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Con questa pagina apro una nuova finestra per gli appassionati del gioco e per coloro che, mossi dalla curiosità, si avventureranno nel mio sito. L'intenzione è di raccogliere tutti quei romanzi, non tecnici, che parlino di baseball o dove il baseball sia un po' il motivo conduttore, una specie di metronomo, delle storie raccontate. L'idea ha preso corpo grazie anche all'uscita da parte della Minimun Fax della nuova edizione rivista e corretta - soprattutto nella traduzione e nella terminologia - de "IL MIGLIORE" che consiglio caldamente di leggere, come del resto tutti quei libri che troverete raccolti qui. IL MIGLIORE
di Bernard Malamud Casa editrice MINIMUM FAX Prezzo : € 10.50 Recensioni di Luigi Sampietro Il Sole 24 Ore - 2 aprile 2006 La pallina s'impenna. Scompare per un attimo in un tratto all'ombra e attraversa il cielo come una nave dei sogni fino alla tribuna opposta. Non tornerà più in campo e sarà custodita come una reliquia da uno spettatore fortunato. Farà forse felice un bambino. Questo è il baseball nei suoi momenti migliori, e per il baseball si può delirare. Bisogna però essere americani, cresciuti in America, perché il tifo è sì una malattia che può durare tutta la vita come il ricordo del primo amore, ma diventa cronico solo se lo si contrae da piccoli. Se il contagio ha luogo in età adulta, si risolve perlopiù in una passioncella occasionale e passeggera. In Europa e Sudamerica è noto come morbus pedatorius p malattia del pallone; negli Stati Uniti colpisce gli spettatori del football e, appunto, anche se in maniera più subdola e misteriosa, gli appassionati di baseball. In occasione del ventesimo anniversario della morte di Bernard Malamud (1914-1986) la casa editrice Minimum Fax ha acquistato i diritti di alcune sue opere. E' in uscita Il migliore (The Natural, 1952) con prefazione di Philp Roth e nella traduzione di Mario Biondi già apparsa da Mondadori (1984) e ora completamente rivista. Seguiranno Gli inquilini (The Tenants, 1971) con prefazione di Alexander Hemon; la raccolta di racconti Il barile magico (The Magic Barrel, 1958) con prefazione di Jhumpa Lahiri; e Una nuova vita (A New Life, 1961) con prefazione di Jonathan Lethem. The Natural, da cui fu tratto un film con Robert Redford e Glenn Close (1984), è l'unico libro di Malamud di argomento non ebraico. Romanzo d'esordio, racconta la storia di un giocatore di baseball, Roy Hobbs, costruito intrecciando vari fili e filoni, temi e allusioni, in una sorta di riscrittura della leggenda del Santo Graal. o, meglio, dei miti e dei riti di fecondità e rinascita che fanno da sfondo alla Waste Land di T.S. Eliot, impastati con fatti di cronaca e leggende metropolitane del piccolo grande mondo dello sport agonistico. The Natural è un'allegoria, un'incursione dell'epica arturiana nel quotidiano e una riflessione sulla figura dell'eroe. E' anche un libro a tratti comico. Ma non è cinico, non è satirico e non è distruttivo. Perché questa non è la cifra del talento di Malamud. Anche se - bisogna dire - il protagonista, che è appunto un "natural", un fenomeno che sa fare spontaneamente cose che gli altri possono solo imparare con fatica, se visto da un'altra angolatura risulta essere un sempliciotto di campagna (un "natural" nel senso medievale del termine) come peraltro la leggenda vuole che fosse anche Parsifal. Ma il gioco non finisce qui. Roy Hobbs ha letteralmente il nome in capo. Perché in quanto Roy (roi, in francese) diventa il Re Pescatore di cui parla Jessie Weston nel libro From Ritual to Romance (1929) che Eliot cita nelle proprie note; e in quanto Hobbs (hob, "zotico" nel teatro elisabettiano) è lo stupidotto che gli scaltri e i disonesti di città prendono di mira. L'argomento - il baseball - è un po' esotico ma non si spaventi il lettore. Non corre alcun rischio di perdersi. Per godersi questo romanzo tutto quello che è necessario sapere è che vincere è meglio (ma sì!); che il giocatore che lancia appartiene alla stessa squadra di quello che riceve accosciato con il guantone e la maschera di ferro; e che loro avversario è il giocatore che ruota la mazza per intercettare la pallina e spedirla il più lontano possibile. Ce ne sono altri in campo, che vanno e vengono, e qualche volta corrono di gran carriera attorno al perimetro a forma di diamante, ma le partite durano di solito così a lungo che c'è tutto il tempo, se si è allo stadio, di informarsi sulle regole. Ne l romanzo ci pensa lui, Malamud, a tenerci svegli e farsi capire. Roy Hobbs è un fenomeno dello sport ma il suo inizio è tardivo. Esordisce a 33 anni quando ormai è considerato troppo vecchio. La sua è in realtà una ripartenza perché a 19 anni, quando stava per sostenere un provino con i Chicago Cubs (i Cuccioli) era stato preso a pistolettate da una donna, Harriet Bird, simbolo, come ho letto, della forza distruttiva di non so quale archetipo femminile. Roy, seppure ferito, non muore. Ci mette anni a recuperare e alla fine si presenta sul campo con una mazza magica (l'equivalente della spada Excalibur nella leggenda arturiana) con la quale porta la squadra dei New York Knights (i Cavalieri) al successo. La mazza si chiama Wonderboy e fa miracoli in senso figurato e sportivo. Nelle mani dell'eroe, il grande batter negli annali del baseball, propizia il ritorno alla vita, attraverso la vittoria sopra forze che - sul piano mitico - sarebbero quelle della sterilità - della distruzione e del caos - nella terra desolata e riarsa; e che, sul terreno di gioco, hanno un correlativo oggettivo giallastro nell'erba che cresce. Wonderboy, la mazza nata da un ramo staccato dalla folgore e plasmato dallo stesso Roy, è - fin che dura - un simbolo di fecondità e successo. Un ovvio simbolo fallico. Ma poiché la natura è ciclica e tutto ciò che nasce poi muore, al Vecchio eroe corrotto dagli scommettitori subentra alla fine un Giovane eroe. E come Roy aveva a sua volta spodestato Whammer Wambold (come si sente dal nome che era uno che picchiava forte!), il nuovo arrivato, che si chiama Youngberry, prende il suo posto. Resta solo da aggiungere che, a metà tra cielo e terra e tra incantesimo e realtà quotidiana, c'è una storia d'amore e ci sono varie donne, tutte in qualche modo minacciose, che rendono difficile la vita del campione; c'è un bambino ricoverato in ospedale che gli chiede di essere salvato - fatto realmente accaduto ai tempi del mitico (anche lui!) Babe Ruth, negli anni Venti - e c'è un allenatore malato che comincia a guarire nel momento in cui la pioggia si abbatte sul campo. Più un'altra dozzina di episodi e avventure che il lettore potrà scoprire da sé, e con sicuro profitto, addentrandosi nella foresta di simboli e allusioni che Malamud ha fatto crescere attorno allo stadio. La carriera di Malamud - scrittore che, come il suo campione, esordì piuttosto tardi - prese, dopo questo primo romanzo, una strada diversa, come racconta anche la figlia, Janna Malamud Smith, in una recentissima biografia, My Father Is a Book (Houghton Mifflin, New York 2006). Una strada che lo portò a far parte, insieme a Saul Bellow e a Philip Roth, di quello che lo stesso Bellow chiamava "il triumvirato ebraico delle lettere americane", e che, tanto nei romanzi quanto nei racconti, ha fatto sì che Malamud consegnasse alla storia una galleria di personaggi che incarnano la figura eterna dell'homo patiens. L'uomo che soffre e che attraverso la sofferenza acquista una libertà dello spirito che gli permette di staccarsi da sé e di condividere il dolore altrui, foss'anche quello di una sola persona al mondo. di Gian Paolo Serino Torna in libreria uno dei più grandi romanzi americani del dopoguerra, un "classico perenne": Il migliore di Bernard Malamud. Roy Hobbs è potenzialmente un eroe: ha un talento innato per il baseball e potrebbe diventare il più grande giocatore del momento. Ma il suo primo tentativo di entrare a far parte di una squadra della major league fallisce miseramente, a causa di una ragazza fuori di testa. Roy riesce a coronare il suo sogno di gloria soltanto quando ormai è avanti con gli anni, a un'età in cui molti giocatori sono vicini al ritiro: avrà pochissimo tempo per dimostrare a se stesso e all'America intera di essere, davvero, il migliore. Uno straordinario romanzo d'esordio, pubblicato per la prima volta nel 1952, dal quale è stato tratto il film omonimo con Robert Redford. Il Grande Romanzo Americano
di Philip Roth Casa editrice: Editori Riuniti Recensioni di Marco Landi Un capolavoro di uno dei maggiori autori americani contemporanei Philip
Roth, Il Grande Romanzo Americano, Editori Riuniti, Roma, 1982. La bambina che amava Tom Gordon
di Stephen King Casa editrice: Sperling & Kupfer Prezzo € 16 Recensioni da Wikipedia - L’enciclopedia Libera La storia inizia con una gita di famiglia durante la quale il fratello e la mamma di Trisha discutono animatamente del suo divorzio, così come di altri argomenti. Trisha si allontana per non dover sentire la discussione e non riesce a ritrovarli dopo essere entrata nel bosco per bisogni fisici. Inizia a camminare nella direzione che crede giusta, ma fa una curva sbagliata e si perde, continuando ad addentrarsi nel cuore della foresta. Si ritrova con poca acqua, alcune brioche ed il suo walkman per poter sopravvivere. Ascolta di continuo la radio per tenere alto l'umore, per ascoltare notizie sulla sua ricerca o per seguire le partite di baseball del suo giocatore preferito, Tom Gordon. Mentre inizia la lotta per la sopravvivenza risparmiando il poco cibo che ha, raccogliendo bacche e così via, la madre ed il fratello tornano alla macchina senza di lei e chiamano la polizia per iniziare le ricerche. Naturalmente, cercano vicino al sentiero, ma ormai lei si è allontanata. La ragazza decide di seguire un torrente, immaginando che tutti i fiumi portano a qualche abitazione. Mentre i poliziotti interrompono la ricerca per la notte, si sdraia sotto un albero per riposare. Alla fine, una combinazione di paura, fame e sete le causano allucinazioni. Si immagina molte delle persone che conosce, incluso il suo eroe Tom Gordon, apparire dal nulla. King non specifica se i segni di un mostro notati sugli alberi siano anch'essi frutto delle allucinazioni. Bisogna notare che si trova nello stesso bosco descritto in Pet Sematary, alcuni addirittura ipotizzano che i segni visti da Trisha siano stati lasciati da Wendigo, uno spirito pellerossa che abita nelle foreste del Maine, lo stesso incontrato dal dottore quando venne a seppellire il figlio nel cimitero Micmac. Ore e giorni passano, mentre Trisha vaga nel bosco. Alla fine inizia a credere che viene accompagnata per un confronto con il Dio degli Sperduti, un mostro demoniaco con faccia di vespa, che la sta cacciando. Il viaggio diventa un test sulle capacità di una bambina di mantenere la salute mentale mentre vede avvicinarsi la morte. Raggiunge una strada, ma appena trova segni di civiltà, si trova ad affrontare un orso, che in quel momento viene riconosciuto come Dio degli Sperduti. Tenta di sconfiggerlo lanciandogli il walkman, e viene salvata da un cacciatore. "La bambina che amava Tom Gordon" esplora la teologia in tre forme: il Dio degli Sperduti, l'Onnipotente ed il Dio Tom Gordon. Il Dio degli Sperduti segue Trisha sotto forma di un grosso e violento orso con vespe al posto degli occhi. Appare anche con le altre due forme come uomo vestito con un mantello nero ed una faccia formata da vespe. L'Onnipotente viene menzionato all'inizio ed appare a Trisha con le sembianze del padre. Viene descritto come una forza che influenza gli eventi con il favore delle persone; ad esempio una bomba nucleare non è più stata usata dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il Dio Tom Gordon è un riferimento alla sua abitudine di indicare il cielo prima di una battuta. Così come l'immagine di Gordon che appare a Trisha, Dio non appare prima del nono inning. Le esperienze di Trisha possono anche essere fatte risalire alla "ricerca della visione", una pratica dei nativi americani che rappresentava il passaggio all'età adulta. Il vecchio e il mare
di Ernest Hemingway Casa editrice: Mondadori - Oscar classici moderni Trad. Fernanda Pivano Prezzo € 7.40 Recensioni Il vecchio e il mare fu (appropriatamente) pubblicato per la prima volta da Life nel 1952. Vinse il premio Pulitzer nel 1953 e aiutò Hemingway a vincere il Premio Nobel nel 1954 (i giudici parlarono della sua « maestria nel formare lo stile dell'arte della narrazione moderna»). È un libro scritto nella prosa pseudo-biblica che Pearl Buck usò in La buona terra, uno stile che sembra possedere un fascino maligno per persone di media cultura - anche Miss Buck ci ha ricavato un Premio Nobel. Ci sono soltanto due personaggi che non vengono individualizzati in quanto vorrebbero assurgere a significato universale. In effetti non vengono neppure chiamati per nome, sono semplicemente « il vecchio» e « il ragazzo » - penso sia stato un errore aver identificato il pesce in un marlin, se è vero che di solito lo si designa come « il grande pesce». Il dialogo è nello stesso tempo caratteristico (democrazia) e solenne (letteratura). «Dormi bene, vecchio» dice il ragazzo; oppure, alternativamente, «Svegliati, vecchio». È anche molto poetico, come quando parla il Ragazzo: («Ricordo la coda che sbatteva e rintronava [...] e il frastuono che facevi mentre lo prendevi a mazzate come quando si abbatte un albero e l'odore dolce del sangue che avevo addosso». (Anche il Vecchio resta colpito da questa cadenza. « Te lo ricordi davvero, o è perché te l'ho raccontato? » domanda.) Nei famosi dialoghi sul baseball abbiamo una fusione di Letteratura e Democrazia: «Il grande
DiMaggio ha ritrovato se stesso.» E questo da parte dell'uomo che in pratica inventò il dialogo realista. È deprimente mettere a confronto questa Storia con L'invitto, una storia di toreri che Hemingway scrisse negli Anni Venti quando, come direbbe lui, si stava vittoriosamente battendo con loro. Hanno entrambe lo stesso tema: un uomo del passato, oggetto di scherno e commiserazione, di fronte alla sua ultima chance: perde (il pesce viene mangiato dagli squali, il torero è trafitto dalla cornata del toro) ma la sua sconfitta è una vittoria morale, perché ha dimostrato che la sua volontà e il suo coraggio sono ancora intatti. Il contrasto inizia nei passi d'apertura: Manuel Garcia
salì le scale fino all'ufficio di Don Miguel Retana. Posò
in terra la valigia e bussò alla porta. Nessuno rispose. Manuel,
in piedi Era un vecchio che pescava da solo su una barca a vela nella Corrente del Golfo ed erano ottantaquattro giorni ormai che non prendeva un pesce. Nei primi quaranta giorni lo aveva accompagnato un ragazzo, ma dopo quaranta giorni passati senza che prendesse neanche un pesce, i genitori del ragazzo gli avevano detto che il vecchio era decisamente e definitivamente salao che è la peggior forma di sfortuna, e il ragazzo li aveva ubbiditi andando in un'altra barca che prese tre bei pesci nella prima settimana. Era triste per il ragazzo veder arrivare ogni giorno il vecchio con la barca vuota e scendeva sempre ad aiutarlo a trasportare o le lenze addugliate o la gaffa e la fiocina e la vela serrata all'albero. La vela era rattoppata con sacchi da farina e quand'era serrata pareva la bandiera di una sconfitta perenne. Il contrasto continua disciplinato - affaristico understatement opposto
al ronzio del pastiche della parabola, verboso e sentimentale («
la bandiera di una sconfitta perenne », quasi per darci di gomito
e spingerci a simpatizzare). E tutti quegli « e ». di Dwight Macdonald Un anno terribile di John Fante Casa editrice: Fazi Prezzo: € 7.75 Recensioni Lo stordimento,
la freschezza, il dolore, la pietà, la forza, lo stupore, la follia,
la comicità, l'incanto, l'esagerazione, la tristezza, il desiderio,
la vergogna, la sfrontatezza, l'amore, la paura, l'ossessione e la devozione
della sua scrittura: ormoni , una straordinaria carica ormonale. Ecco
il segreto della sua eterna giovinezza di romanziere; della giovinezza
Fante è riuscito ad individuare il fungo magico, metabolizzandolo
nella scrittura, ha saputo pilotare gli ormaoni nelle parole. Dalla prefazione di Sandro Veronesi. l'inizio... Era duro, l'inverno del l933. Quella sera, arrancando verso casa attraverso
fiamme di gelo, con le dita dei piedi che mi bruciavano, le orecchie che
andavano a fuoco, e la neve che mi turbinava intorno come un nugolo di
suore furibonde, mi fermai di colpo. Era giunto il momento di tirare le
somme. Con la pioggia o col sereno c'erano delle forze al mondo che cercavano
di distruggermi. Dominic Molise, mi dissi, aspetta un attimo. Sta andando
tutto secondo i tuoi piani? Esamina attentamente la tua condizione, considera
obiettivamente il tuo stato. Che succede, Dom? *** frammenti... Era giorno di paga alla fabbrica di ceramica, e l'Onyx era affollatissimo
di clienti, stavano in due file davanti al bar e in quattro o cinque a
ogni tavolo. Il pavimento era viscido e bagnato dalla neve pesticciata
e dalla birra rovesciata, la musica country del juke box era assordante
e tutti urlavano per sopraffarla. Riley, il barista, mi vide entrare e
grido: - Non c'è, Don -, che non era il mio nome. Passai a fatica
fra il bancone e i tavoli per andare alla sala da biliardo sul retro.
Ma era silenziosissima, i biliardi erano deserti, c'era solo un gruppo
di uomini ai due tavoli da poker in fondo. Mio padre non c'era. Mi avvicinai
alla rastrelliera. Alle volte il mio vecchio andava fuori città
a giocare e si portava dietro la stecca. Invece era lì, chiusa,
con il suo nome impresso a fuoco sul manico. Lasciai la sala e ripassai
attraverso la calca al bar, quando la mano di una donna mi arpionò
la manica della giacca da uno dei tavoli. Era una mano grassottella e
annerita dalla nicotina con due anelli d'oro alle dita. Era Rita Calabrese.
Era sola al tavolo e sorseggiava del vino dolce. Quando parlava se ne
sentiva l'odore. Underworld di Don Delillo Casa editrice : Einaudi Prezzo : € 13,50 Recensioni Il 3 ottobre 1951 al Polo Grounds di New York si gioca una leggendaria partita di baseball tra i Giants e i Dodgers. Della palla, con cui viene battuto l'altrettanto leggendario fuoricampo che assicura la vittoria del pennant della National League ai Giants, si impadronisce un ragazzino nero di Harlem Cotter, Martin. La ritroveremo cinquant'anni dopo in possesso di Nick Shay Costanza, un dirigente dell'industria dello smaltimento dei rifiuti che nel 1951 era a sua volta ragazzino un passo più in là, nel Bronx. Nel romanzo di De Lillo i passaggi di mano della mitica palla servono da pretesto per la costruzione di un gigantesco quadro dell'America dalla guerra fredda fino alla crisi di Cuba e al crollo dell'Unione Sovietica. di Thomson, G. L'Indice del 1999, n. 04 Underworld, il nuovo romanzo di
Don DeLillo che esce in Italia nella splendida traduzione di Delfina Vezzoli,
inizia con una magistrale descrizione di una partita di baseball, un vero
tour de force della messa in scena iperrealista che è sicuramente
tra le "sequenze" più belle della letteratura americana
di questo secolo. La partita in questione è quella, storica, giocata
al Polo Grounds di New York nel 1951 tra le due squadre della città,
i Giants e i Brooklyn Dodgers, vinta miracolosamente dai Giants grazie
a un fuoricampo di Bobby Thomson, il cosiddetto "colpo che ha fatto
il giro del mondo". Quasi simultaneamente il direttore dell’Fbi
J. Edgar Hoover, presente allo stadio, riceve la notizia che i russi hanno
fatto esplodere una bomba atomica. L’inizio della guerra fredda
coincide con la fine della partita, due eventi collegati da un caso che
diventa destino e che innesca, in un certo senso, il meccanismo della
trama. Una stagione di fede assoluta
di Riccardo D'Anna Casa editrice : Pequod Prezzo: € 14.00 Recensioni "Il confine fra un errore e una battuta valida è spesso
sottilissimo - lo si impara compilando lo score". Lo score è
un sistema di segni e simboli talmente preciso che permette di vedere
una partita di baseball pur non avendola vista. Riccardo D'Anna scrive
questo romanzo come compilando lo score della sua vita. Va alla ricerca
delle "battute valide", i momenti felici, gli ideali e le certezze
sopravvissute agli anni. E attraverso una scrittura finissima, una prosa
pura e necessaria come poesia, traccia il confine che separa quelle "battute
valide" dagli errori; gli strike mancati, le mancate prese al volo,
cadere prima di raggiungere casa-base. I rimpianti. Il dolore. Gli addii.
L'inning dell'infanzia, i buffi tentativi di diventare un Supereroe dei
fumetti, la magia che ogni cosa sembrava possedere, sono seguiti dall'irrequieto
dell'adolescenza, pieno di colpi di scena, di sfrenate passioni, dominato
dalla sicurezza che ci siano delle risposte e un destino soltanto da scoprire.
Questo spietato mettere nero su bianco non risparmia nemmeno quella stagione
di fede assoluta, l'ultimo e fatidico inning che vede il sogno trasformarsi
in realtà: il bambino che costruiva col cartone rudimentali guantoni,
il ragazzino che si allenava contro il muro con palline da tennis sgonfie,
diventa il lanciatore della squadra che vince il campionato. Bianco su
nero compare anche la consapevolezza che non ci sarà un'altra stagione
come quella, che quelle straordinarie trasferte in treno non torneranno
più, che l'entusiasmo degli spogliatoi si spegnerà in nostalgia,
che quei volti scompariranno, si invecchieranno, che tutto verrà
dimenticato. Il sogno, uscito indenne dal trascorrere del tempo, aveva
radici lontane, al di là dell'oceano, in una terra misteriosa e
molte volte fantasticata: l'America. Patria di grandi giocatori, Lou Gehrig,
il leggendario prima base degli Yankees, Babe Ruth, Joe di Maggio, ma
anche di grande cinema, Robert Redford ne Il Migliore, Gary Cooper ne
L'idolo delle folle. E, soprattutto, l'America della grande letteratura:
Salinger, Fitzgerald, Capote, Fante... Fragili stagioni di Michael Bishop Casa editrice : Fanucci Recensioni Romanzo davvero strano, questo di Bishop, in cui, in pratica, racconta, molto dettagliatamente, della carriera di un giocatore di baseball durante la seconda guerra mondiale, che avrebbe potuto arrivare alle serie maggiori, ma che un terribile incidente rende infermo.Detta così potrebbe sembrare che non sia affatto un romanzo di fantascienza, ma, nonostante, in effetti, il libro racconti proprio di ciò, Bishop vi racconta anche un'altra storia, quella, nientedimeno, di...Frankenstein...: "...uno scienziato il cui nome era diventato sinonimo per...bè, per l'amore di Hollywood per film d'orrore piuttosto a buon mercato." (pag.211), iniziando da dove finiva il romanzo della Mary Shelley.Il compagno di stanza del protagonista (che narra in prima persona), è un tipo grosso, molto forte, un pò strano...e, sì, si rivela essere proprio il mostro di Frankenstein, giunto fin là avendo attraversato infinite traversie, che ci vengono, brevemente, narrate attraverso i suoi diari, che il protagonista, divenuto suo amico, ha, unico, il permesso di leggere.Ma il romanzo potrebbe benissimo reggersi anche senza di questo, e l'elemento fantastico si inserisce solamente dopo ben 172 pagine: "Oh Dio, ma cosa stava accadendo a Jumbo?I suoi occhi divennero argentei, poi color rame, poi dorati.E poi color ambra, come quelli di un gatto spaventato.Il suo corpo sussultò, sussultò di nuovo, poi cominciò a contorcersi senza che i piedi si spostassero di un solo centimetro.Era come se fosse in preda alle convulsioni dalle ginocchia in su. Le sue braccia si irrigidirono e ricaddero, per irrigidirsi ancora una volta, come quelle di un condannato alla sedia elettrica...".Alcuni passi, mi hanno fatto pensare che questa sia un'opera un pò polemica, nei confronti dei soliti detrattori della Sf, una specie di dimostrazione del fatto di saper scrivere anche un buon romanzo mainstream, ma, al contempo, valorizzandolo, e valorizzando l'intero genere, trattando di uno dei suoi capolavori indiscussi.Dopo quel brano, brevi accenni ci fanno presagire la vera identità di Jumbo/Frankenstein; "Gli occhi gialli di Jumbo parvero penetrargli nel cranio, lasciando le orbite spaventosamente vuote....Se soltanto avessero avuto l'aria di essere i suoi, la loro ricomparsa mi avrebbe confortato.Ma non sembravano esserlo..." (pag.175-6); e,quando i due amici vanno a vedere, guardacaso, "Frankenstein", "La moglie di Frankenstein" e "Il figlio di Frankenstein", Danny, il protagonista/narratore, si accorge di qualcosa: "...avreste dovuto essere ciechi per non notare una somiglianza: la testa quadrata, i corpi massicci." (pag.182); fino a che questi non scopre, fra gli oggetti di quello strano amico, delle lettere altrettanto strane: "...era datata "11 dicembre 1798." (pag.204).Ma, quelle lettere, non sono niente al confronto del diario, in cui, assolutamente indubitabilmente, il suo amico descrive delle sue gesta incredibili...di più di un secolo addietro!!E capisce che: "...era davvero un mostro, il figlio adottivo, creato in laboratorio, di uno scienziato..." (pag.211).E lui glielo conferma: "...il mio burlesco tentativo quotidiano di impersonare un essere umano...io sono l'orco le cui origini ricevono un trattamento così ingiusto e perfino insultate nel primo film di Karloff." (pag.213), citando espressamente il romanzo della Shelley, che dice essere quell'epistolario, di Robert Wilson, romanzato: "...Mrs. Shelley, per quanto avesse apportato alla storia alcuni cambiamenti, che contribuirono a rendere più chiaro il suo svolgimento, non l'aveva ideata e neppure scritta." (pag.225); "...ristampato (la 2° edizione) tredici anni dopo con un'introduzione in cui reclamava la paternità dell'opera." (pag.270).Questo Jumbo è un'ottimo giocatore, ma anche un intellettuale che divora decine di libri in pochi giorni.Senza starvi a dire altro sulla trama, c'è senz'altro da notare che, basato com'è sul baseball, non tralascia, purtroppo, la descrizione di molte partite, cosa che, per la maggior parte di noi, credo, risulta completamente incomprensibile.La narrazione, poi, è molto lenta, attenta ai particolari, proprio come se Bishop avesse voluto ricalcare gli stilemi del romanzo mainstream, qui, di più, del romanzo sportivo, con tutto il solito contorno di storie d'amore, di agonismo, di odi e faide più o meno meschine.Vi si fà anche molta attenzione ai risvolti psicoanalitici; infatti, il protagonista/narratore ha una menomazione fisica che gli deriva da un episodio particolarmente traumatico dell'infanzia, causatogli dal padre, il tipico ubriacone violento.Forse avrebbe potuto, se un pò più breve, essere più digeribile, ma anche così non risulta una lettura eccessivamente pesante.Da ricordare, per finire, che con quest'opera Bishop ha conseguito il Premio Locus '95 per il miglior romanzo fantastico. Altri contributi critici: "In libreria", di Franco Forte, "Urania" n.1282, ed.Mondadori, '96, pag.153 da "Intercom" n.148/149, '99 Il gioco di Henry
di Robert Coover Casa Editrice: Fanucci - Collezione immaginario Prezzo: € 14,40 Henry Waugh è
un impiegato contabile di 56 anni, single, moderatamente insoddisfatto
del suo lavoro, con un problematico rapporto con il suo capo, i colleghi
e, più in generale, con il mondo che circonda la sua vita, fatta
del solito bar, delle solite compagnie e delle solite giornate tutte uguali. Innocente di John Grisham Casa Editrice: Mondadori Prezzo: € 18,60 In sintesi Ron Williamson lascia il natio Oklahoma nel 1971, poco più di un ragazzo, inseguendo il sogno di diventare un campione di baseball. Dopo sei anni nel campionato minore un incidente mette fine alle sue speranze di gloria. Torna a casa, cerca un lavoro stabile, ma un crescente disagio psichico ne farà presto un malato di mente. Qualche anno dopo, la tranquilla cittadina di Ron è scossa da un terribile evento: la giovane Debbie Carter viene stuprata e uccisa in circostanze poco chiare che vedono Williamson tra i principali sospetti. Comincia per Ron un'odissea che lo vedrà dapprima incriminato del delitto e poi condannato a morte. Dodici anni nel braccio della morte in cui continua a dichiararsi innocente. Ma quando mancano ormai cinque giorni all'esecuzione, l'estrema speranza di salvezza è rappresentata da un esame del DNA che non arriva mai. Il caso di Ron Williamson ha ossessionato John Grisham per anni, da quando il maestro del legal thriller ha letto incidentalmente la sua vicenda su un giornale locale, decidendo di raccontare per la prima volta un fatto realmente accaduto. Il risultato è una storia pervasa da una forte tensione morale che arriva a mettere in discussione il sistema legale americano. Descrizione A volte la realtà supera la fantasia e una storia vera può sembrare persino inventata, come accade per quest’ultimo libro di John Grisham. Il mago del legal thriller non si smentisce e ci regala un romanzo pieno di tensione, colpi di scena, suspense finale, un romanzo che ha tutti gli ingredienti del giallo perfetto ma che in realtà è una storia vera. Tutto ha inizio quando Grisham legge per caso su un giornale locale l’incredibile vicenda di Ron Williamson, un fatto umano e giudiziario che l’ossessiona per anni e che infine decide di raccontare in un libro. Promettente giocatore di baseball, nel 1971 Ron lascia la piccola città in cui è nato, Ada nell’Oklahoma, per trasferirsi a Oakland, in California, come prima scelta della squadra professionistica locale. Sei anni dopo, i suoi sogni si infrangono per colpa di un infortunio al braccio. Rifugiatosi nell’alcol e nelle droghe, tornerà a casa da sconfitto, incapace di mantenere un lavoro o un qualsiasi rapporto stabile e mostrando progressivi segni di squilibrio mentale. Quando la polizia si convince che è lui l’assassino di Debbie Carter, brutalmente uccisa nel 1982, Williamson non ha modo di difendersi. Non ha denaro per pagarsi un avvocato decente, i suoi concittadini lo guardano con sospetto e la malattia mentale lo rende inabile ad affrontare un processo. Nonostante gridi la propria innocenza, Williamson verrà travolto da una spirale giudiziaria che lo porterà nel braccio della morte e a un passo dall’esecuzione. Con la precisione del legale e l’empatia del grande scrittore, Grisham ricostruisce passo dopo passo l’odissea dell’imputato: racconta le indagini degli inquirenti, non proprio limpide e impeccabili, le azioni degli avvocati dell’accusa, le iniziative della difesa, il susseguirsi dei testimoni che deposero pro e contro Williamson. Con dovizia di particolari ci conduce dentro le aule dei tribunali, nel cuore del dibattimento giudiziario, regalandoci non solo una lettura appassionante come un romanzo e pervasa di forte tensione morale, ma anche un’occasione di riflessione sulla situazione della giurisprudenza americana, che da buon avvocato penalista ben conosce e di cui non esita ad evidenziare le carenze e i lati oscuri. La mitzvah segreta di Lucio Burke
di Steven Hayward Casa Editrice: Instar Libri (I Dirigibili n. 16) Prezzo: Euro 16,00 Da qui in poi l’avventura di Lucio e Ruthie avrebbe potuto seguire i binari consueti su cui si muovono queste vicende. Un primo bacio, un secondo bacio, poi la solita storia. E ci è mancato poco che andasse proprio così. Se la settimana successiva Dubie Diamone non si fosse tranciato l’indice della mano destra, forse tutto sarebbe finito con un bel “vissero per sempre felici e contenti. La mitzvah segreta di Lucio Burke: nelle tre parole del titolo è già racchiuso il nocciolo di questo romanzo dello scrittore canadese Steven Hayward. Perché “mitzvah” è una parola ebraica che significa “buona azione”, Lucio è chiaramente un nome italiano e Burke è un cognome irlandese: sono ebrei, italiani e irlandesi i protagonisti della storia ambientata a Toronto negli anni Trenta. Immigrati dal Vecchio Mondo in cerca di fortuna o per sfuggire a persecuzioni religiose o alla fame, ebrei, italiani e irlandesi formano delle comunità legate dal disprezzo di chi li circonda ed è nativo del posto - vengono chiamati kikes, wops, mangiapatate -, forniscono mano d’opera sottopagata, mantengono stili di vita, abitudini e tradizioni dei paesi che hanno lasciato. E così nel soggiorno della casa di Lucio troneggia una statua di S. Bonorio, venerato dalla nonna che crede ciecamente nei suoi miracoli, gli italiani mangiano pasta condita con aglio e olio, mentre Asher Diamond paga Lucio perché sia il suo “shabbes goy”, il ragazzo “gentile” che adempie tutti i piccoli compiti che gli ebrei hanno la proibizione di fare il sabato, come accendere la luce o preparare un caffè. C’è una cosa che questi immigrati hanno accettato del nuovo paese: il gioco del baseball. Ed è il baseball che serve da filo conduttore e da collante per le piccole vicende del romanzo, ad iniziare dalla straordinaria quanto casuale battuta di Lucio Burke (figlio di madre italiana e padre irlandese) che colpisce l’uccello che si era impadronito degli occhiali di Bloomberg, il ragazzo che aveva lanciato la sfida. Mentre nascono le più fantastiche dicerie sull’uccello abbattuto da Lucio, questi diventa all’improvviso un eroe, ricercato dalla bella Ruthie, rossa di capelli e di fede politica, amata anche dall’amico, l’ebreo Dubie Diamond. Per un certo verso La mitzvah segreta di Lucio Burke è un romanzo di formazione, la storia di un’amicizia tra tre ragazzi che - in uno di quei racconti che diventano leggenda dopo essere stati ripetuti centinaia di volte - sono nati, a distanza di poche ore, sullo stesso tavolo da cucina, sotto gli occhi curiosi della piccola Ruthie e di sua sorella, e che poi insieme scoprono l’amore e le pene dell’amore. Ma è anche l’affresco storico di un decennio di fermenti: volano gli insulti antisemiti, sventola sullo stadio la bandiera con una svastica gigantesca, l’ultima grande partita termina in uno scontro violento anticipatore di guerra, ronzano le macchine da cucire su cui si piegano le docili ragazze che la battagliera Ruthie invita a scioperare, Mussolini paga il viaggio di ritorno agli italiani che vogliono partecipare alla manifestazione fascista, la parola “comunismo” fa paura, si parla di Sacco e Vanzetti… C’è anche un epilogo del romanzo, un’occhiata sul futuro che aspetta i protagonisti: Ruthie morirà di tubercolosi, di Lucio resta una foto scattata il D-Day, Dubie Diamond è il nonno dello scrittore stesso: abbiamo letto una storia vera, insaporita dalla fantasia. Di Marilia Picone Prologo Questa è una storia vera. Me l'ha raccontata mia nonna, e immagino che per lei fosse una specie di storia d'amore, la storia del primo incontro con mio nonno un pomeriggio d'agosto dopo una partita di base-ball. Era il 1933 e la partita si giocava a Toronto. Pochi secondi dopo l'ultimo lancio un gruppo di ragazzi mescolato tra gli spettatori aveva srotolato un’enorme bandiera con la svastica. Ne erano seguiti dei disordini, e nel bel mezzo dei disordini si erano conosciuti i miei nonni. Tutte le volte che mi raccontava di quel giorno, o meglio di quei giorni, mia nonna sembrava convinta che non ci fosse modo di spiegarmi. Com'era la vita allora, per questo inseriva nella sua narrazione una gran quantità di materiale estraneo: date da tempo dimenticate, storie di cucitrici, nomi e descrizioni fisiche di gente morta. E non c’è dubbio, a volte si sbagliava. Tra le cose su cui si sbagliava c’era il nome di una delle squadre di baseball. — Non giocavano i Lizzies — le dissi una volta. — I
St Peter’s sì, ma i Lizzies no, non c'erano. C'era la squadra
dell'Harbord Street Playground. Nella maggior parte dei casi non ho cambiato una virgola; questa è la sua storia, e io la racconto come la raccontava lei, con tutto quello che si è inventata o immaginata. Prima di leggerla, però, dovete sapere che molte cose sono vere.È vero che per un breve periodo, nell'estate del 1933, si videro per le strade di Toronto giovani che sfoggiavano il simbolo della svastica. È vero che esisteva un circolo, chiamato Swastika Club, che si produsse in azioni pubbliche e ben pubblicizzate di violenza antisemita. È vero, infine, che durante una partita di baseball al campo di Christie Pits scoppiarono dei disordini che si estesero a tutta la città. Però nulla dimostra che a quell'evento abbiano presenziato mia nonna, Lucio Burke o mio nonno, che pure ha giurato e spergiurato fino alla morte che lui c'era, in qualità di allenatore di una squadra di baseball che, per quanto mi è dato sapere, quel giorno a Christie Pits non giocò. Forse, allora, sono proprio io il primo a non credere a questa stona. Ma vi dirò questo: finché non me ne ha parlato mia nonna, io non sapevo niente di quel giorno a Christie Pits. Sembrava impossibile che una vicenda del genere fosse successa a Toronto. Ero convinto che i nazisti, come i miracoli, esistessero solo altrove. Così credo di avere chiuso il cerchio. Se alla fine ho deciso che il racconto di mia nonna non è credibile, devo confessare che lo scetticismo mi accompagnava già dal’inizio, perché non pensavo che una cosa come i disordini di Christie Pits potesse accadere, potesse mai essere accaduta, nella mia placida, immancabilmente educata Toronto.
La formula del professore
di Yoko Ogawa Casa Editrice: IL SAGGIATORE Prezzo: Euro 15,00 «Credevo che i numeri fossero
stati inventati dagli uomini.» Con La formula del professore Yoko Ogawa, considerata
la più importante scrittrice giapponese contemporanea, aggiunge
un altro tassello al suo mosaico di personaggi che si muovono in un mondo
di sentimenti labirintico e complesso in cui la mente umana diventa un
meraviglioso ma anche frequentemente indecifrabile enigma, comunque da
indagare e da descrivere. di Silvana Ferrari
Shoeless Joe
di Kinsella William Patrick Casa Editrice: 66th and 2nd Prezzo: Euro 15,00 Ray ha una fattoria in Iowa, dove vive con la moglie Annie e la figlia Karin. Una sera sente una voce che gli dice: "Se lo costruisci, lui verrà". Ray capisce di essere chiamato a costruire un campo di baseball tra le piante di granturco per far tornare a giocare "lui", Shoeless Joe Jackson, il campione coinvolto nello scandalo dei Black Sox del 1919. Un altro messaggio misterioso condurrà Ray a intraprendere un viaggio verso l'East Coast per strappare il grande scrittore J.D. Salinger al suo isolamento volontario. Con Salinger, Ray continuerà la sua avventura, sospesa tra passato e presente, tra magia e realtà, per tornare infine a casa, al suo campo dei sogni. Durante il viaggio, Ray non lascerà indietro nessuno, neanche il lettore che, seguendo il ritmo dolce ma incalzante della storia, scoprirà se Shoeless Joe tornerà a giocare e Salinger a scrivere, se Ray riuscirà a salvare la fattoria e chi è quel giocatore che Ray attende di veder giocare nel suo campo. Con il baseball, autentico collante generazionale della cultura americana, come sottofondo, Shoeless Joe ci lancia una sfida: il campo dei sogni di Ray può diventare anche il nostro. L'AUTORE William Patrick Kinsella è nato nel 1935 a Edmonton, Canada. Ha trascorso l'infanzia in un'isolata fattoria del Nord e da giovane ha svolto i lavori più disparati: impiegato, assicuratore, ristoratore e tassista. Si è laureato in Arte solo nel 1974 e ha intrapreso la carriera universitaria. La sua prima opera è stata la raccolta di racconti Dance Me Outside (1977), seguita da numerosi romanzi. Buona parte della produzione letteraria di Kinsella è dedicata al baseball, la sua grande passione. È con il best seller Shoeless Joe (1982) che l'autore ha raggiunto il successo di critica e pubblico, amplificato dalla fortunata trasposizione cinematografica Field of Dreams con Kevin Costner (uscita in Italia con il titolo L'uomo dei sogni). Il romanzo ha venduto milioni di copie, ed è diventato un libro culto. Attualmente Kinsella vive a Yale, British Columbia, con la sua quarta moglie e collabora con alcuni giornali. Shoeless Joe viene pubblicato per la prima volta in una traduzione italiana. La partita perfetta
di Michael Shaara Casa Editrice: 66th and 2nd Prezzo: Euro 13,00 Il romanzo di Michael Shaara (nato da immigrati italiani), pubblicato postumo per volontà del figlio Jeff, racconta la storia del campione di baseball Billy Chapel che ha ispirato il film "Gioco d'amore" con Kevin Costner. Il libro racconta la storia del campione di baseball Billy Chapel che, a poche ore dall'inizio dell'ultima partita della stagione, scopre che la squadra in cui gioca da 17 anni ha deciso di venderlo e che la fidanzata ha scelto di sposare un altro uomo. In campo Billy rivive a ogni lancio i momenti decisivi della sua vita e prova a realizzare il sogno di ogni giocatore: lanciare la partita perfetta. Con una prosa immediata ed evocativa, in cinque agili capitoli e nel breve spazio di una notte e di un giorno, Michael Shaara alterna il flusso di pensieri a cui si abbandona Billy Chapel a dialoghi veloci e descrizioni in terza persona. Un testo che cattura i momenti cruciali della vita di Billy, quando il grande ma immaturo campione vuole e deve crescere per fare emergere l'uomo a tutto tondo: un personaggio indimenticabile nella narrativa sportiva. L'autore de "La partita perfetta", Michael Shaara, è nato nel 1928 nel New Jersey da immigrati italiani, e prima di dedicarsi alla scrittura lavorava come agente di polizia e si cimentava nella boxe. Comincia a scrivere racconti di fantascienza per diverse riviste, tra cui "The Saturday Evening Post", "Cosmopolitan" e "Redbook", e contemporaneamente insegnava inglese alla Florida State University. È il romanzo storico "The Killer Angels", incentrato sulla battaglia di Gettysburg della guerra di Secessione, a segnare la svolta nella sua carriera: uscito nel 1974 dopo anni di revisioni, gli vale nel 1975 il prestigioso premio Pulitzer. Colpito da infarto, Shaara muore nel 1988. La partita perfetta - dalla prosa che conferma il talento Pulitzer di Shaara - è stato pubblicato postumo per volontà del figlio Jeff, anche lui scrittore. «Mio padre aveva giocato come lanciatore ai tempi del college – scrive nella prefazione il figlio Jeff – ma l’ipotetica carriera era stata stroncata da un infortunio alla spalla. Questo non gli fece perdere il gusto di lanciarsi con il paracadute o di fare il pugile dilettante e soprattutto l’amore per il baseball».
È questa grande passione a fargli raccontare la storia di Billy Chapel, un campione d’altri tempi, in cui i giocatori erano fedeli alla maglia e i contratti si firmavano con una stretta di mano, senza procuratori e badando poco ai soldi. Da quando aveva vent’anni e per diciassette anni consecutivi ha lanciato per la stessa squadra. Un rapido declino l’ha relegata nella bassa classifica, ma lui non ha nessuna intenzione di trasferirsi e fare cassa altrove. Solo quando viene a sapere che la società ha intenzione di cederlo e vede finire la storia d’amore con «l’incantevole Carol», capisce che è arrivato il momento di rimettersi in gioco, di capire cosa vuole davvero, di diventare adulto. E lo fa a modo suo: lanciando la partita perfetta contro gli Yankees nella loro New York.
Sbaglierebbe, però, chi pensa che si tratti solo di un romanzo sportivo. C’è nella minuziosa cronaca dell’incontro – arricchita, per i non iniziati, da un vero e proprio “breviario del baseball”– tutta l’educazione sentimentale del protagonista. Mentre si concentra per eliminare un battitore dopo l’altro, ricorda i genitori scomparsi in un incidente e ripercorre la sua vita passo dopo passo: i primi lanci con il padre, l’amicizia con il vecchio proprietario della squadra, scomparso da poco, e la sua relazione con Carol.
«Era un vagabondo che amava il baseball e gli aeroplani e che non si era mai sposato, anche se la cosa che amava di più, dopo il suo sport e il volo, erano le belle donne». Il mio nome è Jackie Robinson di Scott Simon Casa Editrice: 66th and 2nd Prezzo: Euro 14,00 Nel 1945, mentre le truppe americane si apprestano a rientrare in patria, un coraggioso dirigente dei Brooklyn Dodgers, Branch Rickey, decide di ingaggiare il ventiseienne giocatore nero Jackie Robinson. Fino a quel momento il grande baseball delle Major Leagues era segregato: soltanto i bianchi vi potevano giocare. Ma nel campionato del 1947 Robinson infrange la barriera del colore e diventa il primo afroamericano a giocare nelle Major Leagues. Il mio nome è Jackie Robinson ripercorre le tappe di questa prima esaltante stagione di Robinson nei Dodgers. E' il racconto di una pagina di storia che ha illuminato le contraddizioni dell'America del secondo dopoguerra, oltre che il toccante affresco di una Brooklyn d'epoca. Ma è soprattutto il ritratto di un grande atleta che ha dovuto affrontare insulti, discriminazioni e minacce di morte solo per poter giocare a uno sport in cui eccelleva. E' per questo - l'attesa dell'integrazione sui campi da gioco - che la figura di Robinson ha trasceso la dimensione dello sport per trasformarsi in un'icona della cultura americana. Non a caso il presidente Barack Obama lo include tra i tredici grandi personaggi che con il loro esempio hanno cambiato il corso della storia: "Jackie Robinson ci ha mostrato come trasformare la paura in rispetto". Dal prologo de Il mio nome è Jackie Robinson Recensioni (The Washington Post Book World, Domenica 13 Ottobre 2002) "L'anno da rookie di Koufax era la stagione in cui Jackie Robinson dei Dodgers finalmente vinse le World Series. In un nuovo libro, Jackie Robinson and the Integration of Baseball, Scott Simon riesamina la storia di Robinson. Non vi è alcuna necessità di una nuova cronaca dell’arrivo di Robinson nel baseball delle Major League, ammette Simon verso la fine di questo volumetto. Sì, ma forse nessuno ha mai raccontato la storia così bene come fa in questo esteso saggio. Con un orecchio per la frase incisiva, Simon riprende il dramma del general manager dei Brooklyn Dodgers Branch Rickey alla ricerca del giocatore Afro-Americano per rompere la linea del colore. Nel suo primo incontro con Robinson, Rickey tuonò alla ex star di quattro sport a UCLA, dicendogli che tipo di uomo voleva per questo compito: "Sto cercando un giocatore di baseball con il coraggio di non reagire". "Ho un’altra guancia", Robinson rassicurò Rickey, e l'affare fu concluso. Due anni dopo, nel 1947, Robinson appare per la prima volta in Major League. Egli ha sopportato gli insulti, fischi, tiri alla testa, lanci brushback, spikes alti e colpi bassi e, infine, l'onere di provare a giocare a baseball, mentre era preoccupante che la storia potesse girare - o tornare indietro – per il fatto che lui potesse o meno colpire una curva. Robinson dimostrò di poter colpire una curva e ogni altra cosa un lanciatore avesse voluto lanciargli, aiutando i Dodgers per il pennant nel suo anno da rookie, vincendo il premio Most Valuable Player nel 1949 e, più importante, aprendo la porta a migliaia di altri Afro-Americani nelle Major Leagues". (Chicago Tribune, 29 settembre 2002) "Un piccolo libro straordinario in una nuova straordinaria serie destinata a catturare momenti straordinari nella storia". (The New York Times Book Review) "Simon ... è al suo meglio quando dona al lettore la trama della storia di Robinson ..." (SKY, ottobre 2002) "Delizia il pubblico con il suo ingegno, curiosità e umanità ..." Pesci poeti e cari ricordi di Sherwood Kiraly Casa Editrice: 66th and 2nd Prezzo: Euro 16,00 IL LIBRO Rollie Zerbs è sempre stato un personaggio fuori dagli schemi, come tutti gli Zerbs di LaPorte. I suoi concittadini lo hanno eletto l'uomo più bizzarro del Missouri. Scapolo per scelta, Rollie ha dedicato la sua vita a un'unica ossessione: controllare una macchina da scrivere fissata al pontile davanti casa, con una lenza legata a ogni tasto, in attesa che la parola poetica dei pesci si riveli dalle acque del Mississippi. Negli ultimi tempi, però, la situazione è peggiorata. Colpito dal morbo di Alzheimer, senza un soldo e incapace di badare a sé stesso, rischia di finire in un istituto. Ma Rollie Zerbs non ci sta ad abbandonare il suo "lavoro", e chiama in soccorso il nipote, Cooper, un redattore di fumetti di Chicago affetto da vuoti di memoria a causa di un trauma cranico. I due hanno un asso nella manica: una vecchia figurina di Frank "Wildfire" Schulte dei Cubs del 1909, che può valere una fortuna tra gli appassionati di baseball. E così la strana coppia di "smemorati", in compagnia di un'ex fiamma di Cooper e una galleria di alcolisti, antiquari e spogliarelliste, intraprende un viaggio picaresco per difendere la libertà di zio Rollie. L’AUTORE Sherwood Kiraly, scrittore e commediografo, attualmente insegna al Knox College di Galesburg, Illinois. Ha scritto quattro romanzi e diverse commedie per il palcoscenico. Nel suo secondo libro, Pesci poeti e cari ricordi (Diminished Capacity, 1995), Kiraly ha unito la sua grande passione, il baseball (che nel Midwest è considerato un «agente atmosferico»), con elementi autobiografici: l’autore, proprio come zio Rollie, ha avuto problemi di alcolismo e il padre soffriva di una malattia degenerativa legata all’avanzare dell’età. Il romanzo Diminished Capacity è stato scritto più di un decennio fa. Kiraly combina insieme il baseball e il tema della memoria, con l'esperienza personale, per portare la sua visione in Diminished Capacity (la diminuita capacità di vita). L’esperienza della scrittura è stata la strada migliore per Kiraly, e quindi molti degli aspetti del libro sono veri. "Ho avuto per 20 anni questa idea di un ragazzo che prende una vecchia macchina da scrivere manuale e la mette alla fine del molo, la infila in un buco nel molo, aggancia lenze a ciascun tasto, le mette in acqua, e quando il pesce abbocca all’amo, tira una chiave, che aziona una lettera sulla macchina da scrivere", dice Kiraly della sua scena d'apertura. "Io l’avevo pensata anni e anni prima e non sapevo cosa farne". Da un'intervista del 9 luglio 2008 di Debra Eckerling a Sherwood Kiraly. DIMINISHED CAPACITY TRAILERIl Curioso caso di Sidd Finch di Plimpton George Casa Editrice: 66th and 2nd Prezzo: Euro 17,00 IL LIBRO Florida, 1985. Robert Temple, ex reporter di guerra con il blocco dello scrittore, ha deciso di rintanarsi in un cottage sul mare per isolarsi dal mondo e fuggire dai fantasmi del Vietnam. Una mattina d'inverno, però, a seguito di una gita fuori programma a bordo di un dirigibile, scopre che nel ritiro dei Mets è appena arrivato un ragazzo inglese, aspirante monaco buddhista, che ha trascorso gli ultimi otto anni sulle montagne dell'Himalaya. Si fa chiamare Sidd, con due "d" in omaggio a Siddhartha, ed è un maestro nell'arte del lancio. Il suo movimento è infallibile, la velocità straordinaria: un talento prodigioso che rischia di sconvolgere l'essenza del gioco del baseball. Tuttavia il ragazzo non ha ancora deciso se diventare un atleta. Potrebbe ritirarsi a meditare in un monastero oppure abbracciare la carriera musicale come virtuoso del corno francese. Mentre il mondo sportivo e i media fremono nell'attesa, Sidd, Robert e Debbie Sue, una giovane e affascinante surfista, vivono una coinvolgente amicizia che li aiuterà a decidere liberamente del loro futuro. Perché come nel tiro con l'arco, dove il bersaglio da colpire è l'arciere stesso, anche il segreto del "lancio perfetto" risiede nella mente e nel cuore del lanciatore. LA STORIA VERA Sidd Finch era un giocatore di baseball frutto della fantasia, l'oggetto del famigerato articolo e scherzo del pesce d’aprile "The Curious Case of Sidd Finch" (Il curioso caso di Sidd Finch), scritto da George Plimpton e pubblicato il 1 aprile del 1985 sul numero di Sports Illustrated. LO SCHERZO Plimpton scrisse che Hayden "Sidd" (abbreviazione di Siddhartha) Finch era un pitcher rookie che si stava allenando con i New York Mets. Finch, che non aveva mai giocato a baseball prima, stava tentando di decidere tra una carriera sportiva e suonare il corno francese. La cosa più strabiliante di Finch era che poteva lanciare la fastball ad un sorprendente velocità di 168 mph, ben al di sopra del mero record di 103 mph, con un'estrema precisione. Indossava solo una scarpa, un pesante scarpone da montagna, quando lanciava.
Finch era cresciuto in un orfanotrofio inglese ed era stato adottato da un archeologo che poi era morto in un incidente aereo in Nepal. Dopo aver frequentato brevemente l'University di Harvard, si era recato in Tibet per imparare "la padronanza dello yoga della mente-corpo", che era la fonte del suo prodezza nel lanciare. Il sottotitolo dell'articolo diceva: "He's a pitcher, part yogi and part recluse. Impressively liberated from our opulent life-style, Sidd's deciding about yoga — and his future in baseball" (E' un pitcher, in parte maestro di yoga e in parte eremita. Liberatosi incredibilmente dal nostro opulento stile di vita, Sidd è indeciso fra lo yoga e il suo futuro nel baseball). Le prime lettere di queste parole (evidenziate in rosso) precisano "Happy April Fools Day - ah (a) fib". Nonostante questo indizio e l'evidente assurdità di questo articolo, molte persone credettero che Finch esistesse realmente. La rivista pubblicò un articolo molto più piccolo l'8 aprile successivo comunicando il ritiro di Finch. E poi il 15 aprile scrissero che era stata solo una bufala.
La storia era stata arricchita con fotografie di Finch, di cui una con un giovane Lenny Dykstra e un'altra di Finch che parlava con il vero pitching coach dei Mets, Mel Stottlemyre. I Mets furono complici della beffa, fornendo anche l'uniforme a Joe Berton, un giovane insegnante della scuola d'arte di Oak Park, Illinois, che posò come "Finch" per le fotografie (di solito con il volto girato dall'altra parte). Qui sotto alcune delle foto pubblicate nel 1985 che ritraggono il fantomatico Sidd Finch
Calico Joe di John Grisham Casa Editrice: Mondadori Prezzo: Euro 18,00 IL LIBRO Due uomini diversi per età, carattere, personalità. Ma accomunati dalla stessa professione: il baseball. Uno è Warren Tracey, donnaiolo, alcolista e pessimo padre che, ormai sul viale del tramonto, gioca le sue ultime partite nei Mets di New York, appesantito dagli anni e dalla frustrazione per una carriera che avrebbe voluto diversa. L'altro è l'astro nascente Joe Castle, ventun anni, originario di Calicò Rock, nel profondo Arkansas, che sta mietendo successi nelle file dei Cubs di Chicago. La popolarità di Joe è alle stelle: il clamore dei suoi record e delle sue prodezze echeggia dalle tivù e dalle radio di tutto il paese, rendendolo in breve tempo l'idolo dei fan del baseball, primo fra tutti Paul Tracey, il figlio undicenne di Warren. È il 1973 quando suo padre si ritrova finalmente faccia a faccia con Joe sul diamante dello Shea Stadium di New York in una partita che passerà tristemente alla storia. Sotto gli occhi attoniti del figlio, Warren lancia una palla veloce che cambierà per sempre i destini dei due giocatori. Dopo trent'anni, Paul non ha dimenticato quell'incontro, che ha irrimediabilmente segnato la vita del formidabile atleta entrato nella Hall of Fame del baseball come Calico Joe. Ma Warren è gravemente ammalato e Paul, pur non avendo da tempo alcun rapporto con lui, vuole che i suoi ultimi giorni siano un'occasione per riscattarsi da un'esistenza mediocre e lo convince a compiere un gesto semplice ma memorabile. È la morale di questo romanzo che ci insegna che c'è sempre tempo per pentirsi e tendere la propria mano. "Nell’estate del 1973 il paese stava lentamente emergendo dal trauma del Vietnam… il caso Watergate stava diventando sempre più scottante". Chi ricorda è Paul il figlio allora undicenne di Warren Tracey giocatore dei Mets di New York "… e io vivevo e morivo a ogni partita…". La carriera di Warren era al tramonto e la sua famiglia non lo stimava a causa della sua pessima fama di donnaiolo e alcolista. Per rincarare la dose Warren non era nemmeno un ottimo padre, anzi. "La vita a casa non era sempre piacevole e la mia via di fuga era il campo". Per contrasto brillava di luce propria la stella di Joe Castle proveniente da Calico Rock, "piccolo e pittoresco villaggio" del profondo, segregazionista, razzista e caldo Arkansas, che giocava con successo nei Cubs di Chicago. Calico Joe era l'idolo delle folle e di Paul. "In ogni caso adesso il suo nome era nel libro dei record. Il libro era aperto e Joe aveva appena cominciato". Quando presso lo Shea Stadium di New York le rispettive squadre di Warren e Calico Joe s'incontrarono, Tracey aveva commesso un gesto inqualificabile che aveva rovinato per sempre la sua reputazione cambiando inevitabilmente la sorte dei due giocatori. Ma c'è sempre tempo anche trent'anni dopo per redimersi, per chiedere scusa. "Il baseball era il mio migliore amico e a metà luglio del 1973, stava per subire una scossa come mai prima di allora". "La colpa di un padre, il riscatto di un figlio". Anche Calico Joe romanzo che affronta il difficile tema del perdono e della seconda chance che a volte la vita ci offre, diventerà prossimamente un film adattato e diretto da Chris Columbus, produttore esecutivo del film lo stesso John Grisham. Un nuovo blockbuster come le precedenti trasposizioni cinematografiche tratte dai libri del grande autore di legal thriller tra le quali Il socio, Il rapporto Pelikan, Il cliente, L'uomo della pioggia, La giuria e molti altri ancora. Ma questa volta la storia ha come protagonista una stella del baseball splendido atleta entrato nella Hall of Fame, ciò che avrebbe desiderato diventare il giovane John da piccolo "sognavo di diventare un campione". Nato in una piantagione dell'Arkansas dove si produceva cotone e la vita era dura ben descritta nel romanzo La casa dipinta, all'età di sette anni Grisham lasciò la fattoria insieme ai genitori e ai fratelli, perché il padre aveva trovato lavoro come operaio edile. Famiglia povera quella dei Grisham e dalla forte impronta religiosa, ma l'autore oggi miliardario, emblema dell'American Dream, non ha dimenticato le proprie origini. Infatti, nel suo ultimo romanzo è molto forte il senso del Bene e del Male, di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato. Forse Calico Joe non passerà alla storia come uno dei capolavori di Grisham, a tal proposito consigliamo la lettura de Il momento di uccidere, però racconta una vicenda che conquista perché contiene valori autentici e profondi che riguardano ciascuno di noi. Anche trent'anni dopo ci si può redimere e domandare scusa soprattutto quando è un figlio che lo chiede. "Dopo la telefonata di Agnes mi siedo alla scrivania e comincio a riflettere sulla mia vita senza Warren, mio padre. Ho cominciato a chiamarlo Warren quando ero al college, perché l'ho sempre considerato un individuo qualunque, più un estraneo che un padre. Lui non ha mai fatto obiezioni. Non gli è mai importato come lo chiami e ho sempre pensato che preferisca che non lo chiami affatto. Io almeno ogni tanto un tentativo lo faccio, lui mai". John Grisham è nato a Jonesboro, nello Stato americano dell’Arkansas, l'8 febbraio 1955. Laureatosi in legge nel 1981, per nove anni è stato avvocato penalista. Ha ricoperto anche incarichi politici come membro della Mississippi House of Representatives. È nel comitato dell'Innocence Project di New York ed è presidente del comitato del Mississippi Innocence Project alla facoltà di legge dell'University of Mississippi. È l'autore di: Il momento di uccidere, Il Socio, Il Rapporto Pelican, Il Cliente, L'appello, L'uomo della pioggia, La Giuria, Il Partner, L'avvocato di strada, Il Testamento, I Confratelli, La casa dipinta, La convocazione, Fuga dal Natale, Il re dei torti, L'allenatore, L'ultimo giurato, Il Broker, Innocente, Il professionista, Ultima sentenza, Il ricatto (2009), Ritorno a Ford County (2010), Io confesso (2010), La prima indagine di Theodore Boone (2011), Theodore Boone 2 La ragazza scomparsa (2011), I contendenti (2011) tutti editi da Mondadori. "Sto ultimando The Racketeer, storia di un avvocato in prigione che, dopo l'assassinio di un giudice federale, è l'unico a sapere chi è l'assassino", ha dichiarato Grisham in una recente intervista pubblicata sul Venerdì di Repubblica del 29 giugno 2012. Lo scrittore vive in Virginia a Charlottesville in un ranch di 450 ettari. di Alessandra Stoppini Il Recensore.com L'arte di vivere in difesa di Harbach Chad Casa Editrice: Rizzoli Prezzo: Euro 17,00 IL LIBRO Quando arriva al Westish College, sulle sponde del lago Michigan, Henry Skrimshander è un ragazzo gracile e spaesato, certo soltanto della propria inadeguatezza. Ma sul campo da baseball si trasforma, e un istinto infallibile lo guida in gesti di una grazia assoluta. Mike Schwartz, il suo mentore e migliore amico, ripone in lui tutte le sue speranze di ragazzone stempiato dal cuore grande e dal futuro incerto, mentre Owen Dunne, il compagno di stanza gay e mulatto, lo confonde con l'inarrivabile spigliatezza dei modi e i lapidari giudizi in fatto di letteratura e blue jeans. Poi c'è Guert Affenlight, il rettore che a sessantanni ha ceduto alla forza di un sentimento inconfessabile, e adesso lotta felice e sgomento per non soccombere alla marea delle proprie emozioni impazzite. Sua figlia Pella sta per tornare in città con una vecchia borsa di vimini e un matrimonio fallito alle spalle, precoce e irrequieta come il giorno in cui se ne andò. Ma al Westish, tra drammi che incombono e amori incipienti, tutto sta per cambiare. E ciascuno, che lo voglia o no, sarà costretto a fare i conti con quella cosa luminosa e terribile che chiamiamo vita. La recensione de L'Indice Di tutti gli sport praticati in Nord America – football, hockey, lacrosse – il baseball è forse quello che meglio ha saputo rappresentare l'epopea statunitense. Anche ai nostri occhi: nonostante le sue regole ci risultino per lo più oscure, e il calcolo dei punteggi incomprensibile. Anche noi europei conosciamo i nomi dei grandi campioni americani, da Babe Ruth a Joe DiMaggio, da Lou Gehrig a Willie Mays, pur non avendoli mai visti giocare. Consapevolmente o meno, anche noi ci siamo schierati con i Giants o gli Yankees, le due squadre di New York, neanche fosse un derby di casa nostra. Leggendo autori come Malamud e DeLillo, abbiamo familiarizzato con le liturgie e i paramenti di questo sport altamente ritualizzato: i guantoni di pelle, i segnali del catcher, quel continuo masticare e sputare tabacco. Anche noi abbiamo provato l'emozione di calpestare l'erba del diamante di gioco, grazie a decine di film di prima grandezza, da L'uomo dei sogni a Bull Durham, fino al recente Moneyball. L'arte di vincere, con Brad Pitt. Il talento, il gioco di squadra, il fallimento: ovviamente, le analogie tra il baseball e la vita sono infinite. "Un uomo arriva alla base. È solo", recitava solennemente Robert De Niro, nei panni di Al Capone, in una scena degli Intoccabili. "Questo è il momento per che cosa? Per godere del successo personale. È fermo là, da solo. Ma sul campo, che cos'è? È parte soltanto di una squadra vincente. Guarda, lancia, acchiappa, corre. Ma è solo parte di una squadra". Evidentemente, quando ha cominciato a scrivere la storia di Henry Skrimshander e della squadra di baseball del Westish College, Chad Harbach, al suo debutto narrativo con L'arte di vivere in difesa, era ben consapevole della ricca tradizione che lo precedeva. E ha fatto la scelta giusta: non si è limitato a riproporre tutte le costanti del genere, magari con qualche variazione, ma ha riversato nel romanzo tantissima vita – polvere, sogni, sudore, delusioni, felicità – raccontando, pagina dopo pagina, e dettaglio dopo dettaglio, un intero microcosmo, quello di un piccolo campus universitario del Wisconsin affacciato sulle rive del lago Michigan. Henry Skrimshander ha un talento prodigioso. Non è un pitcher, e come battitore lascia a desiderare: la sua specialità è la difesa. È un interbase. Il suo compito è agguantare la palla e consegnarla nelle mani dei compagni il più rapidamente possibile. E, in questo, il piccolo Henry – un ragazzino magro, con il petto "assurdamente concavo e una sfacciata abbronzatura da contadino" – non ha eguali. Nessuno è altrettanto preciso, o potente, o aggraziato. A scoprirlo, in un torneo minore, e a trascinarlo fino al Westish College, la cui squadra di baseball ha un disperato bisogno di rinnovamento, è Mike Schwartz, anima e cuore del dipartimento sportivo. Alto, stazzato, le ginocchia distrutte da anni di allenamenti, Mike non ha il talento di Henry, ma fa di tutto per rimediare con dosi massicce di buona volontà. È il capitano della squadra, e in pochi mesi diventa il migliore amico di Henry, il suo mentore, il suo preparatore atletico. Attorno a questa coppia di amici, tra i quali inevitabilmente si insinuerà il germe della rivalità, ruota un cast di comprimari tra i quali spiccano Guert Affenlight, rettore dell'università e autore di un bestseller intitolato I distillatori di semi, sua figlia Pella, la cui vita sta andando a rotoli, e Owen Dunne, il compagno di stanza di Henry, fieramente gay e incontestabilmente à la page. Quando arriva al Westish College, Henry porta con sé un libro solo: una copia consunta dell'Arte della difesa, di un certo Aparicio Rodriguez, leggendario interbase dei St Louis Cardinals. Più che di un manuale, si tratta di una raccolta di koan sul baseball e sulla vita; contiene massime del tipo: "L'interbase è fonte di stabilità nel cuore della difesa"; oppure: "La morte è la definitiva sensazione dell'operato di un atleta". Henry lo conosce a memoria, ma non è il solo: uno degli aspetti più sorprendenti del romanzo di Chad Harbach è proprio il valore che i suoi personaggi attribuiscono ai libri. Quando Mike Schwartz vede Henry in azione per la prima volta, ripensa a un verso di Robert Lowell: "Senza espressione, esprime Dio". La carriera del rettore Affenlight è segnata dalla scoperta, negli anfratti della biblioteca universitaria, della minuta di un discorso tenuto da Melville proprio al Westish College, nel lontano 1880. Quando sua figlia Pella incontra per la prima volta Mike, in una scena chiave, i due si mettono a parlare della moglie del poeta Ralph Waldo Emerson, morta di tubercolosi. E tutti questi riferimenti letterari – ce ne sono tanti altri, sapientemente intrecciati alle vicende dei protagonisti – non devono sorprendere: dopotutto, siamo in un college. Come è facile intuire, gli ingredienti principali di questo romanzo corale sono la passione per il baseball e la fiducia nella letteratura. Una fiducia che Chad Harbach – uno degli editor della giovane rivista "n+1" – deve nutrire nel profondo, se per quasi dieci anni ha accumulato debiti pur di continuare a scrivere L'arte di vivere in difesa, e se, alla fine, ha avuto il coraggio di pubblicare, in una stagione editoriale dominata dai libriccini di cento pagine, un romanzo tanto voluminoso; un romanzo ricchissimo nella rappresentazione dell'odierna commedia umana, e altrettanto generoso nel dispensare emozioni e colpi di scena. A seconda delle preferenze, il lettore potrà scegliere quale sentiero seguire: se immergersi nella storia di formazione, o godersi le atmosfere terse della campus novel, o lasciarsi avvincere dal racconto sportivo. Oppure, se vivere tutte queste esperienze in una volta sola. Talento, gioco di squadra, fallimento: in fondo, il baseball è tutto questo. Martino Gozzi
Sunset Park di Paul Auster Casa Editrice: Giulio Einaudi Prezzo: Euro 19,50 Il padre di Miles Heller era il miglior lanciatore della squadra della scuola. Durante una partita, una palla violentissima lo colpisce. Carriera finita. Il padre non racconta mai a Miles quest’episodio, ma torna spesso sull’infortunio identico che capitò ad un campione. Paul Auster, in Sunset Park (Einaudi), presenta il baseball come l’emblema dell’eredità che si passa di padre in figlio. Anche Miles si appassiona: «Quella del lanciatore era la sua posizione ideale. Solitudine e forza, concentrazione e volontà, il lupo solitario ritto in mezzo al diamante, che assume su se stesso tutto il peso del gioco. Ai tempi erano tutte palle veloci e changeup, due lanci e un interminabile lavoro sul modo di lanciare, il movimento fluido, la frustata del braccio avanti ogni volta con la stessa angolazione, la gamba destra raccolta in alto che spinge fuori dal rubber fino al momento del rilascio». Ma quando Miles uccide «involontariamente» il fratellastro, rinuncerà al baseball. Si punisce privandosi di ciò a cui tiene di più. Però, a sua volta, trasmetterà al figlio gli insegnamenti paterni. La visione di Auster purtroppo non manca di retorica: «Il baseball è un universo grande come la vita stessa e perciò nel suo ambito ricadono tutte le cose della vita, buone o cattive, tragiche o comiche». «Sunset Park è allo stesso tempo serrato e di ampio respiro, immensamente ambizioso nelle tematiche, eppure capace di entrare nell'intimità dei suoi personaggi. [...] Ed è un vero piacere leggerlo» . Recensione di Elisabetta Bolondi - da Solo Libri.net del 2/1/2011 Paul Auster è nato nel 1947 a Newark (New Jersey). Delle sue opere Einaudi ha in catalogo: L’invenzione della solitudine, Trilogia di New York, Nel paese delle ultime cose, Moon Palace, Leviatano, Mr Vertigo, Smoke & Blue in the Face, Lulu on the Bridge, Timbuctú, Sbarcare il lunario, Esperimento di verità, L’arte della fame, Ho pensato che mio padre fosse Dio, Il libro delle illusioni, La notte dell’oracolo, Follie di Brooklyn, Gioco suicida, Viaggi nello scriptorium, Uomo nel buio, La musica del caso, Invisibile e Sbarcare il lunario. Nel 2006 sono uscite le poesie di Affrontare la musica, nel 2009 la sceneggiatura La vita interiore di Martin Frost, da cui è stato tratto l’omonimo film diretto da Auster, e il volume Romanzi che riunisce la Trilogia di New York, Nel paese delle ultime cose e Moon Palace.
4 3 2 1diPaul AusterCasa Editrice: Giulio Einaudi Prezzo: Euro 25,00 «Alla lunga le storie forse valgono quanto i soldi, Archibald Ferguson nasce il 3 Marzo 1947 da Rose Adler, fotografa figlia di ebrei benestanti e Stanley Ferguson, terzo figlio di una famiglia povera, nato in America da genitori immigrati nel primo Novecento. Le sorti del negozio, della famiglia di Archie e del nostro protagonista si moltiplicano in quattro possibili versioni della sua vita, che lo vedono orfano di padre o in conflitto col genitore, ricco grazie agli sforzi di quest’ultimo ma orfano del suo amore oppure povero ma felice al centro di una famiglia unita, nipote prediletto dell’intellettuale zia Mildred oppure amato figliastro del critico musicale Gil, cugino adottivo del brillante Noah Marx oppure amico inseparabile di Artie Federman, Howard Small e Bobby George, giornalista, atleta, scrittore vagabondo o narratore sperimentale vincitore di una borsa di studio a Princeton. La girandola di queste quattro colorate e dettagliatissime possibili esistenze s’intreccia inestricabilmente con Amy Schneiderman, coetanea di Archie e tormento della sua adolescenza: inseparabile fidanzata dall’infuocata passione politica, fidata cugina a cui non confessare i propri amori non convenzionali, amata sorellastra con cui condividere le perplessità, lo sconforto e le vicende che trainano il giovane Archie verso la sua vita adulta sullo sfondo di un’America – quella dal secondo dopoguerra alla fine degli anni ‘60 – che attraverso scandali, crimini e omicidi illustri, sconvolgimenti, fatti di cronaca, rivolte nere e studentesche, conquiste sociali e proteste dal sapore amaro e i risvolti pesanti, sta cambiando e non sarà mai più quella a cui approda il nonno di Ferguson, a cui verrà erroneamente imposto il nome Ichabold a Ellys Island, nei primi anni del ‘900. 4 3 2 1 di Paul Auster è un libro complesso. La sua particolare struttura rende possibili due diverse modalità di lettura: quella per periodi storici, suggerita dall’impaginazione editoriale, e quella per vite, contrassegnate dalla numerazione. Entrambe le modalità garantiscono un quadruplo romanzo godibile che, se seguito con un po’ d’impegno e la giusta attenzione, ci introdurrà all’interno di uno spaccato di quel mitico periodo americano che va da boom economico al movimento hippie; l’America che a noi è pervenuta attraverso i film e i resoconti storici e che, attraverso gli occhi di Ferguson, sembra davvero vicina, viva, reale. La struttura del romanzo, però, non viene in alcun modo annunciata e così – dopo un lungo prologo in cui, a partire dallo sbarco di nonno Ichabold a New York nel primo Novecento, facciamo conoscenza con gli antenati e i genitori di Ferguson – veniamo colti da un gigantesco senso di smarrimento nel leggere i primi quattro capitoli che, a causa della giovanissima età del nostro protagonista, sembrano ripetersi. Il trucco ci viene svelato attraverso una partita dei Giants, che seguiamo in tutti e quattro i primi capitoli e che avrà un risultato ed esiti molto diversi sulla vita dei personaggi. A questo punto il disvelamento della struttura del romanzo ci fa lo stesso effetto che all’ancora giovane Ichabold fa addentare quella che crede una mela per poi scoprire che si tratta di un pomodoro: da una prima incomprensione intrisa di sensazioni sgradevoli si passa alla curiosità per questa nuova scoperta. La scrittura di Auster, nonostante il suo stile monolitico e impegnativo, ci regala la possibilità di indagare la famiglia e la vita in America negli anni ‘50 attraverso gli occhi di un bambino vispo e intelligente, la narrazione è avvincente e credibile e, fino alla pubertà di Ferguson, è estremamente difficile staccarsi dalla lettura. Poi qualcosa si guasta: sarà che il punto di vista di un bambino è sempre più creativo e interessante, sarà l’emorragia di nomi, titoli di letture, luoghi e avvenimenti che crea confusione e appesantisce la lettura, ma i capitoli dedicati all’Archie liceale e universitario perdono fascino e frizzantezza per lanciarsi in una narrazione fin troppo accurata, noiosa e spesso pesante, che non arriva mai a diventare respingente ma non riesce più a ritrovare la verve dei primi capitoli. Perfino il tentativo finale di inserire una meta narrazione che giustifichi la struttura del romanzo suona pedante, fuori luogo, di troppo. Il finale affrettato delle ultime due narrazioni poi, che sembra quasi tagliato, peggiora notevolmente il quadro. “4 3 2 1” di Paul Auster: riassunto trama e recensione di Ambra Stancampiano per letture.org
Preghiera per un amicodi John IrvingCasa Editrice: BUR Prezzo: Euro 11,20
Spesso, secondo me, i libri più belli sono quelli dei quali non riesci a parlare: non sai descriverne la trama, non sai raccontare ciò che ti hanno trasmesso e lasciato. Ovviamente ci sono avvenimenti fondamentali, nella storia, che permettono alla trama di andare avanti. Il primo, che dà inizio alla vicenda, è la morte della madre di John, Tabby, uccisa da una palla lanciata con particolare violenza durante una partita di baseball. E l’assassino è proprio Owen, con la sua minuscola corporatura e la sua assurda voce nasale, che riesce soltanto a urlare a John un “Mi dispiace!” prima di fuggire via. Owen è uno dei personaggi migliori che abbia mai incontrato nelle mie letture. È un ragazzo molto basso, mingherlino, con un’assurda voce nasale e questo basterebbe a renderlo diverso dagli altri; ma più passa il tempo, più Owen attira l’attenzione della gente, sfoggiando un atteggiamento polemico e audace. Gestisce infatti una rubrica del giornale scolastico, che scrive con il soprannome di La Voce, nonostante tutti conoscano la sua vera identità. E qui Owen, quasi con impertinenza, denuncia a chiare lettere tutto ciò che non gli va. Proprio a causa di questa audacia spinta troppo in là, fino a polemizzare contro l’arcigno preside della scuola, Owen – pur essendo uno degli studenti più brillanti – viene espulso dall’Accademia. E dopo questo incipit interminabile è giunto il momento di dirvi perché ho amato questo libro, che è diventato il migliore letto in questo 2011 e forse – devo ancora pensarci – il mio preferito in assoluto. Insomma, leggetelo. Leggetelo perché avvince, accompagna, insegna, scandalizza, commuove, scalda, scioglie, lega; perché è uno di quei rari libri che può cambiare la vita, anche in minima parte. Sì, ho deciso. È diventato il mio libro preferito. Recensione: unbuonlibrounottimoamico di Guendalina Ferri
Il Suono del Silenziodi Phillip TomassoCasa Editrice: Next Chapter Circle Prezzo: Euro 7,92 copertina flessibile su AMAZON Mark Tanner è un dodicenne sano, spensierato e pieno di sogni nel cassetto. Lanciatore di punta della sua squadra di baseball, nella finale di campionato firma il punto vincente nel derby contro i rivali storici. Ma i festeggiamenti durano poco, perché Mark si sente male pochi minuti dopo la fine del match. Portato d'urgenza in ospedale, rimane privo di coscienza per diversi giorni mentre i medici arrivano a una diagnosi e cercano di salvare il salvabile. Quando si risveglia il giovane è ormai sordo, e il suo mondo va in pezzi. Il Suono del Silenzio racconta di come, dopo la tragedia, il protagonista debba scendere a patti con la sua nuova quotidianità, il dolore e la frustrazione che ne derivano, i suoi sogni perduti. Costretto a lasciare casa e famiglia, dovrà imparare di nuovo a comunicare e interagire con il mondo esterno senza l'ausilio dell'udito, dovendo al contempo misurarsi con le tipiche difficoltà di un adolescente: i bulli, i primi approcci con le ragazze e il doversi integrare.
Cactus Leaguedi Emily Nemens Casa Editrice: 66thand2nd Prezzo: Euro 17,00 Jason Goodyear è la star dei Los Angeles Lions, squadra di baseball in ritiro precampionato nel torrido deserto dell’Arizona. Bello, celebre, talentuoso, Goodyear è il miglior esterno sinistro dai tempi di Ted Williams, ora però è nel mezzo di una crisi profonda. Si dice che sia a un passo dal divorzio. Ma qual è il tarlo che lo divora? Ha a che fare forse con la passione per il gioco d’azzardo, con il casinò che si trova vicino al nuovo stadio di Scottsdale? Se lo chiedono anche gli allenatori, i tifosi, i compagni, le mogli e le fidanzate dei giocatori, oltre a una coppia di strozzini. Vorrebbe saperlo anche un vecchio cronista sportivo intenzionato a raccontare la sua storia, che si intreccia con quella di Michael Taylor, un hitting coach aggrappato con i denti al suo lavoro; di Tamara Rowland, una donna piena di risorse in cerca di un’ultima conquista; di Herb Allison, leggendario agente sportivo sul viale del tramonto; e di una pletora di altri personaggi, impegnati a ritagliarsi un posto al sole in vista della nuova, imminente stagione. Sostenuto dallo stile brillante di Emily Nemens, da una conoscenza attenta dei meccanismi del gioco e da una molteplicità di punti di vista narrativi, Cactus League è un’avvincente storia di ossessioni e agonismo, un ritratto dell’America attraverso un viaggio nel microcosmo – a volte brutale, spietato, ma sempre romantico ed esaltante – del baseball professionistico. «Nemens ricorda in certi momenti i libri di Joan Didion, e i suoi sognatori del sud-ovest». Il Bambino che Sapeva Troppodi Cathy ByrdCasa Editrice: My Life Prezzo: Euro 14,16 Una storia toccante ed avvincente, ricca di intuizioni spirituali. Alla tenera età di 2 anni, il bambino prodigio del baseball Christian Haupt cominciò a condividere ricordi vividi di quando era un giocatore di baseball negli anni Venti e Trenta: dai viaggi in treno attraverso il Paese all'accesa rivalità con Lou Gehrig di cui a quel tempo non poteva essere al corrente. Sconvolta dalle incredibili rivelazioni del figlio, la madre di Christian, Cathy, iniziò un viaggio sacro alla scoperta di una verità che ha scosso le sue convinzioni fin dalle fondamenta e che ha cambiato la sua visione sulla vita e sulla morte. In questa autobiografia toccante e avvincente, Cathy Byrd condivide la sua incredibile esperienza, le lezioni che ha appreso mentre cercava le risposte a questo grande mistero e una storia di guarigione nelle vite di queste anime profondamente legate tra loro. Il bambino che sapeva troppo ispirerà anche lo scettico più convinto a considerare la possibilità che l'amore non muore mai. In questo libro d'ispirazione, Cathy Byrd documenta i toccanti ricordi della vita passata del suo giovane figlio. Descrive anche le sue personali sedute di regressione grazie alle quali ha scoperto il legame tra lei e il figlio in una esistenza precedente. Il bambino che sapeva troppo è un viaggio entusiasmante alla scoperta del mistero e del potere dei ricordi di vite passate. Hanno scritto: “Questo è un libro meraviglioso, intelligente, divertente e ricco di intuizioni spirituali: è uno dei libri che ho letto con il più alto potere di trasformare e arricchire il modo di pensare delle persone”
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