Curiosità, aneddoti, racconti e abitudini dei protagonisti del vecchio gioco LE SUPERSTIZIONI DEL BASEBALL
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Si racconta...... che i giocatori di baseball siano superstiziosi è storia vecchia, ma a quanto pare c'è un giovanotto che, dopo solo 28 partite nel grande circuito ha già meritato la palma di "giocatore più supertizioso del baseball. Proviamo a chiederne conferma ai colleghi: Dave Winfield: "Il più superstizioso? Come diavolo si chiama quel ragazzo che gioca negli Indians?". Rick Dempsey: "Il più superstizioso? Quando penso agli Indians nel mio cervello squilla un campanello!". Charlie Hough: "Quel tale degli Indians non è superstizioso. E' pazzo!". L'oggetto di queste sosservazioni non è altro che un rookie di 28 anni, Kevin Rhomberg. Bene, il nostro Kevin, tra l'altro, è convinto che se qualcuno lo tocca e lui, immediatamente, non risponde con lo stesso gesto gli capiteranno sciagure inenarrabili. "L'altro giorno - racconta Dempsey, ricevitore degli Orioles - è entrato nel box contro di noi. Per caso gli ho sfiorato la gamba col guanto... lui ha chiesto tempo per toccarmi a sua volta la gamba". "Questo è niente - aggiunge Storm Davis - l'anno scorso, in doppio A, mentre effettuavamo il cambio uno dei nostri lo toccò mentre lui entrava in difesa; Kevin tornò immediatamente indietro, entro nel dugout e toccò tutti per essere sicuro di ritrovare il suo uomo". Se chiedete ad un giocatore di baseball il perchè di tutta questa superstizione nel baseball, molto spesso vi sentirete rispondere: "Non è superstizione, è solo routine, molti di noi compiono le stesse azioni nella stessa maniera prima di ogni partita, è un modo come un'altro per concentrarsi". "E' vero - sottolinea Bill Madlok, miglior battitore della National League - io ad esempio non ho proprio superstizioni di nessun tipo.... solo devo toccare con la mazza il piatto tre volte prima di ogni lancio se no non riesco a battere... e se batto in foul devo fare un giro intorno all'arbitro prima di rientrare nel box e poi.... in riscaldamento tiro sempre la palla nella stessa maniera ogni giorno, pensate che io sia supertizioso?". "Non è vero che i giocatori di oggi siano meno superstiziosi di quelli di una volta - spiega Joe Altobelli, manager degli Orioles - anche oggi praticamente tutti hanno qualcosa, chiamatela superstizione, rituale, idiosincrasia, religione...". "E' vero - conviene Tony La Russa - anche per noi manager ci può essere un modo particolare per compilare il line up, per consegnarlo all'arbitro e agli avversari". " Io ad esempio - spiega Altobelli - quando la squadra vince non cambio mai l'itinerario che compio in automobile da casa allo stadio". Ma di usanze particolari tra i pro, ne troviamo a bizzeffe: Gary Carter, catcher degli Expos, nei periodi in cui batte bene non cambia mai la maglietta; Tony Pena non vuole che nessuno tocchi il suo guanto; Willy Mays toccava sempre il cuscino di prima base quando entrava in difesa; Joe Medwick, invece, faceva lo stesso con quello di terza; Ted Williams, prima della partita, si fermava davanti ad uno specchio, si aggiustava il berretto ed esclamava " Teddy tu sei il più grande!!". Una delle manie più diffuse, tra i manager e i giocatori, è quella di non calpestare assolutamente le linee di foul entrando o uscendo dal campo. "Perchè non pesto le linee? Non lo so - risponde Sparky Anderson, manager dei Detroit Tuger - è una cosa che ho iniziato a fare a scuola ed ora sono troppo vecchio per cambiare". C'è anche chi si affranca da certe "abitudini", come ad esempio il catcher dei Royals Darrel Porter: "Due anni fa, per caso, pestai la linea di foul... non mi successe niente, così ora ogni anno, alla partita di apertura mi faccio un puto d'onore nel fermarmi proprio sopra le linee". Prima dell'arrivo di Kevin Rhomberg, la palma di più "supertizioso" spettava sicuramente a Tito Fuentes. Tito considerava una grave sciagura essere toccato mentre girava il doppio gioco e per questo aveva perfezionato una tecnica particolare per cui schizzava via dal cuscino con incredibile rapidità. Inoltre usava degli unguenti portafortuna (ne aveva di sei tipi diversi) e delle catenine (almeno 17) che doveva indossare in un certo ordine e che dovevano essere in una certa posizione prima di ogni turno di battuta. Un'altra abitudine particolare era quella di Lou Skizas, ora istruttore di battuta dell'Università dell'Illinois: "Lou - racconta Mike Shannon dei Cardinals - quando andava a battere doveva per forza passare tra il catcher e l'arbitro. Spesso i due, per fargli dispetto, si mettevano vicinissimi e capitavano scene incredibili con Lou che cercava a tutti i costi di infilarsi in mezzo. Inoltre aveva un'altra particolarità: prima di battere girava la mazza solo con la sinistra tenendo la destra nella tasca posteriore dei calzoni. Molti pitchers tentavano di approfittarne di questo fatto lanciando con un caricamento velocissimo, ma lui riusciva sempre ad impugnare bene ed a picchiare con violenza. Questo particolare gli valse il nome di "Greco nervoso". "Io sono uno dei pochi a sapere perchè teneva la mano in tasca - aggiunge il manager Whitey Herzog - aveva la sua medaglietta portafortuna. Ma non basta: lo sapevate che indossava sei paia di calze e ad ogni partita ne invertiva l'ordine?". Tra gli skipper in attività Tony La Russa ha un'usanza piuttosto disagevole: nei momenti decisivi, nelle partite importanti, indossa sempre un giubbotto che, a quanto pare porta fortuna alla sua squadra, i White Sox. "L'anno scorso - racconta il lanciatore Britt Burns - in agosto, nel momento critico della stagione, c'erano 40 gradi ma lui era imperturbabile con il giubbotto pesante....". "Si - ammette Tony - ma abbiamo vinto 15 partite su 18...". "Anche il mio berretto è importante - continua La Russa - lo scorso anno durante una disputa con un arbitro lo lanciai a terra, si sporcò tutto, continuai ad usarlo lo stesso e vincemmo 17 partite consecutive. Arrivammo ai play off, pensai che non era il caso di metterlo visto che era tutto rovinato, ne indossai uno di nuovo e ... perdemmo!". Il terribile Leo Durocher, uno dei manager più sanguigni della storia del baseball, era solito "aiutare" la sua squadra con abitudini particolari: durante i periodi vincenti indossava sempre gli stessi vestiti, arrivava e se ne andava sempre con la stessa ora. Se invece le cose andavano male cercava di modificare il corso degli eventi cambiando il suo posto nel pullman della squadra. Joe Amalfitano, coach dei Dodgers, ha su Leo un ricordo particolare: "Nel finale della stagione del 1954 Leo si convinse che quando eravamo in vantaggio al nono era buona cosa andare fino alla fontana dell'acqua, alla parte opposta del dugout, e bere a ogni out. Poi pensò che la cosa avrebbe avuto maggior vigore se anche i suoi coaches avessero esguito lo stesso rituale... così tutti e cinque i componenti dello staff tecnico, dopo ogni eliminazione, si incolonnavano e in parata andavano a bere alla fontanella!". I battitori solitamente sono più superstiziosi dei lanciatori. Vediamo insieme qualche esempio "classico": Wade Boggs: Il campione in battuta dell'American League nel 1983 è stato soprannominato " l'uomo pollo n° 1" quasi a confermare la passione di molti giocatori di baseball per questo piatto. Pare, infatti, che la moglie di Wade sia capace di cucinare il pollo in 50 maniere diverse pur di soddisfare le richieste del marito di avere sempre in tavola questo cibo "portafortuna". Ma lo slugger dei Red Sox ha anche altre manie: si porta nel box le lettere dei tifosi perchè "lo aiutano", poi ha una grande passione per i numeri 7 e 17 e ha chiesto per quest'anno un ingaggio di 717000 dollari! Vic Davalillo: soprannominato "l'uomo pollo n° 2" per lo stesso motivo di Boggs. Quando giocava nella Mexican League pare ogni tanto facesse un blitz in qualche pollaio per procurarsi il suo piatto preferito. Rafael Batista: chiamato "l'uomo pollo n° 3" oppure "gallo", non poteva soffrire il pop corn ed inoltre aveva altre idiosincrasie molto marcate. Una volta in una partita tiratissima, con le basi cariche, il lanciatore avversario sul conto di 3 a 2 si rese conto che la sua palla veloce non era più all'altezza della situazione, così scese dal monte e a mezza strada tra la pedana ed il box tracciò una croce per terra con il piede. Batista, come ipnotizzato, fissò la croce, e senza nemmeno alzare la mazza rimase clamorosamente al piatto! Billy Wiliams: uno dei più grandi talenti ala battuta della storia del baseball, aveva un suo particolare esercizio per aguzzare vista e riflessi, si chiamava "colpisci lo sputo": quando arrivava nel box, infatti, sputava e poi con stile perfetto girava la mazza colpendo la saliva prima che toccasse il piatto. Spok Jacobs: si portava la mazza negli spogliatoi e la spalmava con un unguento misterioso. Richiesto il motivo del suo "massaggio" spiegava che trattando bene il bastone "lui" avrebbe lavorato meglio... Mike Hargrove: prima base dei Cleveland, è il caso più preoccupante di rituale al box di battuta. Prima di ogni lancio esce dal box, soppesa la mazza, tocca il pollice sinistro con la mano destra, si tira una manica, poi l'altra, calza meglio il guantino destro, poi quello sinistro...non per nulla è stato soprannominato "Mister allungapartite". Rico Carty: l'ex pugile centroamericano diventato slugger degli Indians, era solito giocare sempre con il portafoglio in tasca anche se questa abitudine, come insinua Tom Lasorda, è dovuta più che altro al fatto che nei Caraibi è meglio tenersi ben stretto il portafoglio, sempre, se si vogliono evitare brutte sorprese. Secondo i battitori sono i lanciatori ad essere maggiormente superstiziosi: Joacquin Andujar: pitcher dei Cardinals, recentemente ha fatto la doccia con tutta la divisa per "lavar via tutte le cose negative", mentre abitualmente segue un rituale fisso con un batboy che gli porge un pezzo di legno per pulire gli spikes, naturalmente anche se sono pulitissimi. Bobo Newsom: il pitcher playboy, non sopportava che sul mound ci fossero pezzi di carta, anche se piccolissimi. Prima di ogni inning ispezionava con cura tutta la collinetta per cercare i famigerati "nemici". Naturalmente qualche buon tempone avversario si preoccupava di riempirsi le tasche con gran quantità di coriandoli da seminare durante i cambi di campo. Joe Niekro: all'inizio di ogni partita in cui lancia, allinea nel dugout nove sigarette per fumarne una alla fine di ogni innng. Nell'83 è riuscito a fumarle tutte solo 9 volte in 38 gare. Lee Smith: non si scalda mai usando tutti i lanci a sua disposizione, li tiene buoni per la partita.... Luis Tiant: aveva tutta una serie di amuleti ed una vera maestria nel fumare il sigaro sotto la doccia. Mike Guellar: lanciatore degli Orioles, prima di uscire dal dugout aspettava che tutti i compagni fossero in posizione, inoltre voleva che la palla "lo aspettasse" proprio sulla pedana, guai se qualcuno gliela tirava! Ken Kravec: ogni volta che aveva una palla nuova doveva farla rimbalzare tre volte prima di usarla e quando si toglieva il giubbotto anzichè aprire un gancio per volta lo strappava letteralmente di dosso, proprio come Clark Kent quando diventava Superman. Mark Fidrych: parlava con la palla e quando uno lo batteva duramente pretendeva che la stessa venisse cambiata perchè oramai era "sfortunata". Questo solo per fare qualche esempio, perchè in materia si potrebbe scrivere un'intera enciclopedia. "Lo so - spiega Tom Lasorda - potremmo sembrare infantili o maniaci ma non è così. Giochiamo in campionati lunghi e stressanti, dobbiamo raggiungere il massimo della concentrazione e questi "riti" sono una specie di "training autogeno" che ci aiuta ad entrare nella condizione mentale, soprattutto psicologica, per affrontare un impegno che è sempre difficile. E come chi non riesce a studiare se non fuma una sigaretta, si tratta di combinazioni automatiche che di per sè sono senza senso, ma se mancano rompono lo "stato di grazia". da Tutto Baseball Softball del 1984 Se pensiamo ai giorni nostri, il primo che mi viene in mente è Nomar Garciaparra che dopo ogni lancio si aggiusta i guantini con una sequenza maniacale ..... ma quanti altri pro compiono movimenti ripetitivi .... provate d'ora in poi ad osservare i gesti e i comportamenti dei vostri giocatori, vi accorgerete che quasi tutti hanno il loro rituale scaramantico .... Il baseball è bello anche per questo! GLI INSULTI NEL BASEBALL Gli insulti sono una vecchia tradizione del baseball, come lo squeeze play e la birra fredda: I tifosi se la prendono con i giocatori, i giocatori attaccano i manager (e vice versa), i proprietari sbraitano contro la loro squadra, i giornalisti sparano a zero su tutti e tutti si arrabbiano con gli arbitri. Del resto in una buona partita di baseball ognuno colpisce ... ed è colpito. Così abbiamo attinto dall'inesauribile vena del giornalismo americano per riportare alcune delle dichiarazioni (e degli insulti) più feroci sparati dai protagonisti del Vecchio Gioco. Un pò per scherzo e molto sul serio scopriamo uno scorcio inedito del baseball professionistico, dove la vita è difficile anche fuori del campo. Essere superstar non è sufficiente, anzi!. Spesso sono proprio loro nel mirino: "Se una persona non odia Reggie Jackson, chi mai potrà odiare?", scrive il giornalista Mike Royko, mentre il manager Billy Martin sul bomber è più tecnico: "Non è vero che sia un cattivo esterno, ha solo molti problemi nel giudicare la traiettoria della pallina e nel raccoglierla col guanto...". Come si conviene abbiamo iniziato con Jackson, un "classico" della dialetica del baseball: Vediamo ora altre invettive celebri: "Ha la personalità di un camion" - John Stearns su Dave Kingman, suo compagno nei Mets. "Immaginatevi cosa guadagnerebbe se sapesse battere la palla fuori dal campo!" - Bob Murcer sul compagno negli Yankees Dave Winfield. "Ora vi spiego quant'è furbo Pete Rose: quando c'è stato il black out a New York è stato fermo 13 ore sulla scala mobile!" - Joe Nuxhall, radiocronista, su Pete Rose. "Quando era a scuola la professoressa di storia gli chiese di scrivere i nomi dei novi americani più importanti, ma Pete riusciva a trovarne solo otto: Quando l'insegnante gli chiese il perchè lui rispose: non mi viene in mente nessun terza base!" - Joe Nuxhall sempre su Pete Rose. "Reagisce alla palla con la velocità di un ippopotamo anestetizzato" - Lowell Cohn, giornalista, sul gioco in difesa dell'esterno Jack Clark dei Giants. "Dave Parker è così impopolare a Pittsburgh che se si presentasse come unico candidato alla carica di sindaco riuscirebbe a farsi battere!" - Charley Feeney, giornalista, su Dave Parker. "Dave Parker è così ingrassato che deve fare la doccia in un autolavaggio" - Bill Conlin, giornalista di Sporting News. "Steve Garvey è l'unico giocatore che quando un coro intona l'Ave Maria è capace di sussurrare alla sua ragazza: senti cara stanno suonando la nostra canzone" - Dal Los Angeles Times su Steve Garvey. "Mandare sul monte uno dei miei rilievi è come gettare una tanica di kerosene sul fuoco" - Il manager Billy Martin sui rilievi A's. "E' stupido, stupido, stupido, stupido: ecco perchè non sarà mai un buon pitcher!" - Billy Martin sul suo lanciatore Bob Owchinco. "Gaylord Perry è molto onesto, usa la palla sputata solo quando ne ha bisogno!" - Gabe Paul, presidente degli Indians. "Ora ha ventun anni, ma ne avrà 35 quando riuscirà a finire la partita" - Lou Simmons, radiocronista, sul lanciatore Britt Burns. "Per cronometrare il suo lancio non c'è bisogno del radar, basta un orologio da polso!" - Ernie Johnson, radiocronista, sul pitcher Frank Tanana. "Sta lavorando su un nuovo lancio, si chiama strike" - Jimmy Piersall, radiocronista, sul pitcher Jim Kern. "Non lancerò mai per gli Yankees, rappresentano tutto ciò che c'è di più brutto in America!" - Il lanciatore Bill Lee. "Non devo preoccuparmi quando gioco contro gli Yankees. Con Martin manager ci pensano loro a perdere!" - Sempre il lanciatore Bill Lee. "Bruce Benedict è così lento che in una corsa con una donna incinta arriverebbe terzo" - Tom Lasorda, manager dei Dodgers. "Se è vero che si impara dai propri errori, allora Jim Frey dovrebbe essere il miglior manager al mondo" - L'arbitro Ron Luciano sul manager Jim Frey. "L'operazione al cuore di Charlie O. Finley è durata otto ore. Ce ne sono volute sette e mezzo solo per trovarlo!" - Il lanciatore Steve McCatty sul propietario degli A's. Continuiamo con la nostra carrellata di "insulti" celebri. Una moda, o se preferite un vezzo, che al di là dell'invettiva vera e propria scopre un gusto particolare per la battuta. Un humor graffiante ma che, almeno in campo o sugli spalti, non degenera mai nè in violenza nè, tantomeno, in atti sconsiderati. Una lezione, questa, che tutto il nostro sport dovrebbe imparare. Alcune delle frasi che riportiamo, dette su uno dei nostri campi, scritte su un giornale o "sparate" in diretta per radio o TV scatenerebbero reazioni inconsulte, soprattutto da parte dei tifosi. Negli States si liquida tutto con un sorriso e si cerca di ribattere con i fatti sul campo, l'unica cosa che ha valore nello sport. "Non sto sottovalutando Dallas Green, sto solo dicendo che ha ceduto il suo miglior lanciatore in cambio di un sacco di spazzatura!" - Il manager Whitey Herzog sul general manager dei Cubs. "Howard Cosell è capace di parlare per due ore su qualsiasi argomento e per quattro se ne sa qualcosa" - Jim Cannon, giornalista, sul telecronista Howard Cosell. "Howard racconta bene la partita, peccato che non sia la stessa che uno vede nei teleschermi!" - Gene Autry, proprietario degli Angels. "Qualche volta sento Cosell commetare in TV una partita di baseball mi piacerebbe che lui fosse un albero e io ... un cane" - Casius Clay (Muhammad Alì), campione del mondo dei massimi. "Domani è un nuovo giorno. Se lavoriamo duro possiamo raggiungere la mediocrità!" - Toby Harrah, interno degli Indians, sulla sua squadra. "L'esterno sinistro è una posizione da idioti: Va bene per ricevitori o prima base, gente che non sa giocare in difesa. Ho visto anche dei lanciatori giocare all'esterno sinistro..." - Lee Mazzilli, esterno centro dei Pirates. "Negli alberghi ci sono le cameriere, nelle squadre i coaches" - Jose Martinez, coach. "Non voglio essere nel loro futuro. E', già stato abbastanza frustrante stare nel loro presente!" - Roger Eickson, lanciatore, al momento del suo ritiro dopo esser stato trasferito nelle leghe minori degli Yankees. "I tifosi amano i fuoricampo ed il nostro pitching staff fa di tutto per accontentarli!" - Clark Griffith, dirigente dei Twins. "L'uso del DH ha una sola utilità: toglie al manager ogni responsabilità deve solo compilare l'ordine di battuta e controllare che tutti siano in orario per prendere l'aereo.." - Bill Lee, lanciatore. "Sono stufo dell'incompetenza! Non m'importa l'incompetenza di chi agisce onestamente, ma non sopporto l'incompetenza del disonesto!" - Billy Martin parlando dell'arbitro Vic Voltaggio. "Quell'uomo dietro il piatto di casa è vestito come un prete... e a quanto pare arbitra anche come un prete" - Jimmy Piersall, nel corso di una radiocronaca. "Sapete ... tutti i giocatori sono stupidi, ma gli esterni sono i più stupidi di tutti!" - Charlie Dressen, manager. "Copre molto terreno: può andare a destra, a sinistra, indietro, riesce a fare errori dovunque!" - Un coach sull'interbase Bill Russell. "E' un battitore eccezionale per essere uno che non capisce nulla di battuta!" - Ted William su Lou Piniella. "Lou Piniella è la prova vivente di una vecchia massima: per battere non c'è bisogno di avere cervello!" - Un coach Yankee. "La sola differenza tra Candlestik Park (lo stadio dei Giants) e Sing Sing è che a Candlestik alla sera vi lasciano andare a casa!" - Jim Wodlford, giocatore dei Giants. "Se questo è uno stadio da baseball io sono un aviatore cinese!" - Billy Martin dopo aver visto per la prima volta lo stadio di Minneapolis. "La sola differenza tra gli Indians e il Titanic è che sul Titanic, almeno, c'erano dei buoni ristoranti!" - Barney Nagler, giornalista. "A Cleveland, non appena scoprono che uno ha talento, cercano subito di scambiarlo con tre giocatori che non ce l'hanno!" - Jim Kern, lanciatore ex Indians. Arbitri e manager, manco a farlo apposta, sono i bersagli più comuni delle "invettive" del baseball. Il bello è che umpires e skippers amano spararsi "battute" soprattutto vicendevolmente. UMPIRES & MANAGERS
"Charlie Foc combina arroganza e stupidità in una misura raramente riscontrabile in un manager!" - Glenn Dickey, giornalista. "Kick è assolutamente imparziale, fa errori con tutti!" - Un giornalista di Montreal sul manager Kick Williams. "E' una disgrazia per il baseball" - L'arbitro Rich Garcia sul manager Earl Weaver. "Odio Earl Weaver con passione. L'ho incontrato la prima volta nel mio secondo anno di attività e l'ho cacciato subito fuori dal campo. Tre sere più tardi l'ho buttato fuori di nuovo. Da quel giorno la nostra relazione si è deteriorata sempre di più. E' un maledetto nano!. Una volta gli ho detto di togliere quel suo maledetto naso dal mio ginocchio... " - L'arbitro Ron Luciano sul manager Earl Weaver. "Secondo me la Lega dovrebbe obbligare gli arbitri a farsi visitare. Luciano non è nemmeno capace di stare in piedi. Noi quando i giocatori non sono all'altezza prendiamo provvedimenti, perchè gli arbitri non fanno lo stesso?" - Earl Weaver su Ron Luciano "A me non interessa chi vince il campionato, basta che non sia Baltimora" - L'arbitro Ron Luciano sulla squadra di Earl Weaver. "Mi dispiace, ma Luciano è mentalmente malato e non può arbitrare le nostre partite" - Earl Weaver su Ron Luciano. "Se volete un grassone con una boccaccia smisurata, ecco... avete trovato Ron Luciano" - Earl Weaver su ... "Voi sapete quant'è alto Earl.. allora potete capire il suo carattere... Come si può sentire uno che nel corso della sua vita non è mai riuscito a vedere al di là di chi gli sta di fronte!" - Ron Luciano su ... "La sua chiamata di out sembra quella di uno spastico che fa l'autostop su una freeway a Los angeles" - Earl Weaver su ... "E' come un giovane disadattato . Se lo lasciate solo in qualunque posto riuscirà a mettersi nei pasticci" - Earl Weaver sull'arbitro Steve Palermo. "Avete mai notato che Earl sale sul punto più alto del monte quando viene a parlare con un lanciatore?" - Jim Palmer, lanciatore degli Orioles. "Non gli ho mai visto fare nulla di buono. Anzi, no, mi correggo, una volta mentre è balzato fuori dal dugout per protestare è scivolato finendo a terra lungo disteso. Quella è stata la miglior cosa che ha fatto in campo da quando lo conosco!" - L'arbitro Larry Barnett su Earl Weaver. da Tutto Baseball Softball del 1984 Arbitri e manager; arbitri e giocatori: una battaglia senza fine fatta di punzecchiature, di frecciate ironiche molte delle quali coinvolgono la vista dell'arbitro.
Alcuni esempi? Eccoli: L'arbitro Charlie Moran, in un arrivo chiuso a casa base, chiamò out un corridore dei Cubs di Chicago. Tutta la squadra si precipitò fuori del dugout, con il manager Charlie Grimm in testa circondando l'arbitro protestando. Grimm con ampi e plateali gesti delle braccia, zittì i suoi, poi, appoggiando una mano sulla testa dell'arbitro e accarezzandogli i capelli esclamò: "Il primo che si azzarda a toccare questo povero vecchio cieco verrà multato di 50 $". Fresco Thompson dei Brooklin Dodgers, mentre l'arbitro gli ondeggiava sotto il naso il regolamento per farlo tacere esplose: "Ma come pensi che io possa leggerlo? Se è tuo deve essere scritto in braille". Per evitare provocazioni, Harry Johnson, arbitro della Southern Association, teneva in tasca un certificato redatto da un oculista e certificato da un notaio che attestava che la sua vista era 10/10 in entrambi gli occhi. Verità non leggenda. Gli arbitri sanno perfettamente che possono nascere discussioni su alcune loro chiamate ma di sicuro non si aspettano proteste da un lanciatore contro una chiamata di strike. E invece, a riprova che tutto può succedere nel baseball, ciò accadde intorno alla metà degli anni '30, protagonista Jim Walkrup, pitcher dei St. Louis Browns. Roger Hornsby, manager di quel team, aveva minacciato i propri lanciatori di multarli di 50 $ (una bella sommetta per quei tempi) se avessero lanciato uno strike sul conto di 0 ball e 2 strike. Hornsby infatti era fervente fautore della teoria di baseball per la quale un lanciatore saggio "spreca" un lancio sul conto 0-2 allo scopo di costringere il battitore sotto pressione a girare a vuoto la mazza. Quel giorno, sullo 0-2, il terzo lancio di Walkrup sfiorò l'angolo esterno del piatto. "Strike Out" gridò l'arbitro e scatenò le ire del lanciatore. A lungo, ma invano, Walkrup tentò di convincere l'arbitro che il suo lancio era in ball e di ribaltare la sua decisione. Il battitore fu eliminato al piatto e il pitcher dovette pagare 50 $. Nel 1900, durante un incontro della N.L. fra Baltimora e Washington, scese improvvisa la sera ma l'arbitro Jack Kerns, nonostante le reiterate proteste del lanciatore degli Orioles John Clarkson, non intendeva affatto sospendere la partita. Wilbert Robinson, catcher di Baltimora, chiese allora tempo per recarsi sul monte a parlottare con il suo lanciatore. Senza farsi vedere consegnò a Clarkson un limone perchè lo lanciasse al battitore al successivo lancio. Clarkson nascose la palla nella tasca posteriore della divisa e scagliò con tutta forza il limone a casa base. "Strike one" urlò l'arbitro. Robinson chiese ancora tempo, si voltò verso l'arbitro e, aprendogli il guanto sotto gli occhi, gli scodellò il limone. "Quando non si è in grado di distinguere una palla da baseball da un limone è ora di smettere" gli sussurrò ironicamente. L'arbitro, con grande imbarazzo, dovette capitolare. Anche gli arbitri, comunque, hanno la lingua lunga... Billy Evans stava arbitrando un incontro in cui per i Senators stava lanciando Al Schacht. Dopo un paio di inning, Evans chiese al lanciatore: "Hai già lanciato la veloce?". "Certo, una decina di volte!" rispose piccato Schacht. "Ah, bene" rispose Evans togliendosi maschera e pettorina "credo proprio che questa roba non mi serva". Elston Howard, ricevitore degli Yankees, ebbe occasione di lamentarsi con l'arbitro per un lancio chiamato ball, il quarto, che concedeva la base gratis a Hemon Killebrew il quale, quella sera, aveva già ottenuto nel box un homer, un triplo e due doppi. "Gliela hai voluto proprio regalare la base questa volta" urlò Howard all'arbitro. La risposta fu telegrafica. "Bè, forse sì, ma dovresti ringraziarmi: l'ho fermato in prima base". "Gli arbitri non sbagliano mai"- lo conferma anche questo episodio raccontato da Tom Gorman, uno dei più grandi umpire del baseball pro: "Stavo arbitrando i Phillies e, dall'inizio della partita, qualche furbacchione, dall'interno del dugout, continuava ad urlarmi le solite piacevolezze del tipo: Perchè non fai un buco nella maschera così vedi fuori!". Il colpevole, mi sembrava, era Hoak. Normalmente un arbitro non deve far caso a queste cose, ma quello continuava e sempre più forte al punto che, sugli spalti, sembrava si divertissero di più a queste battute che alla partita. Era proprio il momento di smetterla, così indicando il dugout sentenziai: "Va bene Hoak, ora sei fuori!". Immediatamente il manager, Gene Mauch, balzò fuori: "Tom cosa diavolo dici? Perchè te la prendi con i miei ragazzi? Eppure stavi arbitrando una buona partita, non male per te. Hai sbagliato solo 7 o 8 lanci...". "Senti Gene, non scherzare con me e manda quell'asino fuori dal dugout!". "Ma chi?". "Hoak!". "Lasciami dire una cosa, Tom, Hoak non è nel dugout, è nel bullpen". "Gesù!" guardo nel bullpen a fondo campo , e vedo il maledetto che sorride. "E allora?" fa Mauch sorridendo sotto il baffo. "Non cambia niente, mandalo fuori! Mi ha insultato...". Di fronte a questa mia risolutezza , Mauch, anche se parecchio incavolato capisce che è meglio troncare e se ne va, mentre Hoak, sbalorditissimo, si avvia alle docce. Il giorno dopo, prima della partita, Hoak mi si avvicina e, un pò impacciato mi fa: "Tom, spiegami un pò come diavolo hai fatto a sentire che ti stavo prendendo in giro con i ragazzi nel bullpen?". Insomma, non discutete con gli arbitri, tanto ... ti fregano sempre. Specie le vecchie volpi pro, anche quando riuscite a prenderle in castagna ti fanno fesso. Una volta su una scivolata in seconda, in un gran turbinio di polvere, l'arbitro Ron Luciano commette l'errore più grave per un direttore e, anticipando la chiamata, urla "Out!". Il corridore, Joe Torre, ora manager, si alza e inizia a protestare: "Non sono out! Accidenti! Non sono out!". "Vai, vai, sei fuori!" insiste Luciano. "Non sono out!". L'arbitro, allora, fa il democratico e propone una domanda assassina: "Perchè?". Torre si apre in un sorriso in cinemascope e sbotta: "Perchè ho io la palla!" e così dicendo sfila da sotto la coscia il corpo del reato "E ora come la metti?". Errore! Mai mettere alle strette un arbitro. Luciano non si scompose e ribatte: "Sei out per interferenza!". "Maledizione! Non è vero! E' stata una scivolata pulita, la palla l'ho trovata qui per caso...". E così facendo tiene ben alta la palla in modo che tutto lo stadio la possa vedere. Secondo voi, a questo punto, l'arbitro poteva ammettere di aver sbagliato? Così Luciano guarda il corridore nel profondo degli occhi e fa: "Sei out, Joe, perchè ti sei toccato da solo con la palla..." Torre rimane come un baccalà, non riesce ad inquadrare bene la faccenda, automaticamente si volta e se ne va mugugnando verso il dugout. Una volta Gene Mauch, il Napoleone del baseball, ormai esasperato dalle decisioni a casa base di Bill Deegan, ben sapendo che contestare le chiamate di ball e strikes comporta l'automatica espulsione chiese tempo, andò a casa base e sbottò: "OK, lo so, me ne vado, ma non posso resistere più a lungo a vedere questo schifo!" “Un arbitro non espelle un giocatore o un manager, essi si espellono da soli. Essi sanno esattamente cosa possono dire e a chi lo possono dire. Quindi quando qualcuno viene buttato fuori, o ha completamente perso il controllo o intendeva essere cacciato”. - Eric Gregg, arbitro. Esistono mille modi per guadagnarsi una doccia anticipata, ma in genere si tratta sempre di contestazioni troppo animate su una chiamata controversa, o scelte improprie di vocaboli nei confronti degli uomini in blu. Nella storia della Major League Baseball ci sono però innumerevoli espulsioni caratterizzate da almeno un tocco di originalità. C’è chi ha ricevuto il “pollice” per essersi finto morto, chi perché uscito dal dugout con un ombrello, chi è stato espulso due volte in un incontro, chi prima che la partita iniziasse, chi per averlo espressamente richiesto; è successo di vedere giocatori cacciati dopo essere stati chiamati salvi, o dopo aver ricevuto una base intenzionale e persino mentre stavano pregando. Il manager Earl Weaver, ottimo timoniere degli Orioles negli anni ’70, dedica un capitolo del suo “Weaver on Strategy” agli arbitri. Inizia così: “Sono stato espulso da incontri a Fitzgerald, Georgia e Boston, Massachussets. Sono stato cacciato da una partita di esibizione a Fort Myers, Florida, da una gara di Instructional League a Scottsdale, Arizona, e da un incontro di World Series a New York. Sono persino stato cacciato una volta quando gli Orioles giocarono un match di esibizione in Giappone”. Seguono tabelle con espulsioni suddivise per stagione (in tutta la carriera saranno 99!) e per arbitro. Il suo nemico peggiore, che lo ha fatto accomodare fuori per ben 7 volte, è stato Ron Luciano: “Il fatto che io sia arrivato nelle Majors così presto dopo di lui fu qualcosa come il cane che si mangia la tua torta di compleanno prima che tu abbia spento le candeline”. In una delle sue 4 uscite del ’72, Weaver si avvicinò all’arbitro per contestare una chiamata riguardante una regola raramente utilizzata. “Conosco le regole bene quanto voi. Ho un libro nella clubhouse per provarlo”, sbottò alludendo evidentemente al regolamento. “Ho il libro qui con me ora. Te lo mostro” replicò l’arbitro; il commento finale, che costò a Weaver il resto della partita, fu: “Non va bene, perché io non so leggere il Braille!”. Se la messa in dubbio della vista arbitrale non vi pare una causa di espulsione degna di menzione, vi interesserà sapere di come Frank Frisch e Danny McFayden siano usciti per avere fatto questioni sull’udito dei direttori di gara. Il primo, manager dei Cardinals, uscì dal dugout per disputare una decisione ed esordì con “Tu, brutto testone…”. “Come mi hai chiamato?”, domandò l’arbitro evidentemente alterato; le ultime parole di Frisch, per quell’incontro furono: “Allora non solo sei cieco, sei anche sordo!”. McFayden, invece, lanciando per i Pirates nel 1940, riuscì nell’impresa di farsi mandare fuori per due volte nello stesso incontro,ad opera di “The Old Arbitrator”, al secolo Bill Klem. Andò così. Sul conto pieno Klem dichiarò ball un lancio che, secondo McFayden, aveva dipinto il filo esterno; il pitcher, adirato, si levò gli occhiali e li porse all’altro, gridando a squarciagola: “Ecco, prendili! Ti servono più che a me!”; e qui Klem sanzionò l’espulsione una prima volta. A cercare di salvare la situazione, uscì dal dugout il manager di Pittsburgh, che altri non era se non Frank Frisch. “Bill, ti prego dammi una mano. Sono in una situazione difficile, non ho lanciatori; Danny stava scherzando, lascialo in partita, era solo eccitato. Non puoi mandarlo fuori solo perché si è tolto gli occhiali. Guarda, li sta pulendo. E’ per quello che se li è tolti. Per favore Bill, abbi cuore!”. “Non è la gag degli occhiali; me la faceva John McGraw 30 anni fa […] è come si è comportato nei miei confronti. Ha urlato così forte che chiunque sugli spalti lo ha sentito. […] Avrebbe potuto causare una rivolta tra il pubblico”. McFayden, da lontano, rese vano il tentativo del suo manager di salvarlo, e si riguadagnò l’espulsione proferendo: “Non ho urlato per incitare la folla. L’unica ragione per cui ho parlato così forte è perché temevo che le tue orecchie fossero messe male quanto i tuoi occhi!”. Già che abbiamo chiamato in causa la coppia Frisch-Klem, ci sono altri simpatici duelli da ricordare. Klem era solito tracciare una linea col piede durante i conciliaboli, avvertendo chi protestava a “non attraversare il Rio Grande”, pena ovviamente l’espulsione ; Frisch che conosceva la scena, durante una contestazione, gira 90° attorno all’arbitro, che provvede a tracciare un nuovo confine; così per tre volte, finchè Klem si trova all’interno del quadrato da lui stesso disegnato. “Guarda cosa hai fatto; Hey, uomo saggio, come farai a uscire di lì?”. “Non lo scoprirai mai, perché tu te ne vai fuori di qui!”. Un’altra volta, nel bel mezzo di un’accesa discussione, Frisch si accascia al suolo privo di sensi e subito accorrono i giocatori e si cerca di reperire un medico; ma Klem, osservato bene il “malato”, dichiara: “Frisch, vivo o morto, sei espulso!”. Frank Frisch fu cacciato anche da Jocko Conlan al quale cercò di far capire che l’incontro doveva essere sospeso uscendo dal dugout con un ombrello. Klem, dal canto suo, a un battitore che per rabbia scagliò la mazza in aria, comunicò: “Giovanotto, se quella mazza torna giù sei espulso!”. Questo giocatore, di cui la storia non ci ha tramandato l’identità, non riuscì a sfuggire alle leggi della fisica, venendo condannato, in particolare, dalla forza di gravità. Ray Murray, invece si accomodò nelle docce, per aver invocato una forza superiore. Tra il catcher degli Orioles (correva il ’54) e l’arbitro Ed Hurley non correva da tempo buon sangue; all’ennesima chiamata non condivisa, Murray, tolte maschera e pettorina, si inginocchiò sul piatto e, con le braccia aperte e rivolte al cielo (era un cristiano-evangelista praticante), invocò l’intervento divino: “O Signore, aiuta questo povero F.d.P. Io ho due occhi buoni. Dai a lui uno dei miei!”. Il manager Jimmy Dikes, accorso nel vano tentativo di salvare la situazione, all’ordine dell’arbitro di togliere dal campo il giocatore, si levò il cappello sussurrando: “No signore, non finchè l’uomo sta pregando!”. Se un uomo di fede può essere espulso, non può salvarsi un gentlemen come Tony Gwynn, specie se è lui stesso a chiedere la cacciata. Avvenne il 17 aprile 1988: l’esterno di San Diego non gradì uno strike chiamato ai suoi danni e, al termine delle proteste, sentenziò: “Non è uno strike e, se la cosa non ti piace, puoi buttarmi fuori dalla partita!”. L’arbitro Joe West, che in seguito dichiarò di non aver mai ricevuto una simile richiesta da un giocatore, invitò Gwynn a lasciare il campo. Anche Mark Belanger è sempre stato considerato un giocatore di buone maniere, così i giornalisti vollero sapere i sentimenti di Ron Luciano, l’arbitro che ne decretò l’unica espulsione in carriera: “E’ stato come cacciare Bambi dalla foresta!”. Se Gwynn ha richiesto la propria espulsione, trent’anni prima Granny Hamner fu mandato negli spogliatoi in seguito ad una discussione insorta dopo che il giocatore era stato dichiarato salvo. In un arrivo stretto in prima, Joe Torre fu costretto a staccare il piede dalla base e tentare l’out per toccata; Hamner, passando sul cuscino, gridò: “No! No!, intendendo che questa non era avvenuta. L’arbitro di prima, Ken Burkhart, concordò con il corridore ma, alludendo a precedenti diverbi con i suoi colleghi da parte dell’interbase dei Phillies, aggiunse: “Ci penso io a fare l’arbitro. Infatti tu hai arbitrato fin troppo!”. La discussione si accese gradualmente finchè Burkhart avvertì: “Un’altra parola e sei fuori!”; Hamner, sarcasticamente, rispose: “Un’altra parola”, e abbandonò il campo. Anche Francona (il manager che ha cancellato The Curse) fu cacciato da un incontro su una discussione insorta per screzi precedenti: la sua espulsione, per mano di Ken Kaiser avvenne mentre Terry riceveva una base intenzionale. Il manager di Milwaukee Andy Etchebarren, udite le parole del suo giocatore, corse in campo per cercare di calmarlo. “Attento, attento. Non vorrai essere mandato fuori!”. “Ma mi ha già mandato fuori!”. “Oh, beh, in tal caso vai avanti e finisci quello che gli stavi urlando!”. In un resoconto di sfide con gli arbitri non potrebbe mancare Casey Stengel, che da giocatore doveva essere scortato fuori dal campo dalla polizia e da manager andava a visitare i lanciatori munito di torcia elettrica al fine di sollecitare una sospensione per oscurità. Nel 1940, quando guidava i Boston Braves, si trovò di fronte Klem che, stanco delle prolungate lamentele del loquace manager, estrasse di tasca un orologio, avvisando che aveva trenta secondi di tempo per tornarsene nel dugout. Stengel non tornò nel dugout quel giorno, perché non poté trattenersi dal dire: “Hey Bill, sei pazzo a mostrare quell’orologio davanti a questa folla. Il suo proprietario potrebbe riconoscerlo!”. Anche Yogi Berra ha trovato modo di uscire anticipatamente da un incontro, senza perdere occasione di proferire una delle sue ingarbugliatissime massime. Al Crosley Field di Cincinnati la recinzione consisteva di cemento alla base e di legno sopra la linea gialla di fuoricampo. Una battuta di Swoboda aveva colpito la parte in legno per un apparente grand slam, ma gli arbitri decretarono la palla in gioco. Yogi, coach dei Mets, su tutte le furie sbottò con la seguente perla: “Chiunque non sia in grado di distinguere il suono di una palla che rimbalza sul cemento o sul legno è cieco!”. Avviso a chi di voi gioca (a baseball, ma anche ad altri sport): se proprio dovete farvi buttare fuori, cercate di essere originali!. |
LA PRIMA VOLTA CHE ....
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LO
SAPEVATE? |
tratto da L'Espresso del 19 luglio 2007 |
Tu pensavi onestamente che avremmo fatto questo gratis? Ora pagaci gli ipods!
L'ha tenuta su!!
Fenwick tu batterai per quarto, Moose vai a sederti in panchina. I Wankerville di Iguana sconfitti 97 a 0 - A causa della discutibile decisione del manager.
E il Signore diede a Mosè una palla dicendo: "tu non girare la mazza sul conteggio di 3-0" Simendinger! Torna nella tua posizione e smettila di tormentare i fans!
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