Con la stessa bella scrittura a mano come quella sulla mazza, l’11 novembre 1980 Clyde scrisse una lettera su carta intestata dei Braves a un altro discepolo di Rickey, Rex Bowen. Nella lettera, Clyde scrisse di essere andato in Texas a visitare Helen e i nipoti e la possibilità di trasferirsi in un posto più caldo, ma a Grethel non piaceva, e inoltre, aveva una dozzina di trappole per aragoste e un Epagneul Breton che stava diventando un ottimo cane da caccia. E poi, da un cane ad altro, passò al baseball: "Ho visto i due lanciatori di cui hai parlato in TV, e sono stati sicuramente impressionanti, soprattutto dopo aver visto i tre milionari dello staff dei Red Sox, vale a dire Eckersley, Campbell e Torrez. Eckersley porta il piede in alto anche con gli uomini sulla base, e tutti e tre hanno la gamba anteriore rigida e cadono dappertutto" (Nota: Eckersley stava uscendo da una stagione 12-14 ed era ancora a pochi anni dal perfezionare il suo rilascio e diventare un rilievo a tempo pieno). Clyde e Grethel erano comodamente sistemati nella loro casa vicino all'acqua. Clyde aveva investito saggiamente, e poi, nel 1977, arrivò un colpo di fortuna: Grethel vinse 150000 dollari alla Lotteria del Maine. Ora completamente in pensione e membro della Maine Sports Hall of Fame, aveva ripreso la sua simpatia giovanile per i Red Sox, si era preso cura delle sue pentole di aragosta e pomodori e portava il suo cronometro alle partite di baseball locali, che fossero del college, del liceo o della Little League. Bill Maxwell, il pompiere che aveva parlato a Toby Huss a Waldoboro, racconta: "Conoscevo il signor Sukeforth per gran parte della mia vita. E poiché ero coinvolto nel baseball, l'ho visto spesso - era come se non fosse una partita vera se lui non era lì seduto sulla sua sedia da giardino con il suo cronometro, come se stesse ancora cercando un Hall of Famer. Significava qualcosa per i bambini che lo guardavano: Vedi quel vecchio laggiù? Ha scoperto Jackie Robinson e Roberto Clemente". "Una volta, però, a una partita dell'American Legion, era seduto sulla sua sedia sul lato della prima base quando una palla foul lo colpì al polso. Ci siamo precipitati tutti lì, ma ci ha cacciati via. Non fate storie, disse, sono già stato colpito a suo tempo". Sukeforth avrebbe potuto vivere la sua vita nell'oscurità delle note a piè di pagina se il regista Ken Burns (**) non avesse guidato per quattro ore da Walpole, New Hampshire, a Waldoboro con la sua squadra nel 1992. Non avrebbe potuto raccontare la storia del National Pastime senza Jackie Robinson, e non avrebbe potuto raccontare la storia di Jackie senza Clyde Sukeforth. "Era una giornata piovosa", ricorda Burns, "e abbiamo guidato lungo una strada sterrata fino a casa sua sull'acqua. Abbiamo parlato con molte persone, ovviamente, per "Baseball", ma Clyde si distingue nella mia memoria perché lui era così modesto, dignitoso e dolce. Eccoci qui, a intervistare una delle figure fondamentali del gioco, ed era come se stessimo parlando con un pescatore del Maine. Ci ha dato 4 ore e mezza, che è molto, e ci ha dato un un'immagine molto più chiara di come erano Rickey e Jackie". C'erano altri ospiti. Murray Cook si era fermato mentre andava a New Brunswick. Helen aveva quattro figli e 11 nipoti, quindi si facevano partite di baseball e picnic quando la famiglia andava a trovarli durante l'estate. Brian O'Gara, che ora è il vicepresidente per gli eventi della Major League Baseball, e Frank Slocum, che conosceva Clyde dai suoi giorni con i Dodgers ed era allora in carica come Baseball Assistance Team. "Ho incontrato Clyde al cottage ed è stato come rivivere la storia del baseball attraverso i suoi occhi. L'All-Star Game di quell'anno era stato a Pittsburgh, quindi era particolarmente eccitato parlando dei suoi giorni con i Pirates". Nell'ottobre del 1995, l'anno dopo la prima di "Baseball", la Gibbs Library di Washington, nel Maine, organizzò una mostra dedicata a Sukeforth. Mentre guardava tutte le foto in bianco e nero che coprivano i muri all'apertura, chiese: "Perché ti preoccupi di un ricevitore di riserva?" In una successiva domanda e risposta a cui hanno partecipato i Little Leaguers locali, gli era stato chiesto quale fosse il momento preferito della sua carriera. "Mi è piaciuto ogni giorno". Nel 1997 ricorreva il 50° anniversario dell'anno da rookie di Jackie Robinson, e Sukeforth fu particolarmente impegnato. Il defunto, grande Dave Anderson del New York Times, che aveva conosciuto Sukeforth quando lavorava per il Brooklyn Eagle, andò a trovarlo quel marzo al Camden Health Care Center - si stava riprendendo da una frattura al bacino subito scivolando sulla brina sul gradino anteriore. "Potrei stare meglio, ma potrei essere stare peggio", aveva detto Clyde ad Anderson, "Questo è vero per tutti noi, suppongo". Quando Anderson gli chiese il segreto della sua longevità, disse: "Alzarsi alle 5 ogni mattina e mangiare una mela ogni giorno. ... Mio nonno coltivava alcune delle migliori mele. Aveva circa 20 tipi diversi, ma alcune sono scomparse. C'è concorrenza anche in quel campionato". Branch Rickey III andò a trovarlo per filmare un pezzo per la Jackie Robinson Foundation. "Vederlo ha riportato alla mente tanti ricordi, di mio nonno e mio padre, di Ebbets Field e Forbes Field, del modo in cui Clyde si poneva, di quanto fosse morbida la sua voce". "Ricordo di aver concluso la nostra intervista con tre domande. La prima è stata: Quale pensi sia l'eredità di mio nonno? Clyde rispose, un po' in tono monotono: La creatura Robinson". "La seconda era: Quale pensi che dovrebbe essere la sua eredità? Clyde ci pensò su e disse: Quanto era di gran lunga davanti a tutti, e non solo nel baseball". "E la terza era: Cosa ricorderai di lui? La sua risposta mi ha sia sbalordito che elettrizzato. La sua compassione, disse". Come se il suo accento non fosse abbastanza per dirti che fosse del Maine, Clyde Sukeforth indossava una camicia da boscaiolo sopra una camicia da boscaiolo. Era il 1996 e stava parlando alla telecamera. La Hall of Fame era andata a intervistarlo. Mentre oscillava avanti e indietro, Sukeforth ricordava il debutto professionale di Robinson a Jersey City nel '46: "Il giorno prima, Frank Shaughnessy, il presidente della International League, aveva implorato il signor Rickey, Non portare lì quel tipo - - avrai una rivolta razziale. Il signor Rickey non aveva mai interrotto nessuno perché voleva ricevere la lamentela completa. Disse: Frank, Robinson giocherà, e scommetto su tutto quello che possiedo o potrei prendere in prestito che quando la partita sarà finita, sarà il l'uomo più popolare dello stadio. Be', era un eufemismo". Ted Spencer, che allora era il curatore capo, e Bruce Markusen, il ricercatore che avrebbe condotto l'intervista, erano andati a Waldoboro da Cooperstown. Sukeforth era a casa al cottage con Grethel. Moody's Diner, un'istituzione del Maine era uno dei ritrovi preferiti di Clyde Sukeforth, serve piatti tradizionali agli avventori locali - così come a luminari come Ted Williams - dal 1927 "C’era un freddo cane, ma si rivelò una giornata meravigliosa", dice Spencer. "Ci siamo fermati da Moody's - ho mangiato la salsiccia cheddar. Clyde ci ha concesso una bellissima intervista, ma quello che mi è rimasto impressionato è la sua reazione quando abbiamo parlato di Rachel - ha chiesto di lei con sincero affetto. Ricordo anche questo: dopo durante la nostra intervista, andò a cacciare degli uccelli". "Eccolo lì", dice Markusen, "a vivere in quella che sembrava la fine del mondo, verso la conclusione di una vita straordinaria. Ma per quanto significativo fosse il suo ruolo nella storia del baseball, non hai mai avuto la sensazione che pensasse di essere significativo. Era felice di vivere fuori su una strada sterrata, fuori dai riflettori". Lanny Winchenbach è un pescatore che all'epoca viveva da lungo tempo accanto ai Sukeforth. "Siamo stati vicini di casa per 30 anni", disse, "Amavo quel ragazzo. Guardavo fuori dalla mia finestra e lo vedevo guardare i suoi nipoti giocare a baseball con i suoi pronipoti, o spaccare la legna, o portare dentro le sue aragoste, e sorridevo. Rido ancora di quando lui infilò la mano nella tasca della sua giacca da caccia per prendere del tabacco, solo per scoprire che il suo cane ci aveva fatto la cacca". C'è stata una volta in cui il mio camion è andato in tilt sul ghiaccio andando in discesa, e si era messo di traverso, temendo di essere speronato da qualcuno che veniva dall'altura. Sono corso a casa di Clyde, e lui ha tirato fuori il suo camion a quattro ruote e mi ha rimorchiato al sicuro. "Era la definizione di un buon vicino. Tornavo a casa la sera tardi e lui guardava fuori dalla finestra della cucina come per assicurarsi che tornassi a casa ok. Per alcune settimane dopo la sua morte, ho continuato a guardare dalla finestra, quasi aspettandosi di vederlo". Sukeforth ha lasciato Winchenbach con qualcosa di più dei ricordi. "Ho il suo cronometro", dice Winchenbach. Grethel morì il 30 settembre 1999, all'età di 82 anni. Era, a detta di tutti, una donna molto simpatica che fu vicina a Clyde per 48 anni. Sapeva, però, che quando lui sarebbe morto, sarebbe stato sepolto con Helen. Dopo la morte di Sukeforth il 3 settembre 2000, Anderson scrisse il suo necrologio per il Times, definendolo "lo scout e manager di Brooklyn che aveva accompagnato Jackie Robinson attraverso due delle pietre miliari del giocatore della Hall of Fame come il primo afroamericano nel baseball moderno. Avrebbe riso dell’aggiunta 'e manager' " . Lungi dall'essere dimenticato, Sukeforth ha continuato a essere celebrato negli anni successivi alla sua morte. Il Washington General Store ha dedicato una pizza, The Number 11, per il suo numero dell’uniforme con i Dodgers: crumble di polpette, peperoni, bacon, sottaceti, cipolla, ketchup piccante, salsa di senape, provola e mozzarella. Il consiglio di Waldoboro ha pianificato di dedicare il nuovo campo del complesso a Sukeforth. Quando è stato inaugurato il 1 maggio 2010, Derek Zimmerman, uno dei suoi nipoti, ha lanciato la prima palla. Cinque anni dopo, lì si è tenuto il torneo statale della Little League. Poco dopo essere stato scelto per interpretare Jackie Robinson nel film "42", l'attore Chadwick Boseman ha incontrato Rachel Robinson, la vedova di Jackie. Sia Boseman che Huss sono stati accolti calorosamente da Rachel, che lo sceneggiatore e regista Brian Helgeland ha consultato sulla sceneggiatura Toby Huss ricorda quella volta che Rachel Robinson ha visitato il set di "42". "Quando sono stato presentato a lei come l'uomo che interpretava Clyde Sukeforth, mi ha dato il più caloroso abbraccio". Ken Burns ha anche resuscitato Sukeforth quando ha convertito il filmato che aveva girato nel 1992 per il suo documentario del 2016 in due parti "Jackie Robinson". Nel "Sesto Inning" della serie "Baseball" è il momento di Sukeforth - e il documentario successivo valgono il tempo, soprattutto in questo momento cruciale della storia. È carino che Sukeforth continui a raccogliere accoliti. Tiger Cumming, studente dell’ultimo anno di liceo che tiene una rubrica di sport per The Lincoln County News, ha recentemente scritto dell'uomo da cui prende il nome il suo campo della Little League, citando Sukeforth che diceva che "non era un bravo scout" e che "poteva semplicemente scegliere gli Hall of Famer". Cumming ha aggiunto: "Mi sembra un buon scouting". Un altro è Alex Coffey, che segue gli Oakland A's per The Athletic. Ha scritto per la prima volta su Sukeforth quando ha lavorato alla Hall of Fame nel 2016 e poi è andato a Waldoboro per vedere dove viveva scrivendo un pezzo toccante per The Athletic la scorsa primavera. "Quella parte del Maine è un luogo sacro per me e la mia famiglia", dice. "Abbiamo trascorso l'estate a Round Pond, in fondo alla strada. E poiché mio padre, Wayne Coffey, era un giornalista sportivo che amava e scriveva di baseball, scrivere di Clyde è stato un compito da sogno". Per il suo pezzo, Coffey ha contattato Helen Zimmerman, la figlia di Clyde. Ora ha 82 anni, e proprio come suo padre, Helen non voleva fare un caso sui suoi legami con la storia del baseball. Ma lei lo ricordava mentre parlava del suo primo incontro con Robinson: "Jackie gli disse che gli scout bianchi non frequentavano molto le Negro League. Presumeva che qualcuno stesse cercando di essere divertente e stesse facendo uno scherzo. Papà aveva difficoltà a convincerlo che era legittimo". Quando ha contattato Zimmerman, ha scoperto che la mela non era caduta lontano dall'albero, anche se il suo accento del Texas è forte quanto quello di Sukeforth del Maine. Ha ricordi di quando andava all’Ebbets Field e al Polo Grounds e vedeva Robinson giocare. "Ma ora sono una fan sfegatata dei Rangers", dice, "Da quando papà ci ha portato alla prima partita dei Rangers ad Arlington". Alla domanda su chi sia il suo Ranger preferito, ha risposto: "Isiah, ovviamente". Anche a Sukeforth sarebbe piaciuto. Un giocatore noto come "The Hawaiian Hustle", Isiah Kiner-Falefa può giocare in quattro posizioni, compreso il catcher. È anche la prova che Jackie Robinson ha aperto un mondo di possibilità: Isiah è di origini samoane, hawaiane e giapponesi. Dennis Zimmerman ricorda anche quella prima partita dei Rangers nel 1972. "Clyde ci portò in campo e ci presentò al manager", dice, "Ted Williams". Negli anni successivi, Dennis ha visto suo figlio, Dillan, diventare un lanciatore d'élite. "Mi dispiace che mio nonno non sia riuscito a vederlo lanciare. Ha giocato per la Perfect Game Baseball Academy di Orlando con Dante Bichette Jr., che è stato arruolato dagli Yankees". "Considero il tuo ruolo [nell'esperimento Rickey-Robinson], accanto a quello del signor Rickey e di mia moglie ... più grande di qualsiasi altra persona con cui sono entrato in contatto", scrisse Robinson a Sukeforth nel 1972 Vediamo. Il pronipote di Sukeforth ha giocato con il figlio di Dante Bichette, che ha giocato a Milwaukee con la Hall of Famer Robin Yount, che ha giocato per Del Crandall, che ha ricevuto Johnny Sain, che è stato il primo lanciatore della major league ad affrontare Jackie Robinson. Tutte le strade portano a Friendship Road. "Ricordo ancora di aver guidato con lui attraverso Waldoboro", dice Dennis, "Salutava tutti. Non voleva mai spostarsi a sud. Era un vero Mainiac". Non ha mai voluto che la gente facesse storie su di lui, e la sua lapide lo riflette. Ma a quanto pare, il suo epitaffio è stato scritto molto tempo fa il 17 novembre 1957, quando Bob Cooke, l'editore sportivo del New York Herald Tribune, scrisse questo al momento del ritiro di Sukeforth: "I giocatori di baseball, da una panchina all'altra, lo chiamavano Sukey, e c'era molto affetto nel soprannome. Clyde non ne avrebbe mai parlato, ma aveva la reputazione di essere il coach di tutti. Molti big leaguer, indipendentemente dal fatto che fossero nella stessa squadra di Sukeforth o no, sarebbero andati da lui per un parere e un consiglio. E non c'è mai stato un giocatore che, dopo aver parlato con Sukey, non ne fosse uscito migliore". Clyde Leroy Sukeforth è stato un uomo fortunato e il baseball è stato fortunato ad averlo. A quanto pare, anche la fortuna può essere un residuo di decenza. (*) Ichabod Crane è un personaggio immaginario e il protagonista del racconto di Washington Irving "The Legend of Sleepy Hollow". Crane è ritratto, nell'opera originale e nella maggior parte degli adattamenti, come un individuo alto e allampanato con un affetto da spaventapasseri. (**) Kenneth Lauren "Ken" Burns (New York, 29 luglio 1953) è un regista statunitense. "Baseball" è una miniserie documentaria televisiva americana del 1994 creata da Ken Burns sul gioco del baseball. Prima trasmissione su PBS, questo è stato il nono documentario di Burns e ha vinto nel 1995 il Primetime Emmy Award per Outstanding Informational Series. È stato finanziato in parte dal National Endowment for the Humanities. |
Batboy si fa strada nella Hall of Fame Reliford ha infranto la barriera del colore della Georgia State League all'età di 12 anni La Minor League Baseball è nota per la sua ricca storia che risale a più di 110 anni fa. Sebbene sia stato scritto molto sulle migliori squadre e sui migliori giocatori che hanno onorato le minor, rimangono molte storie non raccontate o in gran parte dimenticate. Questa è una di quelle! Joe Louis Reliford voleva semplicemente un lavoro. Quello che ha ottenuto invece è stato un posto nella storia del baseball. Reliford era cresciuto nel profondo sud tra la fine degli anni '40 e l'inizio degli anni '50, uno dei 10 fratelli cresciuti da una madre single. Suo padre morì quando aveva 4 anni e crescendo Reliford sentì l'esigenza di aiutare sua madre e prendersi cura della famiglia. Quindi, fece quello che avrebbe fatto qualsiasi bambino povero di 10 anni. Si diresse nel luogo che conosceva meglio: il campo da baseball della sua città natale a Fitzgerald, in Georgia. Reliford aveva trascorso innumerevoli ore a guardare i Fitzgerald Pioneers della Classe D della Georgia State League dai vicini binari ferroviari. Quale modo migliore per guadagnare un po' di soldi, pensò, che attraverso il baseball? Ciò che Reliford non sapeva, tuttavia, era che quando decise di rivolgersi ad Ace Adams, il proprietario dei Pioneers, quel giorno della primavera del 1950, si sarebbe imbattuto in un percorso che gli avrebbe assicurato un posto nella Hall of Fame. Reliford non solo ottenne un lavoro come batboy, ma infranse anche la barriera del colore nella Georgia State League e divennne il giocatore più giovane che avesse mai giocato in una partita di baseball professionistico. "Ho ottenuto il lavoro perché volevo aiutare mia madre", racconta Reliford, oggi 82enne, "Il campo dei Pioneers era in fondo alla strada e io guardavo tutte le partite dai binari della ferrovia e appeso alla recinzione. Era lì che io e i miei amici giocavamo le nostre partite di baseball mentre guardavamo i professionisti che si allenavano". Amava il baseball, quindi perché non diventare un batboy per la squadra locale a pochi isolati da casa sua? C'era un problema: questo era il 1950 nel profondo sud e Reliford era nero. Le possibilità che una squadra tutta bianca in un campionato tutto bianco in uno sport praticamente tutto bianco assumesse un ragazzo nero di 10 anni sembravano improbabili. "Finalmente presi coraggio e andai a scoprire chi era l'allenatore e proprietario. E quando mi presentai a Ace Adams, gli dissi che volevo essere il batboy della sua squadra". "Tornai il giorno successivo dopo la scuola, e lui mi disse cosa doveva fare un batboy. Gli dissi anche che avrebbe dovuto chiedere a mia madre se era d’accordo perché questa era una squadra che viaggiava. Mia madre acconsentì. Così mi riportò allo stadio e mi diede un'uniforme. Quell'uniforme era così grande che mi starebbe bene oggi. Mia madre dovette modificarla". Joe ricorda che per il lavoro di batboy veniva pagato 68 $ ogni due settimane, più di quanto molti uomini adulti nella Georgia del Sud guadagnavano all'epoca. Mentre la segregazione era ancora prevalente nel sud all'inizio degli anni '50, in particolare nel baseball, Reliford racconta che non fu mai un grosso problema per lui. Sebbene Fitzgerald avesse una squadra tutta bianca, fu oggetto solo occasionalmente di commenti odiosi. In effetti, Adams e la maggior parte dei giocatori erano cresciuti come il giovane Joe. Uno di questi giocatori era Charlie Ridgeway, un veloce interno che si unì ai Pioneers nel 1952. Reliford prese subito in simpatia Ridgeway. Il sentimento era reciproco e si creò una fortissima amicizia. Quando la squadra si fermava per mangiare nei ristoranti sulla strada e io entravo con loro veniva subito detto a Mr. Ridgeway "Non diamo da mangiare ai neri", così per tutta risposta si andava altrove o si mangiava sull'autobus. "Mr. Ridgeway era un bravo giocatore e mi prese sotto la sua ala protettrice", racconta Reliford, "Volevo essere un corridore e rubare le basi come faceva lui, così lo imitavo. E quando fu promosso manager mi lasciava riscaldare i lanciatori, prendere palle al volo, grounders e ricoprire diverse posizioni durante gli allenamenti. Dopo un po' diventai abbastanza bravo. Ma essendo un bambino, fu solo divertente per me. Non ci pensavo". Per il ragazzo che era cresciuto guardando Satchel Paige nelle partite barnstorming attraverso la Georgia e Josh Gibson che batteva nelle partite locali della Negro League, riscaldarsi con giocatori professionisti bianchi sembrava inimmaginabile. Nel 1952, mentre il campionato si avvicinava all'estate, Fitzgerald languiva verso il fondo del circuito a otto squadre. I Pioneers alla fine finirono sesti, 14 partite sotto .500 e a 20 partite dal primo posto. Quindi non fu una sorpresa che il 19 luglio stessero subendo un’altra sconfitta al Pilots Field contro Statesboro, un'altra squadra di dubbia qualità. Ciò rese quella partita un po' diversa grazie al pubblico. Il poco pubblico era all'ordine del giorno, ma la locale Elks Lodge (famosa loggia massonica americana bianca) sponsorizzava il gioco e aveva riempito lo stadio. Gli spalti erano pieni di membri della loggia, molti dei quali si erano goduti la loro quota di bevande per adulti. Quando i Pioneers stavavano pedendo 13-0 al settimo inning, la folla iniziò a gridare a Ridgeway di "mettere il batboy". Un uomo meno coraggioso avrebbe potuto ignorare i suggerimenti. Ridgeway no. Anche se era contro le regole far giocare il batboy, Ridgeway pensava che Joe si fosse guadagnato una possibilità. Reliford avrebbe colpito per Ray Nichting, che, come lo descrive Joe, era la versione di "Mickey Mantle" dei Pioneers. "Ero nervoso. All'inizio pensavo che Ridgeway mi stesse prendendo in giro ed ero molto spaventato". "Ho chiesto all'arbitro Ed Kusick cosa sarebbe successo se lo avessi inserito, e lui mi disse: immagino che se batterà valido perderai la partita per forfait", aveva ricordato Ridgeway. "Così Joe ha preso un fungo - la mazza più leggera nella rastrelliera - ed è entrato nel box. Non avevamo una brutta squadra, ma era uno di quei giorni in cui tutto era andato storto e la folla voleva solo essere intrattenuta". "Aveva 12 anni, ma si allenava con noi ogni giorno e ogni tanto lo lasciavamo battere, quindi sapevo che non ci avrebbe messo in imbarazzo. Non ho nemmeno pensato al suo colore perché non avevamo razzisti nel club". Così Reliford - a 131 giorni dal suo tredicesimo compleanno - entrò nei libri di storia, diventando il giocatore più giovane mai apparso in una partita di baseball professionistico. Joe Nuxhall in precedenza deteneva questo record, essendo apparso in una partita per i Cincinnati Reds a 15 anni nel 1944. Reliford iniziò a scavare nel box del battitore per assumere la stance contro il lanciatore scioccato di Statesboro, Curtis White. Era troppo incredibile per essere reale: un bambino di 12 anni di un metro e mezzo in piedi contro un lanciatore esperto di 24 anni alto un metro e ottanta. La folla era al limite, felice di aver ottenuto ciò che voleva ed eccitata per qualunque cosa potesse accadere dopo. Curtis lanciò una palla veloce proprio vicino al corpo di Joe. Il lancio successivo fu un’altra fastball, ma Reliford era pronto. Colpì con precisione una forte rimbalzante lungo la linea che sembrava essere diretta verso l'angolo sinistro del campo. Ma il terza base di Statesboro prese la palla in backhand e sparò la palla in prima base, eliminando Reliford di un passo. Quella avrebbe dovuto essere la fine dell'apparizione di Reliford, ma Ridgeway si sentì obbligato a metterlo in difesa. Così disse al giovane di prendere il suo guanto e dirigersi all’esterno destro per quello che sarebbe stata la parte bassa dell’ottavo inning. "Pensavo stesse scherzando", racconta Reliford. "Gli dissi: Mr. Ridgeway non possiamo farlo! Ma lui rispose: Vai avanti, esci. Andrà tutto bene". "Avevano un corridore in prima base quando un altro colpì una rimbalzante verso di me", disse Reliford, "Il corridore corse verso la terza base perché immagino stesse pensando 'Quel bambino non può eliminarmi'. Ma quando arrivò in terza base, la palla lo aspettava e io l'avevo eliminato". Il battitore successivo fu Harold Shuster, il miglior battitore di Statesboro e uno degli slugger più temuti della League. Shuster colpì un drive in campo destro che fece correre Reliford contro il muro. "La recinzione non era così alta, ma quando ho alzato la mano, ho quasi colpito la parte superiore della recinzione", racconta Joe, "Sarebbe stato un fuoricampo, perché sicuramente la palla sarebbe uscita". Shuster fu derubato di un homer da un dodicenne, che riusciva a malapena a superare il recinto di un metro e mezzo. Joe realizzò una presa spettacolare - ponendo fine alla serie di 21 valide consecutive di Shuster - e poi successe il pandemonio. "Gli spalti si sono svuotati, e mi ha spaventato a morte", ha detto Reliford, "Avevo preso la palla e non dovevo nemmeno essere in campo. Tutti quei bianchi venivano verso di me e ho pensato che lo facessero perché avevo preso la palla. Ma erano felici per me e io non lo ero. Lo so, avevo 12 anni ed ero spaventato a morte". Gli spettatori gli diedero una pacca sulla spalla e gli ficcarono i soldi nelle tasche. "Dopodiché, il signor Ridgeway mi portò di corsa nello spogliatoio. Ha guardato nella mia tasca posteriore e ha visto che era piena di soldi. Mi avevano riempito le tasche. Non sapevo cosa fare. Ma ho fatto qualcosa che nessuno aveva mai fatto prima, e ricordo quel giorno proprio come se fosse ieri". Ridgeway fu multato di 50 $ dalla League e sospeso per cinque giorni per aver permesso a Reliford di giocare. La città raccolse la somma per pagare la multa. Kubick non fu così fortunato. La League lo licenziò per aver permesso che si verificasse un simile incidente. Reliford lasciò i Pioneers più tardi quell'estate per giocare per i Fitzgerald Lucky Stars delle Negro Minor Leagues. Ciò che rimane uno degli aspetti più sorprendenti della storia di Reliford è il fatto che il suo impegno storico rimane il momento clou della sua carriera nel baseball. Reliford era apparso in alcune partite per i Lucky Stars dopo quel cameo della Georgia State League. Continuò e diventò un atleta a quattro stelle alla Monitor High School. Ottenne una borsa di studio per la Florida A&M, ma una clavicola rotta durante una partita di football nel suo ultimo anno fece deragliare il suo futuro nello sport. Successivamente lavorò per anni come riparatore di jukebox, prestò servizio come agente di polizia a Douglas per un certo periodo e allenò le squadre di football e basket della locale high school per studenti afroamericani e servì per un mandato come commissario cittadino. Reliford accantonò il ricordo di quella giornata movimentata, non realizzando mai veramente cosa aveva fatto fino al 1980. Decise di vendere alcuni dei suoi cimeli e chiamò gli Oakland A's - Fitzgerald era una affiliata dei Kansas City A’s nel 1952 - con alcune domande su quella partita. Ma rimase sbalordito dalla risposta che ricevette. Joe Louis Reliford è stato insignito del Legendary Award (The History Maker) il 9 febbraio 2014 al FOX Theatre di Atlanta, GA La gente di Oakland non solo sapeva chi fosse, ma lo informò che c'era una piccola mostra in onore della sua performance nella Baseball Hall of Fame. Una rapida telefonata alla HOF confermò ciò che gli avevano detto gli A’s. Inoltre, Reliford è nel Guinness Book of Records ed è apparso nello show televisivo "Ripley's Believe It or Not". Da allora ci sono state molte storie locali che raccontano l'impresa di Reliford e Sports Illustrated gli dedicò un servizio e copertina nel 1990. È stato anche invitato alle partite dei Nationals per effettuare il primo lancio cerimoniale sedendo nel box del proprietario. Reliford ha scritto un best seller, From Batboy to the Hall of Fame, sull'evento con un progetto per un film. Ted Turner, ex proprietario degli Atlanta Braves, ha dato a Reliford un pass a vita per le partite.Joe Louis Reliford alla partita dei Washinghton Nationals Questa è la storia! È così che un bambino di 10 anni, che voleva solo aiutare sua madre, è finito con un'esibizione nella più santa istituzione del baseball e ha integrato il baseball professionista in una delle aree del paese più divise dal punto di vista razziale e brutalmente segregate."Non ho mai incontrato Jackie Robinson, ma mi considero un pioniere", ha detto Reliford, "Lui ed io abbiamo rotto la barriera del colore a cinque anni di distanza". "Ma in seguito ho saputo che sono stato io ad aprire le porte a giocatori come Hank Aaron, Willie McCovey e Frank Robinson. Hank ha giocato nel nostro campionato nel 1953". "Questo è il modo in cui ho scoperto me stesso", ha detto. "Non sapevo nemmeno di essere nella Hall of Fame". Reliford è stato sempre in contatto con Ridgeway, morto nel 2008, e trascorre gran parte del suo tempo adorando i suoi 16 nipoti. Vive a Douglas, in Georgia, dove ha avuto il primato di essere il terzo afroamericano assunto nelle forze di polizia della città. È un membro attivo della sua chiesa e ama ancora parlare di quel giorno del 1952, e parlando dell'evento nell’aprile del 2007 a Cooperstown ha detto: "Ho avuto una vita adorabile. Sono stato benedetto. Dio è stato buono con me" Reliford posa vicino al cartellone a Douglas, GA, che onora il suo momento nel 1952 Riferimenti da: MILB.com del 2007 e MLB del 2021 |
L'eterna eredità della giornalista sportiva Melissa Ludtke, che osò entrare nelle clubhouse della MLB Sono passati 43 anni da quando Melissa Ludtke ha vinto una delle cause legali più cruciali nella storia dei media sportivi. La sua eredità durerà per sempre. Melissa Ludtke nel 1978 Il baseball è "simbolico dei più alti standard di integrità e moralità negli sport professionistici ... Gli standard di condotta e gli atteggiamenti e il comportamento delle persone nelle major leagues spesso servono come modelli per milioni di bambini". Queste parole pronunciate dal Commissioner della Major League Baseball Bowie Kuhn nel 1978 vennero riportate l'anno successivo da Roger Angell sul New Yorker. Presa alla lettera, l’affermazione di Kuhn è abbastanza innocua; avrebbe anche potuto essere il risultato di un banale clichè, costruito da migliaia di frasi altrettanto varie sulle virtù del gioco. Ma l'intento di Kuhn era tanto specifico quanto la sua dichiarazione era ampia. Stava spiegando, a un giudice federale, il motivo per cui aveva escluso le giornaliste dalle clubhouse delle squadre. Se il baseball dovesse dare alle donne lo stesso accesso degli uomini, disse alla corte, questi alti standard di integrità e moralità cadrebbero. Il pass di Melissa Ludtke per Gara 7 delle World Series del 1977 Il caso divenne Ludtke v. Kuhn. Da un lato, l'uomo più potente del baseball. Dall'altro, Melissa Ludtke, 27 anni, giornalista sportiva di Sports Illustrated, che era stata esclusa dalla clubhouse dei New York Yankees mentre seguiva le World Series dell'anno precedente. In risposta, la società proprietaria di SI, Time Inc., lo citò in giudizio. Quarantatrè anni fa (a settembre del 2021), la corte si pronunciò a favore di Ludtke. La decisione fu un momento di svolta per le donne nei media sportivi. Legalmente, il cambiamento fu immediato. Ma culturalmente, c'era ancora molto lavoro da fare, lavoro che, in un certo senso, viene portato avanti ancora oggi. "La mia prima aspettativa quando ero giovane era esattamente questo: un tipo di ottimismo giovanile e la speranza che le cose sarebbero cambiate immediatamente. Ovviamente no. Non sono cambiate all'istante per le donne che si occupano di sport, e non sono cambiate all'istante anche per le donne che lavoravano a Sports Illustrated", dice Ludtke, la mattina dopo l'anniversario della decisione, raggiunta telefonicamente a casa sua nel Massachusetts, "Ho iniziato a capire col passare del tempo che sarebbe stato un processo più lungo. E con questo, intendo: entrare in tribunale e affermare un diritto, ciò che deve accadere dopo è un consenso sociale al cambiamento culturale". Questa foto di Melissa Ludtke è stata scattata da un fotografo di Sports Illustrated prima di una partita dei playoff al Fenway Park nell'autunno del 1975. È diventata la foto che Time, Inc. ha dato alle testate giornalistiche che seguivano la causa. Questa è stata pubblicata su The Sporting News nel febbraio del 1978 Nel 1972, Diane Shah del National Observer tentò di fare la cronaca di una partita al Fenway Park e le fu detto che, sebbene le sarebbe stato permesso di presenziare al gioco, non sarebbe stata ammessa a prendere parte alla colazione pre-partita dei media nella sala da pranzo contigua alla tribuna stampa. Invece, potè sedersi in una postazione sul tetto dello stadio, dove si trovò da sola accanto a un cartello con la scritta "Ladies 'Pavilion". In relazione a quello che doveva essere effettivamente il suo lavoro ci fu una riunione della squadra all'inizio di quel giorno, con i giocatori che vennero avvertiti che sarebbe arrivata una giornalista donna e che avrebbero dovuto stare molto attenti. Senza la disponibilità della clubhouse, il suo accesso alla squadra era già limitato e, dopo quell'incontro, nessun giocatore comunque parlò con lei. Questo era l'ambiente che regnava nei confronti delle giornaliste donne e che diede vita a Ludtke v. Kuhn, solo pochi anni dopo. La maggior parte delle squadre aveva poco interesse a collaborare con le donne e la maggior parte dei giornalisti uomini aveva poco interesse a cambiare lo status quo. C'erano alcuni uomini che sarebbero stati disposti a condividere una citazione o un dettaglio con una collega o a fare una domanda per suo conto. Ma ce n'erano molti di più che avevano deciso di escluderle. Ludtke non si era sentita la benvenuta nella sala stampa, anche prima di intentare la causa. Dopo? I giornalisti sportivi di tutto il paese la prendevano in giro, le mettevano in dubbio le credenziali, la accusavano di volere l'accesso alla clubhouse solo per vedere i giocatori nudi. Leigh Montville del Boston Globe chiese: "È seria? ... Ha mai sputato in un guanto da baseball? ... La sua vita era assolutamente dominata dallo sport quando era piccola?". Red Smith del New York Times disse che avrebbe dovuta considerarsi una "ragazza fortunata" per essere riuscita a saltare il caos delle interviste nelle clubhouse. Anche mesi dopo che la decisione del tribunale fu conclusa, Jerome Holtzman del Chicago Sun-Times si sentì a suo agio nel dare la seguente citazione al New Yorker: "Suppongo che il fatto che questo fosse un mondo tutto maschile è ciò che mi aveva reso così entusiasta all'inizio. E ora che è stato invaso ed eroso è molto meno attraente ... La sala stampa era una riserva maschile: questo era il suo fascino. Preferirei non avere una donna come compagna di posto in una partita delle World Series. Non sarebbe così divertente" (La rivista aveva preceduto quel passaggio notando che Holtzman era sposato, con quattro figlie). Ciò che Ludtke faceva e diceva in realtà non sembrava avere molta importanza; la raffigurazione di lei come rappresentante intrigante di una specie invasiva, con l'obiettivo di eliminare il baluardo del cameratismo maschile del baseball, era già stato stabilito. "L'esperienza era stata estenuante", racconta Ludtke. Oltre al carico quotidiano standard del suo lavoro, queste domande di percezione e di identità la seguivano ovunque: un peso in più che sapeva di non poter scrollarsi di dosso completamente e che molti dei suoi colleghi giornalisti sportivi non le avrebbero permesso di dimenticarlo. Ludtke, ovviamente, non se ne andò. E altre donne la seguirono, molte di loro. Ci sono donne in ruoli ora che Ludtke non aveva nemmeno sognato in quel momento, come lavorare nella cabina di trasmissione o essere la principale editorialista sportiva di un importante quotidiano. Ora, decenni dopo, può sembrare una storia consolidata, degna di nota nel suo anniversario e altrimenti facile da ignorare. Il giorno in cui fu presa la decisione, Ludtke era elettrizzata, ma soprattutto era stanca. Invece di uscire a festeggiare, tornò a casa, si preparò la cena e mangiò, come quasi sempre, ascoltando il telegiornale della sera con Walter Cronkite. Non si aspettava di sentire niente di speciale. Ma alla fine della trasmissione, Cronkite menzionò Ludtke vs. Kuhn, e a quel punto rimase colpita dall'enormità di ciò che aveva fatto. Il suo primo pensiero fu per sua madre. Il suo amore per il baseball veniva da sua madre, che era cresciuta ossessionata dai Boston Red Sox. "Non era un amore per il gioco che andava da padre a figlia, che è la narrazione che abbiamo sentito sempre", racconta Ludtke. Da ragazza, ogni anno, la madre di Ludtke scriveva al club chiedendo copie delle foto dei giocatori in bianco e nero scattate dopo lo spring training. Le appendeva in giro per la sua stanza, in modo che potesse sedersi sul letto la sera e ascoltare la partita alla radio, circondata dai giocatori, mentre compilava uno scorecard che avrebbe conservato in un album. Sua madre aveva raccolto tutte le foto dei giocatori, anno dopo anno, e le diede a Ludtke, che le conserva ancora oggi. "A cosa ho pensato in quel momento? Sembra davvero sciocco, ma ho pensato ai buchi delle puntine da disegno in quelle immagini", dice Ludtke, "Perché quello era un filo conduttore, da me a mia madre e a cosa questo avrebbe significato per chiunque sarebbe venuto dopo di me". Per molti di coloro che sono venuti dopo di lei, ha significato moltissimo. Lo spazio lasciato da una sola puntina da disegno, dopotutto, lo rende infinitamente più facile per tutti coloro che seguono. Prima pagina del procedimento giudiziario contro la commissione del baseball di Melissa Ludtke e Time Inc. Nel 1977, Ludtke citò in giudizio il Commissioner della MLB sulla base del fatto che i suoi diritti relativi al "14th amendment" furono violati quando le negarono l'accesso alla clubhouse dei New York Yankees mentre stava seguendo in qualità di giornalista accreditata le World Series del 1977. Vinse la causa! Il giudice distrettuale degli Stati Uniti Constance Baker Motley si dichiarò a favore di Ludtke asserendo che che i suoi diritti relativi al "14th amendment" erano stati violati poiché la clubhouse dei New York Yankees era controllata dalla città di New York. Quella corte affermò anche che era stato violato il suo diritto fondamentale di perseguire la sua carriera in base al sesso (Sentenza). Questo fumetto è apparso sul Charlotte Observer subito dopo che fu intentata la causa Ludtke v. Kuhn Nel 2010, Ludtke è stata insignita dello Yankee Quill Award, la più alta onorificenza individuale conferita a un giornalista nel New England. La menzione del comitato nell’assegnare l’ambito premio a Melissa recita così: "per l’illustre storia di lotta per le pari opportunità per le donne giornaliste sportive, abile redattrice di una delle pubblicazioni giornalistiche più attente d'America e per il suo coinvolgimento coscienzioso con i bambini e altre organizzazioni sociali". Mentre era una giornalista di Sports Illustrated, il Newswomen's Club di New York le conferì il Front Page Award per la sua rubrica TV / Radio sull'assunzione delle donne da parte delle reti di emittenti sportive. La Association of Women in Sports Media le ha conferito il suo annuale Mary Garber Pioneer Award, così come il suo Friend of AWSM Award. È stata una co-vincitrice dell'Unity Award in Media per i suoi reportage sulla politica per Time. Melissa ha ricevuto una prestigiosa Nieman Fellowship presso l'Università di Harvard, dove ha seguito corsi relativi a questioni familiari, donne e bambini. Ha studiato politica della povertà con David Ellwood alla Kennedy School, psicologia dell'adolescenza con Carol Gilligan alla Graduate School of Education e diritto di famiglia con Elizabeth Bartholet alla Harvard Law School. Durante la ricerca e la scrittura di "On Our Own: Unmarried Motherhood in America", Melissa ha ricevuto incarichi come Fellow presso il Radcliffe's Public Policy Institute e come Visiting Scholar presso l'Henry R. Murray Center di Radcliffe, allora centro del college per gli studi longitudinali nelle scienze sociali. Ha inoltre ricevuto la Prudential Fellowship in the Coverage of Children presso la Graduate School of Journalism della Columbia University. "Importava quello che faceva Jackie [Robinson]. Importava quello che Melissa faceva non solo per il baseball, ma per quello che significava per la società. Ha trasceso il baseball. Ha trasceso lo sport. Quelli sono stati passi compiuti da persone molto coraggiose, passi che hanno fatto progredire la società" - Claire Smith, prima donna inserita nella Hall of Fame del baseball. "Quello che ho imparato, come una delle uniche donne che scrivevano di baseball all'epoca, è stato che so benissimo di cosa sto parlando quando apro bocca, perché molte persone mi stanno guardando e sono pronte a dire che io non so di cosa sto parlando, molte persone pensano che io sia lì per qualche altra ragione oltre a quella che penso di poter fare davvero questo lavoro" - Melissa Ludtke, nell'anniversario del 2015 della decisione del giudice Motley. |
Ecco 9 record della NCAA Softball Division I che (probabilmente) non saranno mai battuti Sono passati quasi 40 anni da quando il softball del college DI è diventato uno sport del campionato NCAA. Da allora, ai fans del softball sono stati regalati anno dopo anno dei momenti da record e carriere leggendarie con alcuni di questi record che continuano a resistere ai giorni nostri. Questo mi ha incuriosito un po'. Quali record sarebbero i più difficili da battere? Ho scansionato l'intero libro dei record NCAA, tutte le 58 pagine, e ho individuato nove pietre miliari che ritengo siano le più intoccabili del gioco. Date un'occhiata voi stessi. Innanzitutto, la versione sintetizzata:
Hope Trautwein (North Texas) 21-strikeout, gioco perfetto di sette inning - 11 aprile 2021
Le sette valide di Krys Bondarenko (Canisius) e Michelle LaFornara (Cornell) in una partita di sette inning - 1 maggio 1985 e 19 marzo 1995
60 vittorie consecutive di Jennie Finch (Arizona) dal 29 aprile 2000 al 6 aprile 2002
219 partite senza errori di Nicole Barber (Georgia) dal 2001 al 2004
I 31 inning di Kelly Brookhart (Creighton) e Janet Womack (Utah) lanciati in una singola partita - 11 maggio e 12 maggio 1991
43 vittorie consecutive di Sara Graziano (Coastal Carolina) dall'8 aprile 1993 al 24 marzo 1994
25 no-hitter in carriera di Michele Granger (California) - dal 1989 al 1993
26 presenze consecutive al piatto di Amber Schisler (Campbell) raggiungendo la base - dal 5 al 17 maggio 2017
105 inning consecutivi senza punti di Danielle Henderson (UMass) - dal 16 marzo 1999 al 2 maggio 1999 E ora il dettaglio: Il perfect game di 21 strikeout in 7 inning di Hope Trautwein — 11 aprile 2021 Hope Trautwein L'attualità del record di Trautwein le fa guadagnare il primo posto in questa lista. Solo altre due giocatrici avevano eliminato 21 battitori in una partita di sette inning prima di Trautwein. Non solo ha messo strikeout 21 i battitori, ma la lanciatrice del North Texas ha anche lanciato un perfect game per andare sul sicuro. Ha avuto bisogno solo di 78 lanci dall'inizio alla fine e non ha mai affrontato un conteggio di tre balls. In effetti, solo tre avversarie sono arrivate a due balls. Dei suoi 21 strikeouts, 17 erano del tipo sventolato, inclusi i primi 10 battitori e sei degli ultimi nove. Potrebbe non esserci ancora un termine per descrivere il livello di perfezione appena raggiunto da Trautwein. Immagino che per ora ci accontenteremo di definire questa performance puro dominio. L'abbracio della squadra dopo il perfect game di Hope Trautwein Le 7 valide di Krys Bondarenko e Michelle LaFornara in 7 inning — 1 maggio 1985 e 19 marzo 1995 Carrie Moreman dell'Alabama possiede il record di valide in una singola partita DI con otto. Tuttavia, quella fu una partita da 19 inning. Bondarenko e LaFornara sono menzionate qui per aver collezionato sette valide in sette inning ciascuna. Vi starete chiedendo quanta potenza di fuoco offensiva entra in partite come queste e questa è una domanda giusta. La risposta sintetica è molto. La risposta lunga è 48 punti per Canisius nel 1985 e 43 punti per Cornell nel 1995. La prestazione di Bondarenko è degna di nota per i suoi record individuali e di squadra. I record NCAA dei Griffins per il punteggio in una singola partita e il margine di vittoria sono entrambi intatti. Per quanto riguarda LaFornara, la stella di Cornell ha segnato per il cycle con due doppi, un triplo e un fuoricampo per completare un trio di valide. Michelle LaFornara da Wikipedia Le 60 vittorie consecutive di Jennie Finch - dal 29 aprile 2000 al 6 aprile 2002 Giusto per il contesto, la più lunga serie di vittorie di squadra nella storia del softball DI appartiene a Arizona. I Wildcats hanno vinto 47 partite consecutive tra le stagioni 1996 e 1997. Oh, e questo era prima che Finch lanciasse a Tucson. Parliamo di una serie di successi. Ma Finch ha fatto qualcosa tra la sua seconda e terza stagione che nessuna lanciatrice di college è stata in grado di replicare da allora: vincere 60 partite consecutive. Ha chiuso la sua seconda stagione con vittorie nelle ultime otto partite prima di dominare per 32-0, inclusa una vittoria per shutout nel national championship da junior. Finch ha vinto le sue prime 20 decision da senior prima che la serie si chiudesse. Le 219 partite consecutive di Nicole Barber senza errori, dal 2001 al 2004 C'è un margine di errore minimo nel softball del college, specialmente nel campo esterno. Fortunatamente per Georgia, Nicole Barber era dotata di una sicura presa. Ha giocato in 278 partite per i Bulldogs, realizzando 264 chances totali durante la sua carriera. Non solo ha commesso solo tre errori in quattro stagioni, ma ha disputato 219 partite consecutive senza errori. Barber è stata una delle prime All-Americans nella storia dell'UGA (University Georgia Athletics) e la sua affidabilità difensiva è stata una grande ragione per la sua selezione. In genere la velocità è una parte importante del gioco all'esterno centro e Barber ne aveva in abbondanza. È anche la leader della Division I nelle basi rubate con 257 in carriera. I 31 inning di Kelly Brookhart (Creighton) e Janet Womack (Utah) lanciati in una singola partita - 11 maggio e 12 maggio 1991 Il prossimo nella lista è la partita più lunga nella storia del softball del college DI, con un colpo di scena. La gara è stata di 31 inning ed è durata sei ore e 25 minuti in due giorni, ma la statistica più folle su cui ci stiamo concentrando qui è il numero di lanciatori utilizzati da ciascuna squadra: uno. Kelly Brookhart di Creighton è stata la lanciatrice vincente (e unico pitcher) per i Bluejays in una decisione 1-0. Ha effettuasto 390 (!) lanci sorprendenti per ottenere la vittoria. Anche Janet Womack dello Utah è andata lontano nella sconfitta, eguagliando Brookhart con 31 inning, anche se Womack ha lanciato "solo" 320 lanci. Box score della partita La serie di 43 valide consecutive di Sara Graziano - dall'8 aprile 1993 al 24 marzo 1994 Solo due giocatrici nella storia del softball DI hanno messo insieme una serie positiva di 40 partite o più con valide. Cathy Fronheiser di Furman è stata la prima durante la stagione 1993. Poco prima dell'inizio dell'ultima settimana della sua striscia di 42 partite, Graziano ha iniziato la sua striscia. L'offseason è servito da interruzione, ma i mesi di distanza non hanno potuto raffreddare la mazza di Graziano per aprire la stagione 1994 poiché aveva stabilito il record con una valida nella sua 43a partita consecutiva. Durante la stagione 1994, Graziano ha anche stabilito il record NCAA per la più alta media battuta in una singola stagione di sempre quando ha battuto .589 con 103 valide in 175 at-bats. Le 25 no-hitter in carriera di Michele Granger - dal 16 febbraio 1989 al 5 maggio 1993 E' tempo per un'equazione. Cosa ottieni quando aggiungi Michele Granger e un pezzo di pedana di gomma? La risposta corretta è il maggior numero di no-hitter nella storia della NCAA. Granger lanciò in 183 partite durante il suo periodo in California con 119 vittorie e un'ERA in carriera di 0,46 mantenendo pulite le corsie tra le basi come poche altre lanciatrici. L'asso dei Golden Bears ha segnato il record NCAA di 25 no-hitter, di cui nove in una stagione insieme a cinque perfect game. Nel corso della carriera di Granger, più del 16% delle sue apparizioni sono state una no-hitter o un perfect game Le 26 presenze consecutive al piatto di Amber Schisler con la conquista della base - dal 5 al 17 maggio 2017 Bisogna vedere bene la palla e poi bisogna andare in base a ogni apparizione al piatto in sei partite consecutive. OK, probabilmente c'è una via di mezzo per questo da qualche parte, ma Amber Schisler era essenzialmente un corridore automatico verso la fine della stagione 2017 di Campbell. Ha raggiunto salva la base in 26 presenze consecutive al piatto, che si sono svolte in sei delle ultime sette partite con Campbell. Non è stato un brutto modo per chiudere la tua carriera universitaria. 105 inning consecutivi senza concedere punti di Danielle Henderson - dal 16 marzo 1999 al 2 maggio 1999 Ci sono stati una serie di momenti memorabili nell'ultimo anno di Henderson alla UMass. 27 vittorie consecutive estese su quattro mesi della stagione e un premio Honda, che va al miglior giocatore di softball del college. Tuttavia, la statistica più strabiliante sono i suoi 105 inning consecutivi senza punti. Pensateci un momento. Se Henderson è andata lontana in ciascuna di quelle apparizioni, sono 15 partite complete senza concedere un punto. Henderson ha realizzato 72 shutouts in carriera a UMass e avrebbe potuto raccoglierne quasi il 20 percento in sei settimane. |
La lunga e strana storia dell'eephus pitch Bob Tewksbury ricorda bene la giornata. Mark McGwire era arrivato a Minnesota nel bel mezzo della sua stagione record del 1998 con i Cardinals. Aveva segnato 36 fuoricampo in appena 73 partite, incluso un mostruoso HR contro il lanciatore dei Twins Mike Trombley la sera prima. Bob Tewksbury Il 37enne Tewksbury, d'altra parte, era al canto del cigno di un'ottima carriera in MLB durata 13 anni. Aveva una curva e una palla veloce che generalmente rimanevano a metà delle 80 mph - forse a 90 mph in una buona giornata. Ma ... aveva anche un altro lancio. Una specie di arma segreta che aveva sviluppato a metà degli anni '90 e la lanciava solo quando era il momento giusto. Quello che alcuni chiamerebbero un junk-pitch. Una curva ultra-lenta che arrivava fluttuando sul piatto a 50 mph come un cartone animato. "Ricordo di averlo lanciato a San Diego nel '96", ha detto Tewksbury a MLB.com al telefono, "L'ho lanciato a Willie McGee e non mi ha parlato per i prossimi tre giorni". Tewksbury pensava che il lancio potesse funzionare anche contro un battitore potente come McGwire, che banchettava con palle veloci. Ma glielo avrebbe lanciato solo se avesse eliminato i primi due battitori prima di lui. Aveva detto ai compagni di squadra del suo piano, ed erano più che eccitati quando è arrivato il momento nella parte alta del primo inning. "Ho eliminato i primi due ragazzi e ce stato questo fragoroso rumore di passi che arrivava dalla club house fino al campo per guardarmi lanciare questo lancio", ricorda Tewksbury, "L'ho sentito sul monte". Il partente soft-throw dei Twins mantenne la sua promessa - sconcertando uno dei più mostruosi battitori di fuoricampo del baseball nel pieno della sua carriera, non una, ma due volte con, come lo chiamava suo figlio, "The Dominator". Il lancio più lento che un lanciatore possa lanciare: l'eephus. Le origini dell'eephus risalgono ai tempi del baseball e forse possono essere meglio comprese dalle origini ebraiche della parola: niente. Si traduce in "niente". Ovviamente è stato chiamato anche con altri nomi. La "balloon ball", "Monty Brewster", "rainbow curve", "Bugs Bunny curve", "Super Changeup", "Soap Bubble" (Vicente Padilla), "Fossum Flip" (Casey Fossum), "McBean Ball" (Al McBean), "Folly Floater" (Steve Hamilton). Qualunque sia il nome, di solito sono tutti uguali: un lancio lento e ad alto arco, con una velocità generalmente compresa tra le 45 e le 55 mph, effettuato per sorprendere il battitore alla ricerca di una palla veloce da 95 mph e lasciarlo pensare: "Cosa diavolo è appena successo?". Tewksbury, come molti altri che hanno utilizzato il lancio, lo ha adattato da solo. Era qualcosa da aggiungere al proprio repertorio e far sembrare la sua palla veloce più veloce di quanto avrebbe potuto essere. Ma Rip Sewell, l'uomo che aveva reso famoso l'eephus, fu in realtà costretto a lanciarlo per salvare la sua carriera. Rip Sewell Dopo aver trascorso anni e anni nelle Minor League, Sewell entrò nel roster dei Pirates all'età di 31 anni e fece bene dal 1938 al '41 - un record di 40-32, 3,58 di ERA e MVP nella stagione 1940. Ma poi, nell'inverno del 1941, si sparò a un piede durante una battuta di caccia. Sewell non riusciva a spingere dal monte con la punta del piede destro come faceva una volta, e la sua palla veloce e la sua curva ne soffrivano. Quindi, finì per sviluppare un nuovo lancio per contrastare i suoi problemi: una palla lenta alta 25 piedi che girava all'indietro: tenuta sulla cucitura e poi lanciata verso casa base con tre dita. Il grip di Rip Sewell per la sua eephus Bill Phillips, un lanciatore del 19° secolo, era stato probabilmente l'unico altro a lanciare qualcosa del genere. Ma questo era 40 anni prima; Sewell aveva portato l'eephus nell'era moderna. Il lanciatore di Pittsburgh descrisse come reagì il battitore Dick Wakefield quando vide per la prima volta il lancio durante un match di esibizione nel 1942. "Ha iniziato a sventolare, si è fermato, ha ricominciato, si è fermato, e poi ha sventolato e lo ha mancato di un miglio. Pensavo che tutti sarebbero caduti dalla panchina, ridevano così tanto". Forse assomigliava a qualcosa del genere. Dopo la partita, il compagno di squadra di Sewell, Maurice Van Robays, fu il primo a coniare il lancio "eephus". I giornalisti chiesero cosa significasse e lui disse: "Eephus non è niente, e questo è un niente di niente" (Efes è in realtà come è scritto in ebraico e si pronuncia EFF-ess). In questa lettera manoscritta del 14 febbraio 1978 Rip Sewell spiega esattamente come è stato lanciato l'eephus da lui creato Quel nulla fece risorgere la carriera di Sewell, e le sue stagioni dal 1942, a 35 anni, fino al 1949, a 42 anni, furono sicuramente le migliori. Andò 103-65 con un'ERA di 3,36, comprese le stagioni consecutive di 21 vittorie nel '43 e nel '44. Alcuni battitori la colpirono e gliela spararono contro, mentre altri continuavano a chiedersi se fosse persino legale. Sewell è stato anche un All-Star tre volte durante quel periodo e provò il lancio contro Ted Williams durante uno di quei Midsummer Classics (9/7/1946). Non andò bene. Sebbene nessuno lo usasse così spesso come Sewell, molti lanciatori aggiunsero l'eephus al loro arsenale dopo il 1950. Alcuni con grande successo, altri meno. Orlando "El Duque" Hernandez la usò troppe volte contro Alex Rodriguez nel 2002, ammettendo dopo la partita: "È possibile che sia stato un errore". Bill Lee aveva un eephus, perché ovviamente ce l'aveva. Lo chiamò "space ball" o "Leephus" e fu anche abbastanza audace da lanciarlo durante una World Series Game 7 nel 1975. I Red Sox erano in vantaggio, 3-0, ma non per molto. Finirono per perdere la partita e la serie, continuando la loro lunga siccità autunnale. Il 47enne Phil Niekro lo usò una volta quando aveva dolori al petto sul monte e non aveva l'energia per lanciare nient'altro. Mescolato con una knuckle-curve, in genere aveva funzionato abbastanza bene per lui. Satchel Paige aveva un eephus che faceva crollare a terra i battitori, implorando pietà. Non siamo sicuri se fosse quello che aveva chiamato "Whipsy-Dipsy-Do" o "Wobbly Ball" o una delle altre centinaia di lanci a cui aveva dato un nome. Oltre alla battaglia di Tewksbury con McGwire, uno degli altri più famosi eventi dell'eephus ripreso da una telecamera è "LaLob" di Dave LaRoche a Gorman Thomas nel 1981. LaRoche aveva sviluppato il suo pallonetto per sfida e lo aveva usato con grande successo e in pompa magna quando aveva lanciato per gli Yankees nei primi anni '80. Il due volte All-Star continuò a farla volare "un po' più lentamente e più in alto" fino a quando non è arrivata a un ridicolo 28 mph. E durante una partita allo Yankee Stadium, LaRoche usò il suo floater per tre volte consecutive contro l'esterno dei Brewers Gorman Thomas, due dei quali finirono in strike. Lo avrebbe fatto una quarta volta per cercare di ottenere lo strikeout? Per la gioia della folla e il disgusto del caschetto di Gorman, lo fece. Il risultato è una delle migliori clip di baseball che abbiate mai visto. Forse qualcuno era più pazzo di Gorman nel 1981: era il notoriamente irascibile Albert Belle quando affrontò Tewksbury nel 1997. Non sembra esserci alcun video del confronto. Belle sapeva dell'eephus di Tewksbury dai precedenti incontri e, come ricorda il catcher dei Twins Terry Steinbach, lo slugger dei White Sox si stava effettivamente allenando con il tempismo del lancio nelle gabbie di battuta prima della partita. Steinbach ha ricordato a MLB.com che durante il suo meeting con Tewksbury gli disse: "Tewks, Albert è lì seduto pronto a colpire il tuo eephus. E Tewks disse: Cosa?". Tewksbury aveva deciso di usare la sua palla veloce nei primi due at-bats contro Belle, ma poi nella terza e ultima volta, con il conteggio di 3-1 e un uomo in prima, è arrivato il momento di lanciare "l'eephus". "Gli ho lanciato una palla curva eephus ... e ha sventolato così forte che si è bloccato e ha fatto un piccolo pop up sulla seconda", racconta Tewksbury. "Albert è andato in panchina e mi stava fissando. Robin Ventura si avvicinò... e disse a Steinbach: Tewks potrebbe aver bisogno di sicurezza per andare alla sua macchina stasera perché Albert vuole ucciderlo". È stata una reazione molto diversa da quella di McGwire, che aveva inviato a Tewksbury un messaggio dopo la partita dicendo "sono un fanatico per quel genere di cose e avrei sventolato tutto il giorno". "Bob lanciava sopra le 80 mph, a volte arrivava a 90", dice Steinbach, "Ma essere in grado di lanciare una palla da 50 miglia orarie senza farla cadere, senza rallentare il caricamento, è difficile da fare. E lo ha fatto molto bene. ... È un grande lancio da mettere dentro la testa di un grande battitore". Le stelle di oggi hanno portato avanti la tradizione dell'eephus, lanciando le loro palle ultraleggere quando i battitori meno se lo aspettano. Yu Darvish lo ha sempre nella tasca posteriore, Clayton Kershaw lo usa con parsimonia Zack Greinke, invece, lo ha usato più volte durante la sua carriera. Ha persino lanciato una curva da 53,5 mph il 23 agosto del 2020, ottenendo uno strike e una risata dal battitore Trent Grisham. Dovete pensare che Rip Sewell, che aveva iniziato a lanciare l'eephus perché si era sparato accidentalmente su un piede, troverebbe piuttosto comico l'uso continuo e coerente della sua battuta scherzosa: "Un lancio che letteralmente significa niente trasformato in un sacco di qualcosa". Tratto da: "The long, weird history of the eephus pitch" di Matt Monagan, del 28 dicembre 2020, per MLB.com |
La storia del lancio più strano del baseball: l'improbabile successo della Curveball Se dovessi raggruppare i lanci in due categorie, direi "fastball" e "altro". L'altro rende interessante il lancio. Se la palla andasse diritta ogni volta, i lanciatori sarebbero essenzialmente dei semplici impiegati, esistenti solo per servire i battitori. Molto tempo fa, questo era proprio quello che erano! Pensate al lancio dei ferri da cavallo: effettui un lancio sottomano in un'area specifica. Questo è stato il lancio per gran parte del 1800. Per 20 anni, dal 1867 al 1886, i battitori potevano specificare se volevano il lancio alto o basso. Il povero lanciatore era costretto ad obbedire. Il baseball avrebbe potuto continuare come prova delle capacità di colpire, correre e difendere se i lanciatori non avessero scoperto il loro potenziale schiacciante. E se avessero potuto fare in modo che il lancio si comportasse in modo diverso? Molto prima che le telecamere e i siti web potessero classificare ogni lancio in un particolare tipo, molti dei lanci destinati a ingannare un battitore – come shoot e out-shoot, curve e out-curve e drop, nel vecchio linguaggio - erano ampiamente conosciuti come palle curve. L'altro era, semplicemente, tutto ciò che non era una fastball. Da ricerche sulla storia delle palle curve presso la Hall of Fame Library di Cooperstown, sono molte le persone che hanno affermato di essere l'inventore del lancio. Nel 1937 il New York Times pubblicò un necrologio di un uomo di nome Billy Dee di Chester, New Jersey, che si dice avesse inventato la palla curva nel 1881. Dee lanciò una palla da baseball con cuciture sfilacciate e, incuriosito dal suo movimento, disse che si era esercitato e che la provò fino a quando "sono stato presto in grado di muovere la 'old apple' senza il beneficio della cucitura danneggiata". E ancora un necrologio del 1948 del Los Angeles Times di un certo George McConnell: "un vecchio combattente indiano che decise che l'inglese* utilizzato sulle palle da biliardo (* nel biliardo, quando una bilia battente viene colpita su entrambi i lati del suo asse verticale, dandogli una 'spinta laterale', questo colpo si chiama 'inglese') poteva essere usato con una palla da baseball". Era il 1878. Ci sono molte altre storie del genere negli archivi e nei libri di storia di Cooperstown. Fred Goldsmith è un caso, come James Creighton e Phonie Martin e Alvah Hovey e altri. C'è persino un vecchio dibattito della Ivy League del decennio del 1870: Charles Avery di Yale lanciò per primo una curva o Joseph Mann di Princeton? La squadra di baseball del College del New Jersey (Princeton) nel 1875. Joseph Mann è raffigurato con in mano una palla da baseball, il primo seduto a sinistra in prima fila Peter Morris risolve tutto in A Game of Inches, citando una lettera di Mann al Times nel 1900 che riassume chiaramente il concetto: "Finché si gioca a baseball e le palle da baseball hanno le cuciture con cui catturare l'aria, le palle curve saranno lanciate". Mann prosegue affermando che, nonostante ciò, nessuno pensava di usare quelle palle curve per lanciare fino a quando non lo fece nel 1874. Poi di nuovo, Mann ammette di essere stato ispirato guardando Candy Cummings un giorno a Princeton. Mann racconta che il ricevitore di Cummings gli aveva detto che poteva far curvare la palla, anche se quel giorno non lo fece. La targa nella galleria Hall of Fame di W. A."Candy" Cummings risolve coraggiosamente le cose in sette parole dorate: "La prima palla curva lanciata nella storia del baseball". La targa fa risalire questa scoperta al 1867, quando Cummings era l'asso dilettante dei Brooklyn Stars. La storia dovrebbe essere sempre così facile. W. A."Candy" Cummings Il retroscena di Cummings è così indelebile, così ricco di immagini, che se non fosse vero ... beh, dovrebbe esserlo. Non è mai stato smascherato e sarebbe impossibile farlo. Cummings è praticamente un membro fondatore della Hall, entrando con la quarta classe degli eletti nel 1939. La sua storia collega la scoperta della palla curva alla curiosità di un ragazzo di 14 anni su una spiaggia di Brooklyn. Cosa potrebbe esserci di più americano di questo? Ecco come Cummings lo descrisse per Baseball Magazine nel 1908: "Nell'estate del 1863 un certo numero di ragazzi e io ci divertivamo a lanciare conchiglie di vongole (la varietà a conchiglia dura) e guardarle navigare nell'aria, ruotando ora a destra e ora a sinistra. Ci siamo interessati alla sua meccanica e abbiamo sperimentato per un'ora o più. All'improvviso ho pensato che sarebbe stato un bello scherzo per i ragazzi se fossi riuscito a lanciare una palla da baseball curva allo stesso modo". Cummings nasce nel 1848 a Ware, nel Massachusetts, e vari resoconti dicono che abbia giocato al vecchio gioco nel Massachusetts prima di trasferirsi a Brooklyn. Lo stesso Cummings non ha menzionato questo nella sua rivisitazione della storia delle origini della palla curva, ma per Morris è stato un dettaglio significativo. Negli anni 1850, i lanciatori del Massachusetts potevano lanciare overhand, il che rendeva le palle curve più facili da lanciare". Probabilmente aveva visto lanciare curve rudimentali da giovane in Massachusetts, e quando si è trasferito a Brooklyn e ha iniziato a giocare alle "partite di New York", le restrizioni di rilascio hanno reso il lancio impossibile, ha scritto Morris. "Eppure l'esempio di lanciare conchiglie gli ha fatto pensare che sarebbe stato possibile, e la forza del suo braccio e la pratica incessante gli hanno permesso di realizzare la sua ambizione". Cummings ha sottolineato due punti: la sua solitaria tenacia nel perfezionare il lancio nonostante la derisione dei suoi amici e il pedaggio fisico imposto dalle restrizioni di rilascio di quel tempo. I lanciatori hanno quindi lanciato in un box di quattro (122 cm) per sei foot (183) e non potevano sollevare nessuno dei piedi da terra fino a quando la palla non veniva rilasciata. "Anche il braccio doveva essere tenuto vicino al fianco e il rilascio è stato effettuato con un'oscillazione perpendicolare", racconta Cummings, in un'intervista non datata pubblicata dopo la sua carriera, "Seguendo queste istruzioni è stato un duro sforzo, poiché il polso e il secondo dito dovevano fare tutto il lavoro. Ho rilasciato la palla come una frusta e questo mi ha causato abbastanza spesso una slogatura. Sono stato costretto a indossare un tutore al polso per tutta la stagione a causa di questa tensione". Una partita dimostrativa di baseball, in stile anno 1861 (Video) Cummings lasciò Brooklyn per un college a Fulton, New York, nel 1864. Armeggiò con la sua palla curva lì: "I miei amici iniziarono a ridere di me e a fare battute sulla mia teoria di far andare una palla di traverso" - e si unì allo Star Juniors, una squadra amatoriale di Brooklyn. Da lì fu reclutato all'Excelsior Club come membro junior, sia per età che per corporatura: sarebbe cresciuto fino a 5 piedi e 9 (175 cm), ma il suo peso superava le 120 libbre (54 kg). Nella palla curva, però, Cummings ha trovato un equalizzatore. Ha dimostrato che i lanciatori di tutte le dimensioni possono fare affidamento sul movimento e sull'inganno, non semplicemente sulla potenza, per avere successo. Presto, l'idea si sarebbe radicata come un principio del baseball che un pitcher con lanci dominanti avrebbe potuto umiliare anche il battitore più forzuto. Cummings iniziò a dimostrarlo nel 1867, con gli Excelsiors in una partita ad Harvard. "Un'ondata di gioia mi inondò che non dimenticherò mai", ha scritto nel pezzo di Baseball Magazine, "Avevo voglia di gridare che avevo lanciato una palla curva; Volevo dirlo a tutti, era troppo bello per restare solo mia. Ma non dissi una parola e vidi molti battitori a quella partita sbattere giù la mazza disgustati. Ogni volta che ho avuto successo riuscivo a malapena a trattenermi dal ballare per pura gioia. Il segreto era mio". Il movimento poteva essere molto irregolare, ammette Cummings, ma col tempo aveva imparato a controllarlo e a manipolare gli arbitri. Quando la palla si allontanava dal corpo di un battitore e cadeva prima di piegarsi nella zona dello strike, l'arbitro la chiamava ball. Cummings si aggiustò iniziando il lancio a metà in modo da poter ottenere strikes, anche se il movimento lo portava via". “Quando arrivava al battitore era troppo lontanò", ha detto, "Poi ci sarebbe stata la discussione tra l'arbitro e il battitore". All'età di 23 anni Cummings era un lanciatore dei New York Mutuals della National Association. Il lancio era effettuato da 45 feet di distanza, in quella scatola, con un movimento del braccio laterale. Cummings ha iniziato 55 delle 56 partite dei Mutuals, lanciando 497 inning e concedendo 604 hit, con un record di 33-20 e una ERA di 3.01. Quando la National League iniziò nel 1876, Cummings lanciò per gli Hartford Dark Blues e andò 16-8. Andò 5-14 per i Cincinnati Reds nel 1877, la sua ultima stagione. Bobby Mathews Un curioso contemporaneo, Bobby Mathews, avrebbe avuto più successo. Mathews era ancora più basso di Cummings - appena 1,65 m - e le loro carriere si sovrapposero nella National Association, Mathews era uno dei pochi che poteva imitare la curva del braccio laterale di Cummings. Generazioni di lanciatori avrebbero seguito l'esempio di Mathews: vedere qualcosa di interessante, studiarlo e farlo proprio. Una vignetta Bobby Mathews "Osservava attentamente le mani di Cummings, notando come teneva la palla e come la lasciava andare, e dopo alcune settimane di pratica attenta allo stesso modo poteva vedere la curva nel suo stesso rilascio", ha spiegato un articolo del 1883 su The Philadelphia Press, portato alla luce da Morris. "Poi ha iniziato a usarlo nelle partite, mettendo strikeouts gli uomini in un modo che nessuno tranne Cummings aveva mai fatto prima, e in breve tempo è stato conosciuto come uno dei lanciatori più efficaci in campo". Questa è stata la prima di tre stagioni consecutive da 30 vittorie di Mathews per i Philadelphia Athletics dell'American Association. Non è entrato nella Hall of Fame, ma ha seguito Cummings come il più importante praticante della palla curva, portando il lancio attraverso l'era delle sidearm e contribuendo a renderlo fondamentale per il gioco. Per decenni dopo l'ultimo lancio di Cummings, molte persone hanno dubitato dell'idea che una palla potesse curvare. Era un punto fermo del dibattito sul baseball che la palla curva potesse essere solo un'illusione ottica. Un esercizio preferito dagli scettici era sfidare un lanciatore a dimostrare i suoi poteri lanciando la palla attorno a una serie di pali. È successo spesso. "La maggior parte dei professori universitari credeva davvero che la palla curva fosse impossibile quanto la trasmutazione dell'oro dalle bucce di patate", disse un uomo di nome Ben Dodson, sul Syracuse Herald nel 1910. Charles "Old Hoss" Radbourn Dodson disse di aver assistito a una manifestazione ad Harvard di Charles "Old Hoss" Radbourn, probabilmente nel decennio del 1880. Radbourn è stato uno dei primi eroi della National League. Nel 1884, per i Providence Greys, aveva un record di 59-12 con 1,38 di ERA e 73 complete games. I professori, si può dire con sicurezza, avevano molta fiducia, mal riposta, quando sistemarono i loro pali e sfidarono Radbourn a lanciare curve al suo ricevitore, Barney Gilligan. "Radbourn, in piedi a destra del palo, aveva iniziato quella che sembrava essere un rilascio perfettamente diritto", disse Dodson, "Ha girato con una bellissima curva verso l'interno ed è passato dietro il palo proprio di fronte a Gilligan: un lancio straordinario e lo fece più volte. Quindi, in piedi all'interno della zona del palo lanciò con lo stesso risultato: la palla curvava attorno al palo per finire nel guanto del catcher". Dodson ha continuato descrivendo i "drop ball" di Radbourn, anche se non tutti questi lanci erano delle curve, come li conosciamo oggi. Radbourn ne lanciò una vasta gamma che ora sarebbero classificati come curveballs, changeups, sinkers, screwballs e così via. Quel giorno ad Harvard, il suo incarico era di dimostrare che qualcosa oltre a una palla veloce esisteva davvero, e Dodson, per esempio, considerò la questione chiusa. "È stata una dimostrazione meravigliosa e ha risolto per sempre la discussione sul lancio della curva", ha detto, "Eppure, poiché a quei tempi non avevano mai pensato alla pubblicità, non c'era un giornalista a portata di mano e la storia vive solo nei ricordi di chi l'ha vista". Carl Erskine Che peccato. Per alcuni, la questione era ancora discutibile a metà del secolo successivo, come ricorda Carl Erskine. A Cuba prima della stagione 1948, Erskine aveva imparato da solo un nuovo grip e un giorno si fidò di mantenere una shutout dopo un triplo del leadoff avversario nel nono. Le circostanze erano importanti, perché la squadra aveva un bonus in piedi di 25 $ per la shutout. "Ho pensato: oh ragazzo, devi tornare alla tua vecchia curva, devi chiudere questa partita.", raconta Erskine, "Così mi sono detto sul monte, dopo aver gettato il sacchetto di colofonia: ti sei impegnato a non tornare alla vecchia curva; attieniti a questo, e ho chiuso la partita senza che quel punto venisse segnato. Da quel momento in poi, ho avuto una buona fiducia in questo, e il resto è storia". La storia di Erskine include cinque pennants con i Dodgers e uno sfiorato per un soffio con infamia. Il 3 ottobre 1951, si stava riscaldando nella parte bassa del nono inning al Polo Grounds insieme a Ralph Branca, con il pennant in palio contro i Giants. Il manager Charlie Dressen ha chiamato il bullpen chiedendo al coach Clyde Sukeforth quale lanciatore sembrasse migliore. A Dressen piaceva la palla curva; diceva dello slider, sdegnosamente: "Scivolano dentro e scivolano fuori dal campo da baseball". Ma quando Sukeforth riferì che la curva di Erskine stava rimbalzando prima del piatto, Dressen scelse Branca. "La gente domanda: Carl, qual è stato il tuo miglior lancio nelle tue 12 stagioni di major league? E io con una risata dico che è stata una palla curva che rimbalzava nel bullpen al Polo Grounds. Potevo esserci stato io là fuori". Invece è stato Branca a lanciare la fatidica palla veloce che Bobby Thomson ha scagliato nelle tribune a sinistra del campo, il celebre "Shot Heard 'Round the World" che ha dato il pennant ai Giants. Non sapremo mai come Thomson avrebbe gestito la curva di Erskine, ma i Giants stavano rubando i segnali, quindi avrebbe potuto centrare anche quella. In ogni caso, è stato in questo periodo che il discorso di Erskine ha quasi seppellito lo stanco dibattito sulla sua veridicità. "La TV è arrivata intorno alla fine degli anni '40 e c'era uno spettacolo chiamato Omnibus e Burgess Meredith ne era il presentatore", spiega Erskine, "Un giorno mandarono una troupe all'Ebbets Field e chiesero di me e di Preacher Roe, che era un mancino che aveva una curva overhand, di uscire sul campo prima della gara. Lo scopo era filmarci mentre lanciavamo una palla curva e dimostrare o confutare se una palla si curvava effettivamente. "Così ci siamo preparati per andare là fuori, ho preso una nuova palla da baseball e l'ho consumata un po' per assicurarmi di avere una buona presa. Quindi mi sono scaldato e il regista di questo film che era dietro mi ha detto: non sono un tifoso di baseball, quindi non so cosa sto cercando qui. Potresti lanciarmi un paio di palle curve in modo da poter vedere cosa sto cercando di filmare? Quindi con questa palla da baseball rovinata ho lanciato una palla curva ha rotto alla grande. E questo regista ha detto: mio Dio, c'è ancora qualche dubbio? Era un principiante nel vedere i lanci, ma dopo il primo che ha visto se n'è uscito con: vacca sacra! Non ci sono dubbi!". "Quindi hanno messo su quello spettacolo, Preacher ha lanciato dal lato sinistro e io ovviamente ho lanciato dal lato destro, e poi hanno usato questa linea tratteggiata che è stata in qualche modo sovrapposta nel film. E potresti praticamente dire, beh, non ci sono dubbi: sì, un lancio rotante può uscire da una linea retta ed essere una palla curva". Mentre Erskine descriveva i meccanismi della palla curva, ha parlato di usare il dito medio per esercitare pressione sulla palla, guidare il polso e aiutare a generare una rotazione stretta. Il dito indice è quasi d'intralcio, ha detto, il che gli ha ricordato un personaggio che aveva incontrato nella "3- I" League (Iowa, Indiana, Illinois), dove aveva giocato nel 1946 e '47. Mordecai Brown "Uno dei più grandi lanciatori di tutti i tempi che ho incontrato quando ero nelle minor leagues è stato Mordecai Brown", dice Erskine, "Viveva a Terre Haute, la squadra di minor affiliata ai Phillies, e veniva a parlare con noi nell'atrio, ci mostrava la sua mano, dove aveva avuto questo incidente in fattoria che non solo gli aveva tolto l'indice della mano destra ma aveva fratturato il medio che si era risaltato scomposto. Quindi aveva una mano che aveva tre dita - naturalmente, il suo soprannome era "Three Finger" Brown - e gli dava il miglior uso definitivo del medio per la palla curva, perché il primo dito era completamente fuori uso". "Era un vero gentiluomo, sempre vestito con camicia e cravatta e noi eravamo solo ragazzini minorenni. Ma eravamo affascinati a parlare con lui, ed era ansioso di mostrarci la sua mano, raccontarci come aveva imparato a lanciare senza il primo dito e anche la prima nocca. Gli aveva dato il massimo vantaggio per lanciare quella palla curva con molta rotazione stretta. Il secondo dito è diventato il suo primo dito. Quindi deve aver avuto una malvagia palla curva". Ed è stato proprio così e la sua storia ha affascinato i fans. Mordecai aveva cinque anni, aiutava suo fratello a tagliare il cibo per i cavalli nella fattoria dello zio a Nyesville, Indiana, quando la sua mano destra scivolò nel trinciapaglia. L'incidente ha storpiato ogni dito e un medico ha amputato l'indice sotto la seconda articolazione. Qualche settimana dopo, con la mano ancora in una stecca, Mordecai e sua sorella stavano giocando con un coniglio domestico, cercando di farlo nuotare in una vasca. Mordecai perse l'equilibrio e si fracassò la mano sul fondo della vasca, rompendo sei ossa. La mano destra di Mordecai Brown Questo brutale e doloroso incidente deformò la mano di Brown e nessuno poteva imitare la sua palla curva. "Quando Brown tiene la palla nella mano a forma di zampa di pollo e la lancia da quel moncherino, alla sfera viene data una giro particolare", scrisse il Chicago Inter Ocean nel 1910, al culmine della fama di Brown con i Cubs, "Si comporta come uno sputo. Va cantando fino al piatto, dritto come una corda tirata, poi proprio mentre il battitore lo colpisce, precipita giù come un serpente nel suo buco". Sulla strada per la Hall of Fame, Brown andò 49-15 con una ERA di 1,44 nelle stagioni 1907 e 1908. Vinse tutte e tre le partite delle sue World Series in quegli anni, non concedendo nessun punto guadagnato in 20 inning per portare i Cubs a titoli consecutivi. Morì nel 1948, poco dopo aver incontrato il giovane Carl Erskine. La prima palla curva del baseball è stata lanciata di nascosto e ispirata alle conchiglie (Video) Tratto da: "The History Behind Baseball’s Weirdest Pitch: the improbable Success of the Curveball" di Tyler Kepner, del 24 aprile 2019 per Literary Hub |
Le 10 donne rivoluzionarie del softball A marzo si celebra il mese della storia delle donne e il 29 marzo 2021 Chez Sievers, Senior Editor di FloSoftball, e Mark Allister hanno compilato un elenco delle dieci donne che hanno rivoluzionato il softball. Tre di loro hanno iniziato a giocare a softball prima che i college offrissero borse di studio alle atlete; la maggior parte sono dell'era post Titolo IX (*). Joan Joyce Grande in numerosi sport, Joyce ha le carte in regola per essere considerata una delle prime cinque atlete di tutti i tempi. La sua competitività e abilità fisica le hanno permesso di eccellere con naturalezza contro tutti i giocatori di ping-pong, biliardo e bowling; mentre era al college, era un membro della squadra nazionale di basket degli Stati Uniti e ha stabilito un record di 67 punti segnati in una singola partita AAU nel 1964; ha giocato e allenato squadre nazionali di pallavolo; all'età di trentacinque anni ha iniziato a giocare a golf, diventando membro della LPGA nel 1977 e nel 1984 è stata tra i primi 65 nella money-list. E ha dominato il softball femminile nel suo periodo migliore. Joan Joyce in azione nei tre sports che l'hanno vista primeggiare Prima del Titolo IX, quando il softball del college femminile era principalmente uno sport di club, le migliori giocatrici si adattavano alle squadre cittadine che gareggiavano nella Amateur Softball Association. L'ASA formò leagues, tenne un campionato nazionale e nominò squadre All-American. Articolo del Bridgeport Post del 16 settembre 1966Nella sua ventennale carriera amatoriale, Joyce ha giocato tre anni per le potenti Orange Lionettes (CA) e diciassette anni per le Raybestos Brakettes, dominanti a livello nazionale, con sede a Stratford, nel Connecticut. Come battitore, Joyce ha compilato una media battuta vita di .327, ma è stata nominata nella squadra ASA All-America per 18 anni consecutivi ed è stata MVP otto volte come lanciatrice. Le sue statistiche vita: record di 753-42 (vittorie-sconfitte), 150 no-hitters, cinquanta perfect games, un record di quarantadue vittorie in una stagione che includeva 38 shutouts e una ERA vita di 0,09. Joan Joyce si congratula con il suo team dellaFlorida Atlantic University Nel 1994, in un'età in cui molte persone vanno in pensione, Joan Joyce è diventata l'allenatore di softball alla Florida Atlantic University, costruendo il programma da zero per una squadra perennemente nel torneo NCAA. Tra tutte le sue imprese, una notte, in particolare, ampliò il suo ruolo rivoluzionario. Nel 1961, la giovane Joan Joyce affrontò il leggendario giocatore di baseball Hall of Famer, Ted Williams, che si era ritirato l'anno prima. Molte persone credono che Williams sia il più grande battitore che abbia mai giocato a baseball nella Major League, ma quella notte stava per provare qualcosa di diverso, battere un lanciatore di softball. Ted Williams e Joan Joyce L'occasione è stata una raccolta fondi per i bambini malati di cancro. Una folla stimata in 17.000 persone ha riempito il ballpark delle Brakettes e si è riversata sul campo. Joyce ha lanciato una palla dopo l'altra a Williams, che è stato in grado di battere in foul solo un paio di lanci prima di posare la mazza e allontanarsi. Le storie dei giornali sull'evento sono state lette da appassionati di sport che non sapevano nemmeno che le donne giocassero a softball fastpitch. Sharron Backus Sharron Backus in difesa Come Joan Joyce, Backus ha giocato durante il periodo di massimo splendore delle squadre cittadine che hanno gareggiato nella Amateur Softball Association. Dalla sua posizione di interbase, Backus ha guidato squadre a sette campionati durante la sua carriera da giocatrice dal 1961 al 1975, inclusi i Whittier Gold Sox nel 1961 (quando aveva solo quindici anni!) e le Brakettes negli ultimi cinque anni della sua carriera. I suoi primi anni in cui ha giocato per le squadre cittadine si sono sovrapposti ai suoi giorni di gioco al Fullerton College (noto ora come Cal State Fullerton) dal 1964 al 1967. Sharron Backus alla battuta Sebbene Backus fosse una grande giocatrice dilettante, è meglio conosciuta per il suo incarico come head coach alla UCLA dal 1975 al 1997. Dopo che il softball femminile è diventato uno sport NCAA nel 1982, le squadre di Backus hanno vinto otto dei primi quattordici campionati di softball NCAA. Al momento del suo ritiro, era l'allenatrice di softball del college più vincente nella storia e aveva consolidato la UCLA come il programma universitario dominante. Ha anche iniziato quello che è stato chiamato il coaching tree (**) della UCLA. La prima giocatrice di softball americana dell'UCLA, Sue Enquist, ha giocato per Backus dal 1975 al 1978. Sue Enquist Dopo il college, Enquist ha continuato a guidare le Brakettes a quattro campionati ASA prima di unirsi alla sua mentore come assistente allenatore nel 1980, assumendo il ruolo di co-head coach nel 1989. Dopo il ritiro di Backus, Enquist è diventata head coach, posizione che ha ricoperto fino al 2006, quando dopo tre campionati nazionali si è dimessa e ha ceduto il lavoro a Kelly Inouye-Perez, che aveva giocato per Backus ed Enquist nel 1990 e lei stessa era diventata assistant coach. Inouye-Perez ha portato la UCLA ad altri due titoli collegiali nazionali. Kelly Inouye-Perez (**) Coaching tree è simile a un albero genealogico tranne per il fatto che mostra le relazioni dei coach invece dei membri della famiglia. Esistono diversi modi per definire una relazione tra due allenatori. Il modo più comune per fare la distinzione è se un allenatore ha lavorato come assistente nello staff di un particolare head coach per almeno una stagione, allora quell'allenatore può essere considerato un ramo del coaching tree del head coach. I coaching tree possono anche mostrare l'influenza filosofica da un head coach a un assistente. Margie Wright Wright è cresciuta nella piccola città di Warrensburg, nell'Illinois, e si è unita alla sua squadra locale di softball ASA all'età di dieci anni, ma dovette mentire perché l'età minima era di dodici anni. Ha frequentato l'Illinois State University e, tra le sue imprese, ha guidato i Redbirds nel 1973 alle Women's College World Series della Association for Intercollegiate Athletics for Women (AIAW), che era stata fondata nel 1971 per governare lo sport femminile dei college negli Stati Uniti e per amministrare i campionati nazionali. Nell'ultimo giorno, Wright ha lanciato un complete game, vincendo 5-1 contro Southwest Missouri State, per poi realizzare una shutout contro Arizona State 4-0 e portare la sua squadra alla partita finale, prima di lanciare tutti i sedici inning (trenta in totale nella giornata) nella partita per il titolo, che l'Illinois State perse contro la Arizona State, 4-3. Come punizione per aver lanciato trenta inning in un giorno, Wright è stata sospesa da una commissione sportiva di tre donne dell'Illinois dal lanciare in qualsiasi partita nella sua succesiva stagione da senior! La commissione ha anche bandito la squadra di softball dello stato dell'Illinois dalle partite postseason nel 1974. Margie Wrigh head coach della Illinois State Softball Dopo sei anni come head coach dell'Illinois State, Wright è stata assunta dalla Fresno State e ha trasformato i Bulldogs in una potenza nazionale. In ognuna delle sue ventisette stagioni, Wright ha guidato la Fresno State al torneo NCAA. Nelle loro dieci finali alle Women's College World Series, i Bulldogs hanno vinto un titolo nazionale nel 1998 e si sono classificati al secondo posto altre tre volte. Al momento del suo ritiro nel 2012, Wright era l'allenatrice di softball più vincente nella storia della NCAA.
Il 6 maggio 2012, dopo 27 anni come head coach della Fresno State, Margie Wright annuncia il suo ritiro a fine stagione Nei decenni successivi all'approvazione del Titolo IX nel 1972, una squadra di softball giocava in genere su campi al di sotto degli standard delle strutture di baseball della scuola. Gli amministratori dei college raramente credevano che le atlete meritassero buone strutture o che i fans volessero vedere le partite. Margie Wright ha contribuito a cambiarlo. All'inizio degli anni '90, il grande successo della Fresno State aveva raggiunto un sostegno di fans che aveva superato la capacità del loro campo precedente, che non aveva nemmeno le luci. Wright ha formato un comitato di uomini d'affari di Fresno per raccogliere fondi per un nuovo campo, ma il presidente dell'università ha rifiutato di sostenere il progetto. Con un colpo di fortuna per il softball femminile, lo stato di Fresno era stato selezionato casualmente per la revisione del Titolo IX dall'Ufficio per i Diritti Civili (OCR). L'amministrazione aveva fornito alcune risposte false e, quando l'OCR lo ha scoperto, ha dichiarato la Fresno State University non conforme al Titolo IX. Alimentata dalla sua convinzione che le atlete dovrebbero avere risorse paragonabili agli atleti maschi, Wright ha sostenuto all'università che la costruzione di uno stadio di softball paragonabile allo stadio di baseball avrebbe mostrato conformità. 1998, la Fresno State guidata da Margie Wright conquista il primo titolo del campionato NCAA e il primo Women's College World Series Championship Il Bulldog Diamond, il moderno precursore degli stadi odierni, ha debuttato nel 1996. Lo stadio di softball da 3,2 milioni di dollari comprendeva quasi 1700 sedie con schienale permanente, dugouts infossati, luci, tribune, servizi igienici, aree di allenamento, gabbie di battuta chiuse, una tribuna per la stampa e un tabellone segnapunti. I fans si sono presentati in massa - dimostrando che gli sport femminili possono fare soldi - con lo Stato di Fresno che ha stabilito il record di presenze per una stagione e per singole partite. Con le tribune temporaneamente erette, la squadra ha attirato più di 5000 fans quando ha ospitato l'UCLA nel 1996 e di nuovo nel 1997, un anno in cui il pubblico medio della squadra era di 2557 spettatori. Il Bulldog Stadium di Fresno State è stato costruito a causa delle pressioni del Titolo IX e Wright che combatte per le sue atlete contro i desideri di un'amministrazione maschile. Opportunamente, la struttura è stata ribattezzata nel 2014: Margie Wright Stadium. (*) Il Titolo IX è una legge federale sui diritti civili negli Stati Uniti d'America che è stata approvata come parte (Titolo IX) degli emendamenti sull'istruzione del 1972. Proibisce la discriminazione basata sul sesso in qualsiasi scuola o altro programma educativo che riceve denaro federale. Questa è la legge pubblica n. 92-318, 86 Stat. 235 (23 giugno 1972), codificato in 20 U.S.C. §§ 1681–1688. La prima bozza legislativa è stata redatta dal rappresentante Patsy Mink con l'assistenza del rappresentante Edith Green. È stato quindi presentato al Congresso dal senatore Birch Bayh al Senato degli Stati Uniti e dalla deputata Patsy Mink alla Camera. Successivamente è stato ribattezzato Patsy T. Mink Equal Opportunity in Education Act dopo la morte di Mink nel 2002. Carol Hutchins Carol Hutchins è la prima delle nostre donne rivoluzionarie i cui talenti atletici furono premiati con una borsa di studio universitaria. Durante il liceo a Lansing, nel Michigan, Hutchins è stata una giocatrice All-City basketball per tre anni, nonché un membro chiave delle Lansing Laurels, una squadra di fastpitch dell'ASA che si è classificata quinta a livello nazionale. Carol Hutchins (da destra la seconda accucciata in prima fila) con la squadra del liceo Lansing Laurels Womens Softball nel 1975 Hutchins ha frequentato la Michigan State University, dove ha giocato nelle squadre di basket e softball dell'università degli Spartans dal 1976 al 1979. Hutchins ha iniziato da freshman come interbase e ha aiutato Michigan State a vincere un campionato nazionale di softball AIAW nel 1976. La formazione della Michigan State University vincitrice AIAW National Champions 1976 (Carol Hutchins è l'ottava in piedi da sx) Ancora più importante per gli sport femminili è quello che ha fatto come giocatrice di basket. Nel 1978, la squadra maschile degli Spartans - tra cui Magic Johnson - si recava alle partite con autobus o aerei noleggiati, mangiava in veri ristoranti e dormivano due per ogni stanza; la squadra femminile faceva le trasferte in station wagon, consumava ogni pasto da McDonald's e le giocatrici dormivano in quattro per stanza. Le donne alla fine ne avevano avuto abbastanza e hanno citato in giudizio l'università per violazioni del Titolo IX. La causa ha preso il nome di Hutchins, in qualità di capitano della squadra di basket: Hutchins v. Board of Trustees of Michigan State University. Forse grazie alla causa, le condizioni della squadra sono migliorate e il caso è stato risolto favorevolmente in via extragiudiziale negli anni '80. A differenza di molte pioniere dello sport femminile, Hutchins non ha dovuto citare nuovamente in giudizio secondo le regole del Titolo IX. Ma quella battaglia sarebbe stata solo la prima di molte battaglie contro il sessismo e la disuguaglianza di genere che ha dovuto combattere. Hutchins è diventata head coach della squadra di softball del Michigan nel 1985; sta ancora conducendo il programma che ha trasformato in una potenza nazionale. Il Michigan ha partecipato a dodici Women's College World Series e la squadra di Hutchins del 2005 è stata la prima ad east del fiume Mississippi a vincere il titolo nazionale. Nel 2016 ha superato Margie Wright per il maggior numero di vittorie in carriera come head coach, e nelle ultime due stagioni, lei e Mike Candrea dell'Università dell'Arizona si sono alternati in un tira e molla quel record. Nel 2016, Hutchins è stato la vincitrice inaugurale dell'espnW Pat Summitt Coaching Award. Nel 2016, Carol Hutchins viene festeggiata dalle sue giocatrici per la 1458a vittoria in carriera per diventare l'head coach più vincente di tutti i tempi Hutch, come è conosciuta nel mondo del softball, è una strenua sostenitrice del valore degli sport femminili e una feroce oppositrice del sessismo che sembra non finire mai. Una misura di ciò che rende il softball del college femminile così speciale è che le vittorie e i campionati non sono ciò che le persone menzionano quando parlano di lei. La leggendaria Hutch è nata grazie alla devozione che ha dai suoi ex giocatori e dai colleghi coaches. Hutch vuole vincere le partite di softball - nessuno lo contesterebbe - ma vuole ancora di più plasmare le ragazze che entrano nel programma della Michigan in giovani donne sicure, potenti e di principio. Dot Richardson Come le altre donne rivoluzionarie della nostra lista, Dot Richardson ha avuto una lunga carriera nel softball. All'età di 13 anni, la precoce Dot si è unita agli Orlando Rebels, diventando la giocatrice più giovane ad aver mai giocato nell'ASA Women's Fast Pitch National Championships. Al college, Richardson ha giocato per la Western Illinois un anno prima di trasferirsi all'UCLA. Interbase eccezionale, Richardson ha vinto ogni anno il premio All-American ed è stata così stellare che è stata successivamente nominata NCAA Player of the Decade degli anni '80. Poiché gli sport femminili raramente portano a contratti redditizi come professionisti, le atlete eccezionali dovevano ottenere anche risultati eccellenti in classe e Richardson è stato un modello di studente-atleta della NCAA. Si è laureata alla UCLA in kinesiologia, ha conseguito un master in Fisiologia dell'esercizio presso la Adelphi University nel 1988 e un Medical Doctor a Louisville nel 1993. A metà di un internato post dottorato in chirurgia ortopedica, Richardson si è unita alla squadra nazionale di softball preparandosi per Olimpiadi di Atlanta nel 1996. I giochi olimpici di Atlanta sono spesso considerati il luogo in cui il softball fastpitch femminile ha fatto breccia nel pubblico sportivo generale, e Richardson era il testimonial della squadra, il suo volto carismatico illuminava le foto delle azioni. Ha segnato il fuoricampo vincente nella partita per la medaglia d'oro del 1996 contro la Cina e poi ha giocato per la squadra del 2000 che ha vinto di nuovo l'oro a Sydney. Oltre alla sua partecipazione alle Olimpiadi, Richardson ha contribuito regolarmente agli sforzi internazionali degli Stati Uniti: ha giocato in cinque Giochi Panamericani (1979, 1983, 1987, 1995 e 1999) e cinque Campionati del Mondo (1982, 1986, 1990, 1994 e 1998). 1994 RAYBESTOS BRAKETTES - Da sinistra a destra, fila superiore: Coach Andy Van Etten, Doreen Denmon, Tricia Popowski, Dot Richardson, Jennie Condon, Lisa Fernandez, Jackie Cipolloni, Crystal Boyd, Missy Nowak, Dionna Harris, Coach John Stratton. Fila in basso:Manager Ralph Raymond, Karen Sanchelli, Sheila Cornell, Pat Dufficy, Barbara Reinalda, Lori Harrigan, Michelle Bolster, Jill Justin Dopo il college, Richardson ha giocato nella Amateur Softball Association con i Raybestos Brakettes fino al 1994 e poi ha concluso la sua carriera professionale nella California Commotion di Woodland Hills, in California. È una sedici volte ASA All-American ed è stata inserita nella loro Hall of Fame nel 2006. Richardson è una delle giocatrici di college, nazionali e internazionali più decorati nella storia del softball. Sebbene per anni Richardson abbia cercato di bilanciare la sua carriera nel softball e nella medicina, nel 2013 ha accettato il lavoro di head coach alla Liberty University, dove ha ribaltato il programma e ha aiutato Liberty a diventare una potenza mid-major. Il coaching staff della Liberty University: da sx, Bob Pinto (Assistant Coach e marito di Dot), Dot Richardson (head coach) e Paige Cassady (pitching coach) Lisa Fernandez Fernandez ha studiato all'UCLA ed è stata quattro volte First Team All-American e una stella delle Olimpiadi. Se Fernandez non ha tracciato nuove strade, è in questa lista di pionieri come la giocatrice che forse ha stabilito il livello più alto di risultati atletici nell'era post Titolo IX. È generalmente considerata la più grande giocatrice di softball di college di tutti i tempi. Lisa Fernandez mostra con orgoglio le sue medaglie d'oro alla prima mondiale di "Friday Night Lights" il 6 ottobre 2004 a Los Angeles Nel 1993, Fernandez aveva vinto tre Honda Awards consecutivi, assegnati alla miglior giocatrice di softball della nazione. Ma ha superato se stessa nella sua stagione da senior all'UCLA, vincendo la Coppa Honda-Broderick, assegnata all'atleta donna di college più eccezionale del paese. Lisa Fernandez ricorda il titolo WCWS del 1992 dell'UCLA softball Cosa ha fatto per vincere il premio? Ha avuto forse la più grande stagione individuale nella storia del softball: ha realizzato una media battuta di .509 con undici fuoricampo e quarantacinque RBI; da lanciatrice, è andata 33-3 con una ERA di .25. Una di queste sconfitte è stata nella partita del campionato NCAA, in cui un'epica resa dei conti tra i due più grandi programmi e due delle più grandi lanciatrici del gioco, Susie Parra di Arizona Wildcats ha lanciato una shutout concedendo due valide contro la migliore Fernandez sconfiggendo UCLA 1-0, con Fernandez che aveva concesso una sola valida e nessun punto guadagnato. Lisa Fernandez alla battuta Con un record in carriera di novantanove vittorie e sette sconfitte e una ERA di .22 - il tutto mentre giocava nella massima conference della nazione contro altre squadre di alto livello - Fernandez sarebbe stata una candidata per G.O.A.T. (La più grande di tutti i tempi) basata esclusivamente sul suo record di lancio. Lisa Fernandez con il 2005 ESPY Awards Ma era anche uno dei battitori più temuti nel softball, finendo con una media di battuta in carriera di .381 e colpendo di potenza. Ha portato le sue doppie minacce alle Olimpiadi tre volte e detiene il record olimpico con venticinque strikeouts in una partita e la media battuta più alta per un singolo torneo. Come superstar ben visibile nel softball, Fernandez, che è di origini portoricane-americane, ha contribuito a spianare la strada a quella che è stata definita la "Latina Explosion" nel softball. Gli ultimi decenni hanno visto un numero elevato di giocatrici di softball Latine frequentare il college e ottenere ottimi risultati sia a scuola che sui campi da gioco. Lisa Fernandez assistant coach UCLA. Nel 2022 sarà la sua 24a stagione nello staff tecnico dei Bruin Jennie Finch
Due volte vincitrice dell'Honda Award come miglior giocatrice di softball del college, tre volte First Team All-American per Arizona, Jennie Finch è stata la lanciatrice dominante della sua epoca, nonché una temuta battitrice. Jennie Finch alla battuta Nell'arco di tre stagioni, dalla fine del secondo anno all'inizio dell'ultimo anno, Finch non ha mai perso una partita. Detiene ancora il record NCAA con sessanta vittorie consecutive. Jennie Finch con la casacca di Arizona Wildcats softball Dal 1991 al 2007, Arizona, guidata dall'allenatore Mike Candrea, ha vinto otto titoli nazionali e la loro rivalità con UCLA era leggendaria. Finch ha aiutato Arizona a vincere uno di questi campionati (2001), così come ad aggiudicarsi un secondo posto. Le sue statistiche in carriera sono prolifiche: record di 119-16 vittorie-sconfitte con una ERA di 1.08; una media battuta di .301 per andare con 195 RBI e cinquanta fuoricampo. L'abbraccio di Jennie Finch con le altre giocatrici di Arizona dopo il suo ultimo strikeout nelle WCWS del 2001 contro UCLA. Jennie Finch è stata nominata miglior giocatrice delle Women's College World Series La squadra delle Arizona Wildcats vincitrici delle WCWS del 2001 (video della partita) Dopo essersi laureata in Arizona nel 2003, Finch ha iniziato a giocare per il Team USA, preparandosi per le future Olimpiadi. È andata 15-0 nel mese precedente ai Giochi del 2004 e poi ha continuato la sua forma dominante ad Atene, vincendo due partite e concedendo una sola valida e nessun punto. Il suo successo al college e alle Olimpiadi, insieme al suo aspetto da modella, l'hanno aiutata nel 2004 ad essere nominata una delle 50 Most Beautiful People dalla rivista People. Glamour e Vanity Fair la resero famosa con vari servizi e realizzò una copertina di Sports Illustrated. La cover di SI con Jennie Finch del 18 luglio 2005 Nel 2005 SI l'ha inclusa nel suo Swimsuit Issue, anche se aveva scelto delle foto prevalentemente in costumi da bagno. Finch ha rifiutato offerte lucrative per posare per Playboy e Maxim, in parte a causa della sua fede cristiana: in numerose occasioni ha affermato di voler essere un modello per le ragazze e le giovani donne. Nel 2008, la rivista Time ha dichiarato Finch la giocatrice di softball più famosa della storia. Non è stata la più decorata con onorificenze individuali (sebbene si sia classificata ad altissimi livelli), ma è sicuramente la più conosciuta al di fuori del gioco. Jennie Finch con la casacca dei Chicago Bandits Negli anni in cui l'industria della moda si è interessata a lei, Finch ha continuato il suo successo nel softball. È entrata a far parte della National Pro Fastpitch League nel 2005. Giocando per i Chicago Bandits, Finch ha realizzato una serie di quindici vittorie consecutive e detiene ancora la corona per la ERA stagionale della League, che ha stabilito nel 2007. Nel 2008 è rientrata nel Team USA, vincendo altre due partite alle Olimpiadi di Pechino, ancora una volta non concedendo punti. Jennie Finch in azione durante un suo clinic Nel 2010, Finch si è ritirata dal softball per concentrarsi sulla sua famiglia (ora ha tre figli). Ma ha continuato ad essere una grande promotrice di questo sport. È ospite di clinics e parla ai gruppi. Nel 2011, Finch è stata co-autrice del best-seller Throw Like a Girl: How to Dream Big and Believe in Yourself, assieme ad Ann Killion. Nell'agosto 2011, ha iniziato a lavorare per ESPN come color commentator. Finch è stata una pioniera e un modello per come da atleta donna è riuscita a bilanciare la vita pubblica e quella privata. Il suo head coach di Arizona, Mike Candrea, riassume bene il suo impatto: "Jennie ha trasformato questo sport, ha toccato milioni di bambini in molti modi diversi - che si tratti della moda, del modo in cui giocare - ma attraverso tutto ciò è stata molto umile". Jessica Mendoza Come molte giocatrici in questa lista, Mendoza è stato quattro volte First Team All-American. Protagonista per la Stanford University, ha concluso la sua carriera con cinquanta homer, 188 RBI, 230 punti segnati e una media battuta di .416, ma non era solo un'esterno potente; Poteva correre (86 basi rubate in carriera) e difendere. Jessica Mendoza con la casacca della Stanford University Mendoza ha duplicato quei numeri vincenti ovunque sia andata, come membro della squadra nazionale femminile, alle Olimpiadi nel 2004 e nel 2008 e nella National Pro Fastpitch League. Jessica Mendoza alla battuta alle Olimpiadi del 2004 Jessica Mendoza (2) e le sue compagne di squadra festeggiano dopo aver conquistato la medaglia d'oro ai Giochi Olimpici del 2004 Molti giovani giocatori di softball conoscono Mendoza più per il suo lavoro di commentarice della MLB che come grande giocatrice di softball nel primo decennio di questo secolo. Dopo un'intervista su ESPN quando era una giocatrice, Mendoza ha attirato l'attenzione di un produttore che le ha chiesto se avesse qualche interesse per la televisione. Diversi anni dopo, nel 2007, ESPN ha chiamato e lei ha risposto. Altamente energica, appassionata e articolata, Mendoza ha iniziato come analista di softball per le Women's College World Series e reporter a bordo campo di football del college. Ha poi lavorato come reporter e analista per le Men's College World Series, nonché come analista per la Little League World Series. Quando ha smesso di giocare a softball a livello professionistico per concentrarsi sul suo lavoro con ESPN, i suoi ruoli da annunciatrice sono cresciuti. Jessica Mendoza mentre commenta per ESPN una partita del Monday Night Baseball assieme a Dallas Braden e Dave O'Brien Mendoza è stata una pioniera nella sua carriera di presentatrice sportiva. Nel 2015, Mendoza è diventata la prima donna analista delle partite della Major League Baseball per ESPN, durante il "Monday Night Baseball" (Video). Nel 2016 ESPN ha nominato Mendoza come membro fisso della squadra di annunciatori del "Sunday Night Baseball", cosa che ha fatto per quattro anni. Nel 2020, Mendoza è diventata la prima analista donna a commentare le World Series sulla radio nazionale, una serie che le ha portato fortuna. Jessica Mendoza mentre commenta per ESPN una partita del Sunday Night Baseball assieme a John Kruk e Dan Shulman Mendoza è cresciuta nel sud della California in una tradizionale famiglia messicano-americana e, come molti all'epoca, è stata coinvolta nella "Fernando Mania" che contaminò l'area di Los Angeles quando i Dodgers vinsero le World Series nel 1988, guidati dal grande Fernando Valenzuela. La prima partita della Major League vista dal vivo da Mendoza da ragazzina fu al Dodger Stadium e trentotto anni dopo, stava commentando l'ultimo titolo dei Dodgers. Natasha Watley Quattro volte interbase First Team All-American alla UCLA, Watley possiede la maggior parte dei record in carriera della scuola: valide (395), punti segnati (252), at-bats (878), tripli (21) e basi rubate (158). La sua media battuta di .450 è la seconda di tutti i tempi alla UCLA e la settima nella storia della NCAA. La migliore stagione di Watley è stata al suo ultimo anno, quando ha guidato l'UCLA al titolo nazionale (Video), ha vinto l'Honda Sports Award come miglior giocatrice di softball della nazione, e poi è stata scelta come vincitrice della Honda Cup come miglior atleta femminile della nazione. Molto veloce sul lato sinistro del piatto, Watley poteva anche colpire con potenza, segnando dieci fuoricampo e cinquantatré RBI quell'anno. E il suo range difensivo all'interbase è leggendario. Natasha Watley è stata eletta nel 2014 nella HOF della UCLA Watley e la sua compagna di squadra dell'UCLA Tairia Mims Flowers sono state le prime afroamericane a giocare per il Team USA alle Olimpiadi, e Watley è stata protagonista. Durante il tour "Aiming For Athens" nel 2004, Watley ha battuto .464 e poi ha guidato la squadra con dodici valide alle Olimpiadi per vincere la medaglia d'oro. Natasha Watley alla battuta alle Olimpiadi del 2004 Nel 2008 nel tour "Bound 4 Beijing", Watley ha battuto .450 ed è stato il battitore principale per il Team USA nel loro tentativo di vincere la medaglia d'argento alle Olimpiadi. Watley ha seguito la sua carriera universitaria giocando a livello professionistico quando non era in servizio con la squadra nazionale. Nella National Pro Fastpitch League, è stata sette volte All-Star (giocando principalmente per l'USSSA Pride) ed è diventata la prima giocatrice nella storia della league ad accumulare 300 valide in carriera (nel 2014). Natasha Watley con la casacca della USSSA Pride Ha anche giocato per il Team Toyota nella migliore lega professionistica del mondo, la Japan Softball League, aiutando il Team Toyota a vincere cinque dei sei campionati tra il 2010 e il 2016. Natasha Watley e la lanciatrice Monica Abbott nel Team Toyota Motor “Red Terriers” vincitrici nel 2016 del 49th Japan Women’s Professional Softball League Watley è una grande ambasciatore per il softball femminile e tra i suoi numerosi contributi c'è la creazione della Natasha Watley Foundation. Costituita nel 2009, la fondazione, nelle parole della sua dichiarazione di intenti, "cerca di consentire alle giovani donne di fare scelte di vita sane, sviluppare una forte autostima e diventare leader di carattere attraverso la partecipazione e l'allenamento nello sport del softball". Quelle parole riecheggiano ciò che molti nel softball tentano di fare, ma la fondazione di Watley ha un pubblico di base insolito. Il softball è costoso e suburbano, e l'obiettivo di Watley è creare opportunità nel softball per ragazze e giovani donne in comunità svantaggiate. The Packaged Deal Nel 2013 tre ex giocatrici del college - il ricevitore Jen Schroeder, la lanciatrice Amanda Scarborough e l'interno Morgan Stuart - erano nella stesso clinic tecnico ad Alberta, in Canada, e durante il viaggio in aereo verso casa hanno pensato a come potevano portare l'esperienza del clinic a un più ampio pubblico. Insieme a Katie Schroeder (sorella di Jen), hanno dato il nome The Packaged Deal (TPD) a questo sodalizio e hanno aperto il loro primo clinic nel 2014 e da allora hanno dimostrato come utilizzare Internet e i social media per portare softball e lezioni di vita a molte migliaia di ragazze. Jen Schroeder è stata una delle prime ex giocatrici a pubblicare video didattici online come un modo per raggiungere le ragazze lontane da casa sua, nel sud della California, dove ha dato lezioni ai catchers. Abile nei social media e nel connettersi con le ragazze, Schroeder ha creato un "marchio" per se stessa. TPD ha continuato con successo tale branding. TPD istruisce un gran numero di ragazze tramite strumenti online. Come dice il loro sito web, CLASS IS IN SESSION e la loro Softball School è un programma online con 100 lezioni dal vivo che le ragazze possono guardare on-demand sui propri dispositivi. The Packaged Deal softball school La divulgazione e la scuola di softball creano anche un vasto pubblico per i loro clinics TPD, che nel corso degli anni sono cresciuti fino a raggiungere ben oltre 300 in tutto il paese. Tutti gli appassionati di sport sono abituati a vedere le grandi aziende di scarpe e abbigliamento che sponsorizzano squadre universitarie e nel 2017 Nike ha firmato TPD per un accordo a lungo termine di abbigliamento e scarpe. TPD indossa e vende prodotti Nike nelle proprie clinic e online. Nike li paga. Un simile accordo sarebbe stato inimmaginabile dieci anni prima, o anche nel 2017 senza gli sforzi creativi di Jen Schroeder, Katie Schroder, Amanda Scarborough e Morgan Stuart. Katie Schroder Le quattro donne che compongono TPD sono pioniere non per le loro carriere individuali nel softball, tutte di grande levatura, ma perché hanno dimostrato come l'insegnamento del softball potrebbe andare oltre il tradizionale coaching individuale e come ex giocatrici potrebbero diventare imprenditori di successo, forgiando un diverso tipo di carriera. Packaged Deal Softball School (Video)Tratto da: "10 Groundbreaking Women Of Softball In honor of Women’s History Month, FloSoftball and Mark Allister compiled a list of ten groundbreaking women of softball" di Mark Allister del 29 marzo 2021 pubblicato su https://www.flosoftball.com/ |
"Turn Ahead the Clock" Mercury Mets - La vera storia Nel 1999, il baseball aveva immaginato il mondo nel 2021 e sembrava strano! Ad un certo punto, Orel Hershiser aveva visto i modelli: una casacca nera in fibra sintetica con maniche ad aletta argentate, infilata nei soliti pantaloni bianchi dei Mets. Sul davanti della maglia c'era un simbolo astronomico di grandi dimensioni del pianeta Mercurio, oltre all'immagine oscura del pianeta stesso. Nel testo orizzontale c'era la parola Mercury. Verticalmente, in lettere maiuscole, c'era il nome della squadra: Mets. L'anno, presumibilmente, era il 2021. I Mets, con tutta probabilità, si erano trasferiti da tempo sul pianeta più vicino al sole e stavano tornando sulla terra per una singola partita allo Shea Stadium. Avevano portato con sé la loro attrezzatura, le loro caratteristiche extraterrestri e il loro senso della moda, che sarebbero diventati la coreografia di una delle promozioni più memorabili nella storia della Major League Baseball. Preparandosi per il suo start finale prima dell'evento, Hershiser non aveva ancora capito che tipo di allegria, di potere magico o nostalgia potessero evocare i Mercury Mets; pensava solo che le maglie fossero brutte. Era un problema ! Con l'avvicinarsi della promozione del 27 luglio 1999, Hershiser si ritrovò con un record di 199 vittorie in carriera. Sapendo che i media avrebbero prestato molta attenzione per il suo conseguimento della 200a vittoria, era nauseato da quello che percepiva come un problema sartoriale. "La motivazione all'inizio dell'ultimo start", ha ricordato Hershiser, ridendo, "era che non volevo provarci con quell'uniforme". Un diverso tipo di ritorno al passato I segni dell'atterraggio dell'astronave della MLB nel tempo sono stati impressi non su Mercurio, né nel Queens, ma nel vecchio Seattle Kingdome. In mancanza di una lunga storia della franchigia, e quindi di un catalogo di uniformi del passato tra cui scegliere, i Mariners si vestivano periodicamente con le divise di altre ex squadre professionistiche locali: i Seattle Pilots o i Rainiers della Pacific Coast League o gli Steelheads delle Negro Leagues. Fu durante uno di questi eventi di ritorno al passato nel 1997 che i membri dei team del marketing e management di Seattle iniziarono a fare un brainstorming sulle promozioni per l'estate successiva. Qualcuno lanciò quest'idea: "E se andassimo nel futuro?" "Tutti si guardavano l'un l'altro", ha ricordato Kevin Martinez, un responsabile del marketing dei Mariners nelle ultime 24 stagioni, "Cosa potrebbe assomigliare ? Come sarebbe ?". Un giorno o due dopo, Martinez espose l'idea alla superstar di Seattle, Ken Griffey Jr., durante il batting practice. Griffey era così entusiasta che iniziò a proporre idee su come avrebbero dovuto essere le uniformi: di sicuro, senza maniche di colore rosse e nere con un elemento metallico. Martinez l'aveva scarabocchiato su un taccuino. Nacque una promozione, una parodia delle notti "Turn Back the Clock" che erano diventate popolari nel baseball. Piuttosto che imitare qualche elemento del passato, i Mariners cercarono di predire il futuro. Non erano timorosi. La notte della partita, che si giocò il 18 luglio 1998, contro i Royals, Seattle invitò l'attore James Doohan - Scotty di "Star Trek" - a lanciare il cerimoniale primo lancio, trasportandolo verso il monte su una DeLorean con un robot che consegnava la palla da baseball. Il tabellone segnapunti proiettava i risultati di squadre dell'espansione fantasiose come i Saturn Rings, i Mercury Fire e i Pluto Mighty Pups, tra gli altri club più terrestri della MLB. Prima della partita, nella clubhouse dei Mariners Griffey brandendo una bomboletta di vernice spray, colorò le scarpe di ciascuno dei suoi compagni di squadra per abbinarle alle sue scarpe Nike argentate su misura. James Doohan lancia la prima palla il 18 luglio 1998 "Signori", disse Griffey ai suoi compagni di squadra mentre si muoveva per lo spogliatoio, "stiamo andando nel futuro". Turn Back the Clock tra Mariners e Royals del 18 luglio 1998 Griffey aveva anche incoraggiato i Mariners a scegliere un look casual con le casacche fuori dai pantaloni, ragionando sul fatto che gli arbitri lo avrebbero permesso perché i White Sox del 1976 avevano fatto lo stesso. Non aveva torto. Così accadde che con il cappellino all'indietro e la casacca che svolazzava, i bicipiti scoperti e un paio di spikes d'argento ai piedi, Griffey corse verso la recinzione del centrocampo sinistro per rubare a Larry Sutton una valida - "una classica presa di Ken Griffey Jr.", come la chiamava Martinez. La presa di Ken Griffey Jr. durante la partita del 18 luglio 1998 Non molto tempo dopo, squillò il telefono della tribuna stampa del Kingdome. "Cosa diavolo sta succedendo là fuori ?" disse la voce dall'altro capo del filo. Era un produttore di ESPN che chiamava da Bristol, Connecticut, con il potere di rendere l'evento dei Mariners il più virale possibile nel 1998. Quella notte, la rete iniziò "SportsCenter" con un segmento highlighting di "Turn Ahead the Clock" da Seattle. Un gruppo di esperti di marketing della MLB a New York prese nota. Programmarono un viaggio d'affari a Seattle, dove Martinez consegnò i suoi modelli di divise fotografie e sceneggiature dell'evento. L'idea era di portare il tema a livello nazionale. Ritorno al futuro "Vi ricordate il vecchio cartone animato, The Jetsons? (I Pronipoti)", Steve Savino stava dicendo dal suo ufficio alla Lehigh University, "Stiamo avanzando velocemente verso quel tipo di arco temporale in cui tutto è automatizzato e le persone sono in macchine volanti o altro. Allora come si vestirebbero? Come sarebbero?" Savino è ora un professore, insegna a studenti universitari e candidati MBA (Master in Business Administration) a Lehigh. Nel 1999 era stato vicepresidente esecutivo del marketing globale per Century 21, un'agenzia immobiliare che cercava di ringiovanire il proprio marchio. Century 21 aveva recentemente acquistato i diritti per l'Home Run Derby, in un momento in cui Mark McGwire aveva appena stabilito il record di home run in una singola stagione e la palla lunga era molto in voga. Quando la MLB aveva anche offerto la sponsorizzazione per una promozione di "Turn Ahead the Clock" a livello di League, l'esca era ovvia per Savino. "Siamo Century 21", aveva detto Savino, "E ci stiamo dirigendo verso il 21° secolo, non è vero ?" Con i Mariners che fornivano il progetto e la società immobiliare che offriva supporto finanziario, la MLB stava per intraprendere il suo "Turn Ahead the Clock" da costa a costa; doveva semplicemente semplificare le cose. Piuttosto che prendere 30 modelli di uniformi differenti, la League aveva creato un modello standard che ogni squadra poteva usare: una maglia senza maniche con scollo a V con maniche ad aletta e un logo della squadra oversize sul davanti. Alcune divise utilizzate dalle franchigie per Turn Ahead the Clock La grande rivelazione ebbe luogo negli uffici della MLB a Manhattan, dove la League annunciò i dettagli della promozione a un gruppo di giornalisti sportivi e di economia. Per la conferenza stampa, gli interior designer trasformarono lo spazio in un futuro paese delle meraviglie, completo dei modelli delle casacche e un globo al plasma che pulsava di energia quando le persone lo toccavano. Da una sala relax adiacente era uscito un refrigeratore di ghiaccio secco, che creò abbastanza fumo da consentire a un membro del personale amministrativo della MLB, nonostante le assicurazioni che tutto andava bene, di attivare l'allarme antincendio. "Quindi, nel mezzo di questa conferenza stampa in cui c'erano tutti, i vigili del fuoco si presentarono al completo", ha affermato Anne Occi, vicepresidente del design della MLB, "Era come una sitcom. Non potevi rimediare". Il futuro era arrivato. Nel New York Times del giorno successivo, tra gli altri articoli, furono resi pubblici i dettagli della promozione. Ventidue delle 30 squadre della MLB avevano firmato per "Turn Ahead the Clock", con otto club - gli Yankees, i Dodgers e i Cubs, in particolare - che si rifiutarono di cambiare le loro divise anche per un giorno. La maggior parte di quelli favorevoli presentava versioni sovradimensionate dei loro loghi normali: le magliette dei Rockies, ad esempio, raffiguravano un gigantesco massiccio innevato, mentre i Pirates - l'avversario dei Mercury Mets in quella fatidica notte - avevano una testa da bucaniere che copriva più di 30 cm di lunghezza. Alcuni dei loghi delle franchigie stampati sulle casacche e usate per Turn Ahead the Clock I Mets si sono rivelati i più ambiziosi. Sebbene i loro modelli iniziali delle casacche presentassero anche una "NY" di grandi dimensioni e intrecciata su un semplice sfondo nero, il loro team di marketing decise che non era abbastanza memorabile. I funzionari della squadra chiesero alla MLB se potevano disegnare le proprie divise per l'evento, arrivando addirittura a chiedere il permesso di cambiare nome e logo per un giorno. "Fondamentalmente come gruppo, abbiamo deciso: 'Andiamo alla grande o torniamo a casa'", ha detto Kit Geis, all'epoca direttore del marketing dei Mets, "Facciamo questo in modo di attirare l'attenzione e ci impegniamo a farlo". "È come in una commedia, sei impegnato nella tua parte? Stavamo per impegnarci a fondo". Primavera successiva Hershiser era arrivato ai Mets dopo il suo 40esimo compleanno, con 190 vittorie già al suo attivo. Mentre il vincitore del NL Cy Young Award del 1988 aveva lottato nei primi tre mesi della stagione '99, un forte attacco lo aiutò a vincere otto partite. La nona vittoria di Hershiser arrivò il 6 luglio, portandolo ad una vittoria dalle 200, ma ne perse due di fila quando i Mets rivelarono i piani per la loro stravaganza galattica. Hershiser guardò il calendario e si rese conto che doveva vincere di nuovo il 22 luglio, per paura di raggiungere il numero 200 come Mercury Met. I piani della squadra per la serata "Turn Ahead the Clock", Hershiser li conosceva ed erano ambiziosi. Non solo Geis e il suo dipartimento avevano ridisegnato le uniformi, ma avevano anche creato una trama di base: i Mets, a un certo punto, si erano trasferiti su Mercurio, a qualche frazione di anni luce dalla Terra. Come parte di una promozione interplanetaria, stavano tornando nel Queens per una partita del 2021 allo Shea Stadium. Nel frattempo, il baseball era cambiato. Il campo sinistro era ora "left quadrant". Gli inning erano "sectors". Le aree di ristoro erano "replenishing depots". Oh, e ogni giocatore era un alieno. Rickey Henderson ritratto sul tabellone nelle vesti di Mercury Mets Sul tabellone dello Shea Stadium, le immagini lampeggiavano per ogni giocatore extraterrestre che si avvicinava al piatto. Rickey Henderson uscì dal box di battuta per esaminare la sua somiglianza prima del suo primo at-bat: verde con orecchie a punta e un occhio in più. Robin Ventura e Mike Piazza ritratti sul tabellone nelle vesti di Mercury Mets Robin Ventura era calvo con un ciuffo di capelli verdi. Il manager Bobby Valentine aveva le corna che gli spuntavano dal cranio. I giocatori dei Mets noti per la loro abilità in difesa apparivano con dei tentacoli al posto delle braccia. Il partente (L) dei Mercury Mets Orel Hershiser per la partita del Turn Ahead the Clock del 27/07/1999 "Non volevo guardarlo", ha detto Hershiser, che dopotutto era riuscito a ottenere la 200esima vittoria il 22 luglio, una vittoria per 7-4 contro Montreal. L'evento dei Mets era esattamente ciò che il team del marketing di Century 21 voleva: un vero investimento per la campagna "Turn Ahead the Clock". Ma si rivelò imperfetto, sia a Flushing che altrove. In molte città, a causa della pianificazione tardiva, le divise arrivarono allo stadio poche ore prima del primo lancio (Non arrivarono mai a Boston perché un uragano aveva colpito l'impianto di produzione in North Carolina). A differenza del Kingdome, dove l'entusiasmo di Griffey aveva alimentato il progetto, non tutti i giocatori sapevano dell'evento in anticipo o erano d'accordo con esso. Ad alcuni non era piaciuto il cambiamento nel materiale del jersey, che era più lucido e liscio rispetto alla normale miscela di poliestere. Altri consideravano l'idea infantile. Anche al Century 21, Savino temeva che i giocatori reagissero come il lanciatore dei Mets Turk Wendell, che aveva definito le divise "super brutte... super brutte". "La prima volta che li ho visti", ha ricordato il broadcaster dei Mets Howie Rose, "Ho detto: 'Whoa, whoa, whoa. Gli stanno solo proiettando delle foto, giusto? In realtà non usciranno in campo con quell'aspetto, giusto ?". Naturalmente, i Mets lo fecero, con Hershiser a lanciare e una formazione costellata di stelle - Henderson, Ventura, Mike Piazza e altri - dietro di lui, molti dei quali avevano approvato l'aspetto dei Mercury Mets. Coloro che guardavano a casa hanno appreso della promozione durante un'introduzione televisiva, in cui il prima base Matt Franco parlò delle uniformi e dei vantaggi di giocare su Mercury: "non c'è gravità lì, quindi colpisci bombe ... che finiscono sulla luna". I fans nel ballpark potevano vedere abbastanza bene cosa stava succedendo, nonostante una certa confusione sul significato del simbolo del mercurio. Tutto sommato, le cose sembrarono andare bene.
Il partente (W) dei Pirates Kris Benson per la partita del Turn Ahead the Clock del 27/07/1999 "Ad essere onesti eravamo preparati", ha detto l'esterno dei Pirates Brant Brown, "Pensavamo, OK è brutto! Ora proviamo a vincere la partita". Mercury Mets vs. Pittsburgh Pirates del 27/07/1999 in occasione del Turn Ahead the Clock Contraccolpo dei tabloid La mattina dopo la sconfitta per 5-1 di New York, il titolo in ultima pagina del Daily News proclamò una sola parola in caratteri sovradimensionati: "BRUTTA". "I Mets hanno un brutto aspetto, giocano anche peggio nella sconfitta contro i Bucs", si leggeva nel sottotitolo, con grande dispiacere del dipartimento marketing della squadra. Newsday titolava "Lost in Space". Hershiser era stato citato in entrambi i giornali paragonando l'evento a un circo. The Village Voice, che ospitava la nascente rubrica "Uni Watch" di Paul Lukas, affermò che "forse il Millennium Bug non sarebbe una cosa così negativa". A Flushing, almeno, "Turn ahead the Clock" non ricevette una risposta così calorosa come si era sperato. Altrove? "Sono state due situazioni diverse", ha detto Martinez, il marketer dei Mariners, "Penso che qui a Seattle, è stata una notte che la gente ricorderà e si è divertita, e c'era il più grande giocatore del gioco al centro di tutto. Certamente quando è diventato nazionale e i media che lo hanno seguito, è apparso così estraneo ed esagerato a così tante persone. Non so se ha avuto necessariamente la stessa reazione". Inizialmente, la MLB voleva continuare la promozione nell'anno 2000, ma la reazione mista dei media indusse Century 21 a ritirare il loro sostegno. Mentre l'evento dei Mariners si era rivelato abbastanza popolare da essere ripreso dal team nel 2018, i Mets non hanno piani del genere, preferendo tenere i Mercury Mets a distanza (robotica) di sicurezza.
Tuttavia, due decenni hanno avuto modo di smussare i toni. Le casacche dei Mercury Mets attirano molto interesse quando compaiono su eBay e su altri siti online. Le immagini delle divise e la grafica del tabellone segnapunti spesso trovano la loro strada sui social media. Savino, che da tempo è passato dal Century 21, ha conservato una collezione di maglie dell'evento. Anche Rose, una tradizionalista dell'uniforme che non guarda indietro all'evento "con affetto o nostalgia", ha la sua maglia dei Mercury Mets riposta a casa. Il cap usato dai Mercury Mets per il Turn ahead the Clock del 1999 "La stessa cosa che forse ha causato critiche all'epoca è ciò che rende quel cappellino così collezionabile oggi", ha detto Geis. "All'epoca, alla stampa piaceva solo parlare, e dicevano: "Forse i Mets si sono spinti troppo oltre". Steve McKelvey, la cui società di marketing PSP Sports ha lavorato con Century 21 sull'accordo, non concorda con tale valutazione. McKelvey, che ora è professore di marketing alla UMass-Amherst, afferma che i Mets furono l'unica squadra a catturare appieno lo spirito della promozione quell'estate, con la loro mossa interplanetaria, la grafica del tabellone segnapunti e altri accessori. Il punto centrale, ha detto McKelvey, era quello di essere un po' sciocchi, di attirare un po' di attenzione essendo un po' strani. "Col senno di poi", ha detto Geis, "tutto è ancora divertente, giusto?" Turn Ahead the Clock Night è stato un bellissimo disastro - Storia del baseball |